Lyle è un critico d’arte di successo, che vive una vita di solitudine da quando, un anno prima, è morto il suo compagno. Poi però incontra Robert, un giovane pittore per metà americano e per metà indiano che arrotonda le sue scarse entrate facendo il cameriere, e anche se la cosa lo “spaventa”, accetta il rischio di “perdere il controllo”. I due si frequentano da poche settimane quando Lyle propone a Robert di passare con lui un weekend presso due suoi cari amici , John e Marian Kerr, due coniugi benestanti che vivono in una bella villa in campagna nei pressi di un fiume, a nord di New York, con il loro bambino di un anno. Lyle avrebbe voluto parlare più diffusamente a Robert dei suoi amici e soprattutto del suo rapporto con Tony, fratellastro di John, molto amico di Marian, che è stato il suo compagno per nove anni. “Era impossibile parlare di loro senza parlare anche di lui: era tutto collegato. Cioè, lo era stato”. E così è un po’ infastidito quando sul treno non trovano due posti liberi vicini, ma sa che John e Marian gli vogliono bene e saranno contenti di vederlo di nuovo con un compagno. Anche Robert è un po’ nervoso, come capita quando si stanno per conoscere persone nuove e si sta per affrontare la prova della presentazione ai più cari amici della persona di cui si è innamorati.
John e Marian dal canto loro sembrano molto felici di rivedere Lyle, ma le cose non sempre sono come appaiono e le aspettative di ognuno sono diverse. Mentre Lyle, grazie alla presenza di Robert, sembra di nuovo preso dalla speranza, dall’attesa, dall’idea che la sua vita sta per cambiare e il giovane Robert, affascinato dal noto critico d’arte, vive il loro rapporto già come una bella e solida storia d’amore, per John e Marian le cose forse stanno in maniera diversa.
Se John, tutto preso dalla cura dell’orto e dal suo bambino, un bambino gracile e malaticcio, tranquillo in modo preoccupante, che a volte sorride debolmente “come se ricordasse qualcosa di un’altra vita, qualcosa di bello”, non sembra dare importanza al fatto che Lyle arrivi con un nuovo compagno, non è così per Marian. Dai suoi gesti e dalle sue parole traspare una sottile forma di inquietudine e di gelosia: questo weekend avrebbe dovuto avere un po’ la sacralità della commemorazione e dell’ elaborazione del lutto per la morte di Tony, che aveva voluto morire proprio in quella casa. La presenza di Robert le appare così fuori luogo e non riesce a nascondere il suo disappunto. A rendere il weekend diverso dalla raccolta e intima commemorazione di Tony che lei si era immaginata, si aggiunge la presenza alla cena in giardino di un’altra ospite, Laura Ponti, una estroversa e bizzarra amica italiana che ha preso in affitto una villa nelle vicinanze per essere vicina alla figlia che sta girando un film a New York, con la quale ha un rapporto difficile.
E così un evento ordinario come un weekend tra amici si trasforma in una catastrofe e nella sequenza di gesti apparentemente banali, nelle pieghe di una conversazione che vuole sempre essere brillante, si insinua a poco a poco una tensione fatta di emozioni incontrollate, di frustrazioni mai sopite, di cose che “si perdono e non tornano indietro, non si possono riavere mai più, se non nella copia carbone della memoria”, ma che sono ancora lì, testimoni di un passato che non si decide a passare.
Il weekend, solo ora tradotto in Italia, è del 1994. La struttura è semplice, come l’atto unico di una pièce teatrale, ma complessa e ricca di sfumature l’analisi dei sentimenti che Cameron sa far emergere da situazioni di ordinaria quotidianità. Anche in questo romanzo, come negli altri che conosciamo, tra cui Quella sera dorata e Un giorno questo dolore ti sarà utile (da cui l’omonimo film di Roberto Faenza), ammiriamo la straordinaria attenzione ai dettagli, l’ironia leggera, che a volte sembra fredda ma che è capace di scendere in profondità nell’animo umano, i dialoghi serrati che rimangono impressi nella memoria del lettore e che sanno dirci con raffinata eleganza che “lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma” e che conoscere davvero gli altri è solo un’ illusione: “Fino in fondo non conosceremo mai nessuno, vero Lyle?” “Credo proprio di no”.