A meno di due settimane dalle elezioni europee intervistiamo Daniele Viotti, europarlamentare italiano gay dichiarato, che si ricandida per proseguire l’intenso impegno sui diritti che ha guidato il suo mandato negli ultimi cinque anni.

 

Daniele Viotti (www.danieleviotti.eu) è tra i rari parlamentari europei omosessuali e visibili. L’avevamo conosciuto nel 2014 quando, da attivista LGBT, incalzava i politici del Partito Democratico, compreso il segretario Matteo Renzi, con domande sui diritti e sull’uguaglianza. Proprio a Renzi riusciva a far dire: “Faremo le civil partnership: uguali diritti per le coppie gay rispetto a nozze”, impegno poi mantenuto con la legge sulle unioni civili. Allora era anche tra i promotori della campagna “Vorrei ma non posso. It’s wedding time”.

Eletto al Parlamento europeo con quasi trentamila preferenze, ha proseguito con il suo impegno arcobaleno ed è stato co-presidente dell’Integruppo per i diritti LGBTI, che riunisce gli eurodeputati visibili e attivi sulle politiche dei diritti e contro l’omo/transfobia.

Lo abbiamo incontrato per fare il punto sul suo mandato appena concluso e sulla sua ricandidatura alle prossime elezioni del 26 maggio nella circoscrizione del Nord-Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta).

Sei il primo europarlamentare unito civilmente. Come ci si sente?

Mi sono unito civilmente con Daniele, il mio compagno da oltre 12 anni, il 27 maggio 2017. È vero, sono stato il primo europarlamentare italiano a unirsi civilmente e quel momento, che ricordo ancora con grandissima emozione, è stato l’inizio di un percorso che seguiva un importante traguardo politico con cui rilanciavamo il nostro impegno verso il raggiungimento della pura uguaglianza. Avevamo deciso di fare questo passo non appena ne avessimo avuta l’opportunità e, nonostante avessi potuto sposarmi in Belgio da parlamentare europeo tempo prima, abbiamo deciso di non farlo perché sarebbe stato un privilegio.

Nel 2012, tra l’altro, avevamo già celebrato un matrimonio simbolico durante il Torino Pride per “Vorrei ma non posso. It’s Wedding Time”, la grande campagna di sensibilizzazione sul matrimonio egualitario lanciata dall’associazione torinese Quore.

Il mandato di europarlamentare si è concluso. Puoi stilare un bilancio sintetico delle tue attività sui temi arcobaleno?

Durante questa legislatura abbiamo compiuto notevoli passi avanti nel rispetto dei diritti delle persone LGBTI. Con grande orgoglio ho guidato, prima con Ulrike Lunacek e poi con Terry Reintke, il più grande intergruppo presente al Parlamento europeo, portando all’attenzione situazioni di grave pericolo per le persone omosessuali, come quelle in Cecenia, partecipando a iniziative in giro per il mondo, come al pride di Istanbul e alla prima conferenza sui diritti LGBTI in Tunisia.

In qualità di co-presidente dell’Intergruppo per i diritti LGBTI del Parlamento europeo ho avuto la possibilità di lavorare con 13 Commissioni differenti per sensibilizzare gli eurodeputati sulle questioni LGBTI e promuovere il rispetto dei diritti di tutti. Grazie all’azione dell’intergruppo abbiamo adottato più di 100 testi LGBTI-friendly, incluse 77 relazioni e 49 risoluzioni. Con il supporto dell’intergruppo sono state presentate 161 interrogazioni (scritte e orali) alla Commissione europea, al Consiglio e al Servizio europeo per l’azione esterna. Sono state altresì inviate più di 100 lettere alle diverse istituzioni europee, ai governi e alle autorità degli Stati membri e a paesi terzi per promuovere la tutela dei diritti LGBTI.

È davvero molto lavoro.

Tra i diversi testi approvati, uno di quelli di cui vado più fiero è sicuramente la prima risoluzione sui diritti delle persone intersessuali, votata lo scorso febbraio. Questa risoluzione denuncia le violazioni dei diritti umani delle persone intersessuali e chiede alla Commissione europea e agli stati membri di intervenire per garantire l’integrità fisica, l’autodeterminazione e l’autonomia dei bambini intersessuali.

