Esattamente trent’anni fa, l’11 novembre 1985, veniva trasmesso sul canale americano NBC il primo film sull’AIDS, l’intenso An Early Frost di John Erman. Sarebbe poi arrivato su RaiUno due anni dopo, all’interno del contenitore Esplorando di Mino Damato, dedicato per l’occasione all’epidemia di HIV, col titolo Una gelata precoce. Si tratta di un sensibile melò ormai cult con un gran cast (Aidan Quinn, Gena Rowlands, Ben Gazzara, John Glover) che per la prima volta al cinema affrontava il tabù dell’AIDS dal punto di vista di un giovane borghese malato, protagonista di un indimenticabile coming out col padre a cui fa seguito un sonoro schiaffo: “La mia donna? È un uomo”. Nello stesso anno vengono prodotti l’americano Buddies di Arthur J. Bressan junior e il grottesco Un virus non conosce alcuna morale che avrebbe dedicato al tema diverse opere successive, tra cui la trilogia composta da Silenzio = Morte, Positivo e Fuoco sotto il culo. È del 1986 il drammatico Parting Glances dell’americano Bill Sherwood, meritevole della scoperta di Steve Buscemi nel ruolo di un malato di HIV, ex amante del protagonista che organizza una festa d’addio per il suo fidanzato in partenza per il Kenya.
Ma il cinema, esattamente come la società, avrebbe impiegato ancora molto tempo a levare dalla propria coscienza quel vergognoso alone luminescente di un celebre spot sull’AIDS, e solo due anni dopo il regista francese Paul Vecchiali avrebbe realizzato lo struggente Once MoreAncora in cui, attraverso dieci rigorosi piani sequenza, viene descritta la quotidianità di un omosessuale malato, accudito dal suo fidanzato ma ancora innamorato di un suo ex. Il primo film ad arrivare al grande pubblico è però il corale Che mi dici di Willy? (1990) di Norman René, una sorta di Grande Freddo in chiave gay. Grande scandalo avrebbe fatto in Francia lo sconvolgente Notti selvagge (1992) di Cyril Collard. Sempre nel 1992 escono tre titoli interessanti, il malinconico dramma inglese Gli amici di Peter diretto da Kenneth Branagh, il Thelma & Louise gay The Living End di Gregg Araki e l’israeliano Amazing Grace di Amos Gutman vincitore al festival di Torino Da Sodoma a Hollywood.
Il titolo cardine della cinematografia sull’AIDS è dell’anno successivo, Philadelphia di Jonathan Demme, il primo prodotto da una major, vincitore di due Oscar (Tom Hanks, attore protagonista, e la canzone di Bruce Springsteen che dà il titolo al film). È da considerare il primo, vero film “politico” su questo tema. La produzione s’intensifica proprio nello stesso anno col TV movie Guerra al virus di Roger Spottiswoode e l’unico, irraggiungibile capolavoro di sempre, il radicale, lirico e testamentario Blue di Derek Jarman, schermo monocromo e voce dolente del grande regista inglese e dei suoi amici che raccontano la discesa nella cecità e il suo commiato anche spirituale. Un tentativo di affrontare l’argomento in maniera diversa è il curioso musical Zero Patience (genere ripreso poi in Jeffrey del 1995) mentre in Italia, a parte il doc Partners di Ottavio Mai e Giovanni Minerba (1990) e Parole Chiave di Giampaolo Marzi del 1994, bisogna aspettare gli anni Duemila col successo de Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek, la stravagante commedia Sono Positivo di Cristiano Bortone con un cameo di Vladimir Luxuria e l’intenso Giorni (2001) di Laura Muscardin. È soprattutto francese il cinema d’autore che fornisce buone prove a riguardo: nel 2000 vince il festival gay di Milano il toccante La strada di Félix diretto da Olivier Ducastel e Jacques Martineau mentre un caposaldo del genere resta l’esemplare I testimoni di André Téchiné (2007). Vette artistiche vengono toccate anche dall’americano The Hours (2002) di Stephen Daldry, riuscito adattamento dell’omonimo, splendido romanzo di Michael Cunningham (un altro suo libro sul tema, Una casa alla fine del mondo, sarebbe stato adattato al cinema con meno fortuna due anni dopo). Il televisivo Angels in America (2003) tratto dall’omonima opera teatrale di Tony Kushner e con un cast di stelle – Meryl Streep, Emma Thompson, Al Pacino – è forse il miglior serial mai realizzato sull’argomento.
Ultimamente la tematica del “sole malato”, come lo chiamò Enzo Biagi in un suo celebre saggio, è colpevolmente dimenticata, anche perché le recenti possibilità di cura hanno tolto quell’aura di terrore che circondava la malattia: tra i titoli recenti più interessanti ricordiamo The Dallas Buyers Club (2013) di Jean-Marc Vallée che fece assegnare due meritati Oscar ai fenomenali interpreti Matthew McConaughey e Jared Leto, nonché il commovente film tv The Normal Heart (2014) di Ryan Murphy con Matt Bomer, Mark Ruffalo e Julia Roberts tratto dall’omonima pièce teatrale di Larry Kramer che ci ricollega proprio a trent’anni fa, essendo del 1985 come il primo film sull’AIDS.