Si cimentano con i classici, rivisitandoli attraverso uno stile originale, oppure con i cavalli di battaglia di celebri attrici: le Nina’s Drag Queens, compagnia di sei giovani performer, ci raccontano i loro primi passi e le sfide passate e future.

(prima pubblicazione Pride gennaio 2018)

 

Dieci anni di attività artistica non sono pochi: le Nina’s Drag Queens li hanno appena festeggiati a Milano con una lunga e articolata serata divisa tra teatro, musica e ospiti. Sono sei baldi giovanotti, Alessio Calciolari, Gianluca Di Lauro, Sax Nicosia, Stefano Orlandi, Lorenzo Piccolo e Ulisse Romanò (attori, danzatori, registi o drammaturghi) che hanno scritto una nuova pagina nello spettacolo in drag. Per conoscerli siamo andati nella loro sede-atelier-laboratorio alle porte della città: in un gioco di squadra che denota grande affiatamento e complicità, rispondono a turno alle nostre domande.

Per chi ancora non vi conosce, ci raccontate come si è formato il vostro ensemble?

Il progetto è nato nel 2007 quando fu riaperto il teatro Ringhiera con la gestione dell’Atir che decise di organizzare un festival dedicato alla città. Fabio Chiesa, uno degli attori della compagnia, aveva la passione delle feste en travesti e propose a Serena Sinigaglia, il direttore artistico, di debuttare con una performance in drag. Ignari del tutto di quel mondo e della sua cultura, imbastimmo una breve performance, Innamorarsi a Milano, che riscosse un tal gradimento tanto da chiederci di ripeterla. Quella sera in sala c’era Francesco Miceli, regista di allestimenti operistici, che si entusiasmò e ci propose di collaborare, diventando poi il nostro padre nobile. L’occasione fu il secondo festival al Ringhiera, questa volta dedicato alla Spagna: qui è stata tenuta a battesimo Spanish Nostalgia, la prima rivista delle Nina’s. Ci stanchiamo presto del solo playback delle canzoni e passiamo a quello dei film o delle riviste televisive, agli omaggi a grandi attrici, da Franca Valeri, a Valentina Cortese e Rossella Falk. Il passo successivo è stato quello di cominciare a recitare dal vivo, mischiando il nostro repertorio con la teatralità: è nata così Nina’s Radio Night, ponte tra rivista, spettacolo di prosa e soap opera spaziale con un finale tra il fantastico e l’almodovariano (al teatro Invito di Lecco il 18 gennaio, N.d.R).

È stato sicuramente il lavoro che vi ha aperto le porte anche dei teatri più mainstream: poi come è proseguito il vostro percorso?
Il 2012 è stato l’anno del salto più importante con la rivisitazione di Cechov e Il giardino delle ciliegie, un nostro personale approccio ai classici che sentiamo ancora molto attuale. A seguire con Dragpennyopera (al Puccini di Firenze il 26/1, N.d.R.) abbiamo affrontato Brecht e L’opera da tre soldi, a sua volta ispirata al lavoro dell’inglese John Gay. Nel corso di queste due sfide abbiamo usato la musica dal vivo, sempre mischiandola con il background di tributi e citazioni, quel tessuto pop che è la caratteristica delle nostre creazioni. Purtroppo la circuitazione per le compagnie indipendenti è sempre problematica: a maggior ragione il nostro nome si porta già dietro una serie di pregiudizi e fraintendimenti in chi potrebbe comprare un nostro spettacolo, rinfocolati da stereotipi quali Priscilla o i Legnanesi.

A proposito di quest’ultima storica compagnia en travesti, vi riconoscete qualche tratto in comune?
Noi ci consideriamo altro, anche perché non abbiamo una matrice dialettale, ma Stefano nel Giardino ha fatto un omaggio al loro teatro: la particolarità è che ogni nostro lavoro ha uno stile interpretativo sempre diverso con l’intento di portare avanti una ricerca teatrale. Altre drag, anche famose, fanno altro, per esempio show, discoteca e immagine.

Nel recente Vedi alla voce Alma, presentato tra gli eventi per la settimana del pride milanese, per la prima volta avete sperimentato il monologo.
Sì, l’ha interpretato Lorenzo con la regia di Alessio. Nasce dall’esigenza, dopo tanto lavoro di gruppo, di guardare anche alla specificità individuale. L’idea è partita vedendo la foto della bambola gigante creata dal pittore Kokoschka sulle fattezze dell’amante Alma Mahler che pareva un’immagine tratta dalla Voce umana, il monologo di Cocteau, portato in scena e sullo schermo da celebri attrici. Abbiamo cercato di mettere in luce i punti di contatto tra le rispettive solitudini nella ricerca dell’altro.

Oltre all’attività di laboratorio con gli allievi e le tournée, a che progetto state lavorando?
A una riscrittura in inglese, in seguito tradotta, a opera di Claire Dowie, drammaturga, stand up comedian e lesbica militante, del Re Lear che, necessariamente, si chiamerà Queen Lear. Da Shakespeare arriviamo all’oggi parlando di vecchiaia e malattia, esorcizzate dalla nostra società, ma sempre con la nostra irriverenza e leggerezza.