Sempre grazie all’azione dell’intergruppo, il Parlamento ha potuto approvare, nel febbraio scorso, l’Elenco di azioni per far progredire l’uguaglianza delle persone LGBTI presentata dalla Commissione. Inoltre, sono stati compiuti enormi passi avanti sulla libertà di circolazione delle famiglie, incluse quelle LGBTI, dopo la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE sul caso Coman. Sono state condannate le terapie di conversione nella risoluzione votata a gennaio sulla Situazione sui diritti fondamentali all’interno dell’Unione europea nel 2016 ed è stato garantito il riconoscimento legale di genere basato sull’autodeterminazione per le persone transessuali. Infine, è stato inserito più volte un capitolo riguardante la tutela dei diritti LGBTI nei testi che definivano e regolavano le relazioni tra l’Unione europea e i paesi terzi.

Sei intervenuto anche su alcuni casi italiani come il “Congresso mondiale delle Famiglie” di Verona.

Con alcuni colleghi eurodeputati, ho deciso di scrivere al Presidente Tajani per chiedere chiarezza in merito alla notizia sulla sua presunta partecipazione al Congresso. Considerata la sua carica ed essendo il rappresentante di tutti i cittadini e di tutte le cittadine europee, era fondamentale che si astenesse dal partecipare a eventi che incitano all’odio contro gruppi vulnerabili. Fortunatamente, a seguito della nostra lettera, il Presidente Tajani ha reso noto pubblicamente di non prendere parte all’evento in questione.

Qualche settimana fa, infine, sono intervenuto in aula durante la sessione plenaria per denunciare la reintroduzione della pena di morte per lapidazione per gli omosessuali e per i credenti di altre religioni, voluta dal sultano del Brunei. Qualche giorno dopo, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che condanna fermamente l’entrata in vigore del retrogrado codice penale basato sulla Sharia ed esorta le autorità del Brunei ad abrogare immediatamente tale codice e ad assicurare che le leggi del paese rispettino il diritto e le norme internazionali per quanto concerne le minoranze sessuali, le minoranze religiose e i non credenti. Inoltre, il Parlamento ha invitato il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), nel caso di un’effettiva applicazione del codice penale basato sulla Sharia, a valutare la possibilità di adottare misure restrittive in relazione a gravi violazioni dei diritti umani, compresi il congelamento dei beni e i divieti di visto, inviando altresì l’Alto Rappresentante a subordinare il riavvio dei negoziati per l’accordo di partenariato e cooperazione tra l’UE e il Brunei alla conformità del codice penale al diritto internazionale e alle norme internazionali in materia di diritti umani.

Dove si poteva fare di più e meglio secondo te?

Nonostante abbiamo compiuto grandi passi avanti per il rispetto dei diritti delle persone LGBTI durante questa legislatura, sono consapevole che il lavoro da fare è ancora molto. Penso per esempio all’adozione della Direttiva orizzontale anti-discriminazione che è bloccata in Consiglio da ormai dieci anni o al fatto che i diritti delle persone transessuali non siano sufficientemente rispettati, considerato che ancora oggi la sterilizzazione è un requisito per il riconoscimento giuridico del genere in otto Stati membri, e diciotto Stati membri richiedono una diagnosi di salute mentale.

Ancora, si dovranno fare passi avanti anche per tutelare i diritti delle persone intersessuali poiché ancora in ventuno Stati membri i bambini intersessuali vengono sottoposti a interventi di “normalizzazione” sessuale. Al riguardo penso che sia necessaria un’armonizzazione della legislazione degli Stati membri: il modello è quello della legislazione portoghese e di quella maltese che proibiscono gli interventi chirurgici. Le identità intersessuali devono essere depatologizzate in tutti gli Stati membri e le persone intersessuali devono beneficiare dei più alti standard di salute previsti nella Carta delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.

