Il coming out dell’attore Kevin Spacey, dopo una tardiva accusa di molestie da parte di un altro attore, ha generato un aspro e indignato dibattito nella comunità gay.

(prima pubblicazione Pride dicembre 2017)

 

Kevin Spacey è il Weinstein omosessuale? Al di là degli eventuali risvolti legali, gli scandali dell’attore e del produttore hanno inaugurato sui social, in TV e sui giornali il fiorente filone del “vip molestatore”, mescolando senza ritegno la violenza sessuale reiterata (questa sì penalmente perseguibile) con i tanti casi di abbordaggio maldestro. In tutte queste vicende un denominatore comune c’è: l’esercizio proditorio e deliberato del potere.

È lecito domandarsi come mai gli scandali arrivino solo ora, e a chi giovi sacrificare l’ex intoccabile di turno per salvaguardare il sistema. “Cambiare tutto affinché nulla cambi” potrebbe descrivere bene l’ipocrisia di chi sapeva e ha taciuto perché faceva comodo così, salvo poi scaricare il mostro presunto senza tanti complimenti, con esiti pure grotteschi: nel caso di Spacey, Netflix ha cancellato lo show di punta House of Cards e bloccato l’uscita del film sullo scrittore gay Gore Vidal, entrambi col due volte premio Oscar protagonista e produttore, mentre Ridley Scott ha rigirato con un sostituto le scene con Spacey nel film in uscita a dicembre Tutto il denaro del mondo.

I grattacapi dell’ex direttore artistico dell’Old Vic di Londra iniziano con un tweet del 30 ottobre scorso nel quale ribatte alle accuse di molestie nei confronti dell’attore di Star Trek: Discovery Anthony Rapp, risalenti a quando lui aveva solo 14 anni. Spacey non ricorda il fatto evocato da Rapp ma nel contempo si scusa: “Ho amato e avuto incontri romantici con diversi uomini nel corso della mia vita e ora ho deciso di vivere da uomo gay. Voglio affrontare la cosa onestamente e apertamente”.

Certo, la tempistica non è delle più felici. Se pensiamo al fatto che l’attore avesse tenuta gelosamente celata la propria vita privata almeno fino alle prime battute dello scandalo che lo vede protagonista.
In ogni caso, la convinzione che Spacey sia uscito allo scoperto per distogliere l’attenzione dall’ondata di rivelazioni sulla sua condotta sessuale impropria è già serpeggiata nella comunità LGBT. Lo stesso Anthony Rapp, tra le altre cose, afferma di aver trovato orribile, durante tutti questi anni di silenzio sulle molestie subite, il fatto che Spacey non avesse mai fatto coming out, mentre lui è apertamente gay fin dal 1992.

Dan Savage, attivista e scrittore, è tra i più severi: “Mi dispiace, signor Spacey, ma la tua richiesta di aderire alla comunità gay in questo momento è stata respinta”. “Kevin Spacey ha appena inventato una cosa nuova: il momento sbagliato per fare coming out”, ha twittato sarcastico il comico gay Billy Eichner. “Come si permette di tirarci in mezzo in una situazione del genere?”, ha dichiarato invece il critico cinematografico di Vanity Fair Richard Lawson. Josh Rivers, redattore di Gay Times, è seccato piuttosto dall’accostamento tra omosessualità e pedofilia.

Zachary Quinto, che ha trovato il successo subito dopo aver dichiarato di essere gay, ha lavorato al fianco di Spacey in Margin Call e commenta deluso che “È assai triste e preoccupante il modo in cui Kevin ha deciso di fare coming out, non alzandosi in piedi come fosse una cosa di cui essere fieri – alla luce dei tanti premi vinti e della realizzazione professionale, diventando così fonte di ispirazione per migliaia di ragazzi LGBTQ in difficoltà in tutto il mondo – bensì come una mossa calcolata per distogliere l’attenzione dalle gravissime accuse di molestie”.

Sir Ian McKellen, uno dei più grandi attori del teatro inglese, sempre in prima fila nelle iniziative a favore del mondo gay, è invece più misurato: “Io l’ho fatto tardi, a quarantanove anni, ma era anche un’epoca diversa e so che non è facile per tutti. Cari attori gay, ditelo e non abbiate paura. Dopo starete solo meglio. Non fate come Kevin Spacey, che lo ha detto in un momento inopportuno”.

Al netto dello sdegno popolare, è bene ricordare quanto il coming out sia un momento fondamentale per la costruzione dell’identità di una persona omosessuale, ma non lo si può pretendere da nessuno, né considerarlo un rito di passaggio per entrare in chissà quale oligarchia morale in antagonismo con le perfide velate che “ci fanno fare brutta figura”. Ognuno di noi ha i propri tempi e modi per prendere coscienza di sé e gridarlo al mondo, e pazienza se per un attore di Hollywood bello e fieramente frocio che finisce sui poster da appendere in cameretta, ce n’è un altro più avventato e sporcaccione che perde l’occasione di diventare un modello di vita esemplare – anche perché, ahilui, adesso dovrà preoccuparsi di rimettere insieme i cocci della propria carriera annichilita.

Viviamo per fortuna in un mondo che ha ormai digerito, almeno in questo emisfero, il fatto che i gay siano persone come tutti, coi propri vizi e le proprie virtù, e che tra loro ci siano addirittura pessimi soggetti che fanno incetta di Oscar e toccano il culo di ogni aitante virgulto che gli capita a tiro. Nulla di nuovo, tra l’altro: vedi alla voce Hollywood Babilonia di Kenneth Anger.