La band indie rock gay milanese Egokid dopo aver pubblicato il sesto album parte in tour con tappe iniziali che più arcobaleno e militanti non si può. Se non aveste l’occasione di ascoltare dal vivo il loro pop d’avanguardia allo stato puro, o se non li conosceste ancora, ve li presentiamo come solo noi sappiamo fare.

 

Dove finisce il rock e comincia il pop? Dove finisce il pop e comincia il rock? Gli ultimi decenni hanno visto migliaia di artisti, di band internazionali, muoversi agevolmente tra queste due linee di demarcazione, due ideali linee parallele musicali. Hanno sondato prima l’una, poi l’altra linea, percorrendole su binari separati; infine, hanno lanciato un ipotetico ponte tra di loro: non potendosi incrociare se non all’infinito, ne hanno costruito un’altra a mezz’aria, divertendosi a spostarsi orizzontalmente tra l’una e l’altra, sostando, spesse volte, nel mezzo.

Non è un discorso a tavolino quello fatto dagli Egokid, ormai storica band milanese (le loro prime produzioni rigorosamente in lingua inglese risalgono al 2000), forse la prima italiana ad avere fatto “coming out” con il loro repertorio (ricordiamo per esempio il titolo del brano di apertura del loro primo album Hetro retro homo superior o l’emblematica Burdizzo bloodless castrator).

Più in generale, molta della loro produzione è intrisa di immaginario LGBT, sia come riferimenti musicali (qualcuno all’inizio della loro avventura discografica li aveva paragonati a una reincarnazione degli Smiths in stile italico), sia per una connaturata e genuina voglia di sperimentare sound e armonie senza costrizioni, in piena linea con il “sentire” del momento degli autori, in primis Diego Palazzo e Piergiorgio Pardo, entrambi militanti della scena gay milanese. Diego condusse in tempi non sospetti la trasmissione L’altro martedì su Radio Popolare, e tutt’ora Piergiorgio resta un collaboratore fisso della radio per il programma di musica alternativamente trasversale Mash-Up.

Se Minima storia curativa (2008), il loro terzo album (il primo in lingua italiana, scelta per un approccio più intimista ai testi) sembra lontano anni luce, così non lo è Ecce Homo (2011), un album definito dalla stessa band “post-gay”, in cui vi era la necessità, partendo da una prospettiva omosessuale, di descrivere contenuti universali che, proprio perché tali, erano più provocatori. A tal proposito dissero: “La rappresentazione dell’omosessualità come gesto politico non è più l’unica nostra priorità anche perché, a livello mediatico, la cultura gay offre ormai da tempo modelli assimilati dalla società e dal mercato, anche in Italia. E poi non è più il tempo di fare arte per arte. Non adesso”.

Canzoni come L’uomo qualunque e Credo (ma anche Una vita, con un delirante cameo di Alessandro Fullin nel video ufficiale) suonano oggi quanto mai attuali, non solo dal punto di vista lirico; Ecce Homo era forse il primo album in cui gli Egokid ammettevano “si, non siamo solo duri e puri, ossia rock, siamo anche pop”.

A proposito di prospettiva omosessuale, l’emblematico video di Come un eroe della Marvel veniva pubblicato in un periodo in cui, per lo meno in Italia, l’immaginario gay nei videoclip era tutt’altro che sdoganato, una sorta di Brokeback Mountain dell’indie italiano. “Rispetto al 2011 si sono fatti passi avanti, ma anche dei passi indietro. A volte abbiamo la sensazione che il sistema chieda di rinunciare a troppe cose per concederne poche e sempre in ritardo rispetto alla naturale evoluzione dei tempi. La comunità LGBT ha gli stessi pregi e difetti di allora, forse però è complessivamente più consapevole, meno scollata dalla realtà. Nessuno di noi si illude che il tempo di dare messaggi forti sia finito. Quel video all’epoca ci costò non poco: tagliò le gambe a un pezzo che era entrato nella programmazione delle radio, Radio Deejay in testa. Ma quel lungo close up girato dalla videomaker Valeria Sanna di due uomini che si baciano guardandosi negli occhi era troppo allora ed è troppo oggi. Quindi lo rifaremmo”.

