Qualche anno fa gli Aerosmith cantavano: “Pink it’s my new obsession, pink it’s not even a question…”, il rosa è la mia nuova ossessione, il rosa non è nemmeno una domanda da porsi… Dello stesso colpo di fulmine per questo colore è stato oggetto il fotografo Greg Salvatori, che ha interpellato un migliaio di newyorchesi barbuti e ne ha infine fotografati 300 davanti a uno sfondo che avrebbe ricevuto l’approvazione di Elsa Schiaparelli, la disegnatrice di moda che rese popolare questa sfumatura di magenta nel 1937 grazie al suo profumo Shocking de Schiaparelli, la cui confezione era in “rosa shocking”, mentre il flacone in essa contenuto era modellato sul busto dell’attrice Mae West.
Una selezione delle immagini presenti nel libro Beards of New York ve la proponiamo nel portfolio di questo mese mentre con l’autore abbiamo scambiato alcune impressioni.
Cosa ti ha spinto a mettere in discussione uno degli elementi più rappresentativi della mascolinità come la barba, con il colore che tradizionalmente e in modo culturalmente autoritario è associato alla femminilità?
Io mi sono confrontato con le regole della mascolinità fin da ragazzino e mi sono accorto vivendo in paesi diversi quanto sono arbitrarie. Lo stesso bicchiere di vino rosso è normale per un idraulico italiano ma è segno di effeminatezza per l’idraulico americano o inglese: un vero uomo ordina una birra.
Tra le pieghe della mascolinità si nasconde spesso semplice misoginia. Femminile diventa sinonimo di inferiore e viene usato contro qualcuno che si vuole degradare. I miei uomini, invece, sono “immersi nel femminile”, coperti di brillantini, circondati di rosa, illuminati con tecniche fotografiche che di solito uso per i miei servizi di moda. I loro tratti più autentici, il coraggio e l’ironia, restano intatti. Questi uomini restano se stessi, coraggiosi e belli, e senza paura del rosa.
Quali difficoltà hai incontrato nel ritrarre soggetti che rappresentano qualsiasi età, gruppo etnico, colore di pelo e creatività nel suo taglio?
Per un ritratto di una persona “della strada”, non un modello o attore, il segreto è avere tempo. Mi piace prendermi il tempo di avvicinarmi alla persona, di fare in modo che lentamente il servizio fotografico si trasformi in una chiacchierata e che le luci, i flash e la macchina fotografica quasi spariscano. Anche se in realtà le luci sono studiate e gestite maniacalmente, io voglio che il soggetto non si accorga quasi di nulla mentre lavoriamo. È “un caffè con Greg” come la presento spesso.
Per questa collezione di ritratti volevo offrire la varietà sterminata di volti e di tipi che vedi in una città come New York e ho creato un progetto aperto su Facebook, Twitter, Instagram e LinkedIn. Gli uomini coinvolti hanno fatto il resto, passando parola ad amici, colleghi, fratelli, padri e perfino ai nonni barbuti! L’uomo più giovane è un diciottenne e il più maturo ha 76 anni.
Dalla donna barbuta, icona camp ma freak del circo, fino al successo camp e glamour di Conchita Wurst, secondo te cosa affascina nell’abbigliamento del mento e lo rende così senza tempo?
Senza dubbio c’è qualcosa di atavico, forse anche proveniente dal nostro passato animale, che scatta nel cervello di fronte alla barba. Diventa sinonimo di autorità e dominanza, caratteri che culturalmente associamo al “maschile”.
Da un punto di vista puramente visivo e fotografico, la barba copre parte del volto, come il velo di un’odalisca, e focalizza l’attenzione sugli occhi, la parte più immediatamente comunicativa. In una delle mie collezioni di ritratti precedente a Beards of New York ho lavorato con il velo e il burqa, ottenendo un effetto visivo simile, dove gli occhi sono il fulcro magnetico dell’immagine.
Per la comunità gay il rosa è associato al simbolo di stoffa a forma di triangolo cucito sulla casacca degli internati nei campi di concentramento nazisti per omosessualità maschile. Parlando di New York, l’associazione con gli scontri di Stonewall avvenuti pochi decenni dopo è immediata. Pensi che il futuro della comunità LGBT sarà sempre più roseo?
C’è speranza ma tocca a ognuno di noi contribuire per renderlo possibile. La maggior parte di noi ha un residuo di omofobia che ci rende critici o competitivi con altri uomini gay o con la comunità gay. Per esempio tanti non vanno al pride perché “non mi rappresenta”, e non ricordano che il pride non è un carnevale ma la celebrazione del diritto di vivere senza essere perseguitati, incarcerati o uccisi.
L’orgoglio della comunità ha ancora bisogno di crescere oltre i confini più ovvi di Madonna e Lady Gaga. La nostra storia è fatta di uomini e donne coraggiosi e capaci di rischiare, eroi come Alan Turing, scienziato e uomo gay senza il quale gli alleati non avrebbero sconfitto Hitler!
Realizzare che non siamo vittime ma che contribuiamo e siamo parte attiva e produttiva della società, ci fa capire quanto valiamo e quanto possiamo andare fieri di noi stessi e di ogni ragazzino che si alza e affronta un mondo intero perché sa di essere un po’ diverso dai suoi compagni di classe.