Con una maggioranza schiacciante e il boicottaggio dell’opposizione socialista, l’11 marzo scorso sono stati approvati anche gli ultimi emendamenti di riforma della costituzione ungherese, tutti in senso ultraconservatore. È solo l’ultimo passaggio della politica populista, nazionalista e confessionale portata avanti con ostinazione dal premier Viktor Orbán e dal suo partito Fidesz, al potere in Ungheria dal 2010, quando ha conquistato i due terzi dei seggi insieme ai democrstiani del partito Kdnp .
Oltre a riaffermare le “radici cristiane” dello stato magiaro e a introdurre direttamente nella carta fondamentale norme restrittive della libertà di opinione, Orbán e i suoi si sono anche impegnati a definire per via costituzionale il concetto di famiglia, che si vuole formata esclusivamente da uomo e donna uniti in matrimonio e finalizzata alla procreazione. Non solo i media pubblici e privati saranno obbligati a propagandare le unioni benedette da Dio e Patria, ma sarà vietato ogni tipo di messaggio che metta in buona luce le relazioni omosessuali. Anche i nuovi programmi scolastici dovranno essere basati sulla difesa della famiglia tradizionale, e per ribadirlo il governo ha istituito la Società ungherese per le scienze della famiglia, votata, tra le altre cose, alla repressione del sesso prematrimoniale e delle coppie gay.
L’accerchiamento nei confronti delle coppie omosessuali ungheresi è evidente: con la nuova costituzione gay e lesbiche si vedono negare senza appello la possibilità in futuro di contrarre matrimonio; cancellando alcune recenti modifiche del codice penale, inoltre, si è escluso l’orientamento sessuale dalle cause di discriminazione e di violenza punibili dalla legge, impedendo nel contempo a qualsiasi associazione glbt di ricorrere alla corte costituzionale per far valere le proprie istanze. Cresce anche nel paese l’influenza del partito neonazista Jobbik, ampiamente rappresentato in parlamento, che qualche settimana fa ha avanzato una proposta di legge per punire col carcere fino a otto anni “ogni esibizione pubblica dell’omosessualità”. Resiste per ora la legge voluta nel 2009 dal partito liberale Sdsz sulle “convivenze registrate”, che concede alle sole coppie gay e lesbiche alcuni diritti civili. Quanto durerà? Dopo le ultime riforme quella legge è diventata, paradossalmente, incostituzionale. “Come fece il dittatore stalinista Ràkosi”, ci spiega Tamás Dombos, leader dell’associazione glbt ungherese Háttér, “temo che il governo voglia adottare la ‘tattica del salame’: via i diritti una fetta alla volta”.
Nel frattempo l’Unione Europea ha tenuto sotto stretta osservazione l’evolversi della faccenda, esigendo da Orbán la revisione di ogni nuova norma che mettesse a repentaglio i diritti civili. In cambio, però, ha ricevuto rassicurazioni generiche ed evasive. “Molti elettori conservatori sono convinti che i diritti glbt siano un’imposizione da parte dell’Europa”, continua Dombos. “E il governo solletica l’orgoglio  patrio, dicendo che per farci avere un prestito dal Fondo monetario internazionale l’occidente ci obbligherà ad approvare il matrimonio gay”. Questo spiega in parte l’atteggiamento sprezzante di Orbán anche dopo che i ministri degli esteri di Germania, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi hanno sollecitato il presidente della Commissione europea Barroso a non erogare aiuti economici a quei paesi membri che non rispettassero i parametri democratici della Ue. Durante un vertice a Bruxelles di metà marzo il presidente del parlamento europeo Martin Schulz ha addirittura ventilato la possibilità di espellere l’Ungheria dall’Unione per violazione dei diritti umani. Anche il dipartimento di stato americano s’è detto preoccupato per il “golpe bianco” ungherese, in seguito al quale Amnesty International e Ilga hanno manifestato il 15 marzo a Bruxelles, insieme ai militanti ungheresi, europei e della comunità internazionale, al Partito Radicale e all’eurodeputata austriaca Ulrike Lunaceck.
Le associazioni gay magiare hanno partecipato attivamente alle massicce manifestazioni di protesta che si sono svolte a Budapest nei mesi scorsi. Tamás Dombos ricorda per l’occasione le difficoltà con le quali si sono svolte le marce dei gay pride negli ultimi anni, in concomitanza con l’ascesa di Fidesz: nel 2007 e nel 2008 i partecipanti sono stati aggrediti dai neonazisti e dagli ultracattolici, mentre gli ultimi due pride, vietati in un primo momento dalla polizia, si sono svolti grazie alle sentenze favorevoli della corte distrettuale cittadina. A proposito degli EuroGayGames, che si sono celebrati nel giugno 2012 a Budapest isolando dal resto della città i partecipanti ai giochi sportivi, Dombos ammette che a causa delle minacce dell’estrema destra “l’evento s’è svolto con successo, ma era rivolto per lo più ai turisti provenienti dall’estero”. Nonostante questo clima di crescente intolleranza, rispetto alla provincia Budapest rimane ancora una città gay friendly: “È vero, il coming out non è ancora una pratica diffusa – un recente sondaggio dice che solo il 17% dei gay ungheresi è visibile al lavoro, e solo la metà lo è in famiglia. Nemmeno si vedono gesti pubblici di affetto. Il panorama glbt della capitale, però, è vivace: ci sono bar, saune, ristoranti, associazioni culturali e politiche”. Intanto, la battaglia politica contro Orbán continua, ma i gay sono piuttosto preoccupati: “Il nostro servizio di assistenza legale riceve molte chiamate per capire quali saranno i risultati concreti delle modifiche costituzionali: per ora non ne abbiamo idea. Nel movimento c’è un senso generale di rabbia e frustrazione. Molte persone si stanno avvicinando alla nostre associazioni chiedendo di partecipare alle proteste, mentre altre stanno decidendo semplicemente di lasciare il paese”.