Nel 2014 esce Troppa gente su questo pianeta, un album molto intimo, dai toni malinconici e al contempo reso “duro” da quel rock che idealmente gli Egokid non hanno mai abbandonato. “I nostri dischi, i nostri testi rispecchiano i momenti della nostra vita. In Troppa gente su questo pianeta si può ascoltare la consapevolezza che comunque vada tutto avrà una fine. Non ci possiamo sottrarre al destino, alla malattia (Un’altra dimensione, L’alieno), alla vecchiaia (La madre), ma possiamo vivere serenamente, senza patemi d’animo”.

Il disco conteneva Il re muore, una lucida e spietata analisi sull’amore che muore, scritta assieme e pubblicata ancor prima da Samuele Bersani sul suo Nuvola numero 9. “Il re muore  – dice Piergiorgio –  è nato come piano e voce riguardante la fine di un grande amore di Diego. Abbiamo preso l’idea iniziale e l’abbiamo rilavorata, poi ci è sembrato giusto che fosse lui a cantarla. In tutto questo Bersani ne ha fatto una sua versione per il suo album e l’ha co-firmata”.

Restando in tema di intimità, un altro brano che resterà come emblema di quell’album “tormentato”, in cui “rifugiarsi è bello”, è Solo io e te, in cui si percepisce impellente la necessità di allontanarsi dal mondo, per vivere solo le cose importanti… “È la storia di due amanti che scelgono di annegare insieme per sfuggire a una quotidianità che non li accetta. Una Albergo a ore wave, tragicissima e molto rock. Gli amanti moriranno al largo, al riparo dai giudizi, lontani come due divinità. Amiamo moltissimo quel pezzo”. 

Passano un po’ di anni, Diego esce nel 2016 con un disco solista (Prima) a metà tra cantautorato e synth pop e prodotto da Giacomo Carlone (il batterista degli Egokid che ha firmato anche i suoni e la produzione del nuovo album); un membro della band, il bassista Fabrizio Bucchieri, lascia e viene rimpiazzato da Giuseppe Fiori, mentre Piergiorgio Pardo lo troviamo come il prezzemolo in 10.000 ambienti sonori (tra cui più recentemente nel disco di Andrea Tich e in quello di Fabio Zuffanti in veste di paroliere).

Mentre fervono i preparativi per il lancio del nuovo album, gli Egokid si “concedono” un’altra collaborazione, quella per l’amico scrittore e autore teatrale/televisivo Matteo B. Bianchi, che lo scorso anno ha pubblicato Yoko Ono: Dichiarazioni d’amore per una donna circondata d’odio (ed. ADD Editore). Sulla scia di quel libro nasce l’idea di suOno, un progetto musicale dedicato alla famigerata “strega”, a cui partecipano (oltre agli Egokid) anche Populous & Lucia Manca, LeMandorle, M¥SS KETA, Bonetti, Boosta dei Subsonica con Gaia Trussardi, insomma la crème dell’alternative italiana firmato INRI.

Grazie a Eurocrash, una piattaforma di produzione musicale impegnata nella promozione di artisti queer, prende il via anche la realizzazione dello splendido video diretto da Stefano Libertini Protopapa Death of Samantha, la cover che gli Egokid regalano per questo progetto (è dello scorso autunno un altro video emblematico tratto dalla stessa compilation e a opera dello stesso regista, quello di Toyboat interpretato da Populous & Lucia Manca). Nel video la diva Samantha nel 1989, all’apice del successo e circondata da uno stuolo di amici e fan è interpretata da Daphne Bohémien; nel 2019 la stessa “has been”, che sulla via del declino si esibisce in un locale semivuoto, è interpretata da Piergiorgio Pardo.

Lo scorso marzo esce Disco disagio. Ed è un colpo. La malinconia dell’album precedente viene inesorabilmente spazzata via; Noi non balliamo più, che chiudeva concettualmente il disco, con il senno di poi, assume ancor di più concettualmente i contorni per la chiusa di un capitolo: “Non balliamo più è stata inizialmente concepita da Diego come una sorta di inno generazionale, sui ‘figli del riflusso’, poi il discorso si è universalizzato, come spesso accade durante la lavorazione dei nostri pezzi. ‘Noi non la beviamo più’ è un doppio senso, ovvero allude anche alle palle che ci mostrano in televisione. La vita finta e felicemente sposata della televisione, ricorre anche ne La Pubblicità, canzone (divina, N.d.R.) che abbiamo scritto per la mitica Prohibida”.

Ecce Homo, che sembrava lontano anni luce, rivive come una sorta di continuum in Disco disagio, con il quale ha diversi punti di contatto. È un tornare indietro per andare avanti. O no? “Io e Diego siamo sempre le stesse puttane antifasciste che scrivono canzoni a partire da quello che provano, che pensano, che ballano e che assumono. Il mood quindi può cambiare in relazione alla nostra vita sentimentale, a chi ce lo dà e/o non ce lo dà, al clima politico, allo stato dell’arte del clubbing, alle interviste di Cher. A ogni mood però corrisponde una ricerca sul suono e sul linguaggio, per cui ogni disco ha la sua atmosfera, così come ogni periodo delle nostre vite”.

L’album è stato anticipato dal singolo Cose semplici, che fa tutt’uno con il retro (il lato b che, come spesso accade, è ancora più accattivante e coinvolgente del lato a) ed è legato da un fil rouge con quel Soli io e te citato sopra; ossia abbiamo bisogno di cose semplici, perché il progresso è insostenibile. “Se non la smettiamo di produrre di tutto a tutti i costi, merci, notizie, fatti memorabili, casi umani, arte, politiche corrette, polemiche scorrette, gente famosa, gente di talento, gente normale che diventa speciale e speciale che vuole essere normale, se non cominciamo a ‘ignorare gli utili’ e il progresso, imploderemo in un mare di scorie con una bandiera della pace in una mano e un carciofo a km 0 nell’altra. Le ‘Cose semplici’ sono quelle che si nascondono sotto, dietro, oltre le scorie. E sono movimento, o causa di movimento. Nessuna di esse è Statica”.

Ad aprire le danze è proprio la title track, che con lucida e perfida ironia, analizza il malumore quotidiano al pari di quello che fu con L’uomo qualunque. Una canzone popolare ma non populista, dedicata ai “very normal people” che non hanno forconi, non bevono “kaffé” e non pubblicano gattini. Vero orgoglio radical chic.

Ma che c’entrano i gattini? “Abbiamo riscontrato statisticamente che più sono fasci, più rompono i coglioni coi gattini. Per inciso, la mamma di Diego ha cinque cani e due gatti, io (Piergiorgio) diversi animali domestici, tra cui Diego Palazzo, e amo tantissimo i gattini, ma anche i gattoni e naturalmente tutte e 50 le sfumature di orsi. Sono i fasci che dovrebbero piantarla di inquinare la rete. È uguale quando figliano e sbattono neonati in copertina, per la gioia di Matteo, Daniela, Giorgia, Vittorio e del Ratzy: le colpe dei padri non ricadono sui figli, ma ricadono su Instagram. Mi sembra sia veramente il caso di citare la peggiore destra: i bambini non sono un diritto, ma nemmeno un merito, di chi li ha fatti. Lo stesso dicasi per i gattini”.

Quanto mai attuale in questo periodo è Io tu e le foglie, un synth pop che funge da colonna sonora alla perenne guerra tra le foglie cattive e quelle buone e dove le prime però, sembrano avere (ahinoi) la meglio su quelle buone. Per nostra fortuna non tutto è perduto: se ormai siamo inondati da “spazzatura musicale” (citando il maestro) elevata ad arte su un palcoscenico, a opera di presunti “luminari” e illustri addetti ai lavori, ci resta alla fin fine un briciolo di orgoglio, poiché al di là delle presunte o dimostrate capacità (non solo canterine), ciascuno di noi possiede un suo personalissimo X Factor. Dobbiamo solo avere il coraggio di mostrarlo al mondo. “Pensando a Grace Jones che nel suo Slave To The Rhythm cita Edith Piaf, potremmo anche noi dire ‘Use yourself, use your defects, and you’re going to be a star’ (usa te stesso, usa i tuoi difetti, e sarai una star). Quindi è questo il metodo con cui, in questa vita o in una delle prossime, diventeremo delle star”. 

Facile, a dirsi, quando vivi in una metropoli, circondato da amici rassicuranti, ultimo baluardo di un’oasi felice (ma anche una prigione dorata se preferite) in mezzo al deserto culturale e retrogrado della provincia. Mille luci in tal senso, è un tributo alla vita serale e notturna di città, le cui luci rappresentano un firmamento in cui perdersi è liberatorio e/o inevitabile. Ma è anche una canzone d’amore. “Il brano parla di una coppia che non fa più sesso; uno dei due dice all’altro che andrà a cercarsi altre fonti luminose per rinvigorirsi il firmamento. È uno dei due pezzi dell’album sul sesso occasionale, l’altro è Lost in Venice: la sinistra esca dalla laguna, nel senso di stagno”. 

Insomma, le premesse al disagio ci sono tutte. Tuttavia gli Egokid sono riusciti con (auto)ironia a trasformare il pianto malmostoso in un’augurale Buona tragedia, come cantano al termine del disco: “In Buona tragedia consigliamo di piangere fino a quando non sei sazio e consolato, godendoti il pianto come se non ci fosse un domani non solo, ma anche di farsi ispirare dal peggio, soprattutto quando il peggio è passato e subentra quella che Ungaretti chiamava ‘allegria di naufragio’”.

In un panorama in cui la musica liquida ha preso definitivamente il sopravvento, da integerrimi radical chic gli Egokid hanno deciso di tornare al vinile. Inizialmente il disco sarebbe dovuto uscire solo in digitale e sul caro vecchio acetato, ma poiché non vogliono elemosinare nulla, il CD è stato inserito come “omaggio” all’interno del LP.

A quel formato che è tornato in voga da un po’ di anni a questa parte hanno addirittura dedicato un brano. È un’attrazione fatale e fetish, una dichiarazione d’amore e di senso del possesso, poiché la plastica ha un’anima e si chiama, appunto, Vinile: “In questo momento l’LP, il supporto di lunga durata è un’esigenza soprattutto dell’artista e del suo staff di promozione, la filiera commerciale di un disco produce un ritorno economico talmente insignificante che potremmo tutti smettere. Però il rock e il pop come li conosciamo adesso sono nati insieme al supporto, in fondo il disco fa ancora riferimento, nella sua concezione, a un concerto, a una performance dell’artista e ne è la sua unica evidenza fisica, a parte la dimensione live. Credo che questo sia sufficiente a garantire che una fruizione liquida e frammentata non prenderà mai completamente il posto delle altre modalità. Staremo a vedere”.

Con queste premesse, Disco disagio si appresta a incoronare gli Egokid come emblemi di un’inimitabile art-pop dello scazzo. “Lo scazzo è la cosa più elegante che esista e noi siamo degli insopportabili radical chic, brutte persone”.

 

EGOKID DISCO DISAGIO PRIDE TOUR 2019

15/06 – Torino Pride 2019
23/06 – Festival MIX Milano
28/06 – Milano Pride
07/07 – Cassero LGBTI center – Bologna

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