Infine, nel campo del diritto di asilo, il recepimento dell’art. 10 della Direttiva sulla richiesta di asilo per le persone LGBTI perseguitate è ancora difficoltoso, come dimostra il caso del ragazzo iraniano gay e cristiano a cui è stato negato il riconoscimento dello status di rifugiato nonostante fosse perseguitato nel paese d’origine e per il quale ho presentato un’interrogazione scritta alla Commissione europea con la collega Pina Picierno.

Resta il fatto che per i diritti LGBT l’attuale Europa è a macchia di leopardo. Come si può agire per armonizzare le legislazioni?

È vero: i diritti delle persone LGBTI non sono tutelati in modo uniforme in tutta Europa ed è per questo che ribadisco sempre che, nonostante i traguardi raggiunti, il lavoro da fare è ancora tanto. L’UE non dispone ancora di una protezione globale contro la discriminazione basata sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale o sulle caratteristiche sessuali. Le unioni omosessuali non sono riconosciute o tutelate in tutti gli Stati membri. La sterilizzazione è un requisito per il riconoscimento giuridico del genere in 8 Stati membri e 18 Stati membri richiedono una diagnosi di salute mentale.

Nel frattempo, l’elenco delle azioni rimane limitato in termini di priorità e di impegno e le risposte innovative dell’UE, come il pilastro dei diritti sociali, non vengono integrate. Purtroppo la competenza per legiferare in questo senso rimane esclusiva degli Stati membri e, di conseguenza, l’Unione europea non può avere l’ultima parola al riguardo. Mi auguro che in futuro possa riaprirsi una discussione in merito alla riforma dei Trattati al fine di ridefinire le competenze dell’Unione europea per poter garantire pari diritti a tutti i cittadini europei.

Il Partito democratico è fortemente europeista. Perché l’Europa può fare la differenza sui temi LGBT?

L’Europa, come ho precedente affermato indicando tutti i traguardi raggiunti dall’intergruppo durante questa legislatura, svolge un ruolo fondamentale per il rispetto dei diritti LGBTI. Si pensi per esempio alla legislazione antidiscriminatoria sulla base dell’orientamento sessuale sul luogo di lavoro cui tutti gli Stati membri hanno dovuto dotarsi in seguito all’approvazione da parte del Consiglio della direttiva sulla parità di trattamento (2000/78/CE). O si pensi ancora agli svariati interventi del Parlamento europeo sulle tematiche LGBTI, nei quali ha chiesto ripetutamente agli Stati membri di legiferare in materia antidiscriminatoria con risoluzioni che, più o meno sinteticamente, ribadivano la necessità che venissero adottate legislazioni antidiscriminatorie in vari ambiti dalle legislazioni nazionali.

Nell’attuale mandato il Parlamento europeo si è espresso più volte su tali questioni, in particolare nelle relazioni periodiche sui diritti umani e la democrazia nel mondo, “incoraggiando le istituzioni e gli Stati membri dell’UE a contribuire alle riflessioni sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili e invitando la Commissione e gli Stati membri a elaborare proposte per il riconoscimento reciproco di tali unioni e delle famiglie dello stesso sesso in tutta l’UE”.

E sui temi economici? La critica all’autoritarismo europeo e alla distanza dell’Europa dai popoli è diffusa anche a sinistra.

Sono consapevole del fatto che i cittadini si sentano distanti dalle istituzioni europee e, proprio per questo motivo, in questi anni ho sempre cercato di ascoltare più che parlare, per scoprire cose che non conoscevo e provare a intervenire per quel che potevo. Vi faccio un esempio: in qualità di relatore al bilancio generale UE per il 2019, a seguito di un confronto con i membri del board della European Dyslexia Association (EDA), ho inserito nel bilancio un progetto pilota che ha lo scopo di sviluppare una soluzione a livello europeo per consentire l’accesso ai documenti ufficiali per le persone con disturbi di lettura. I disturbi della lettura rappresentano una delle problematiche più comuni che colpiscono i cittadini europei e questo progetto pilota rappresenta una grande opportunità per dimostrare come l’Europa sia capace di essere davvero inclusiva e dare risposte concrete ai problemi dei cittadini. Credo che l’Europa debba impegnarsi maggiormente con azioni di questo tipo, per cercare di ridurre quella distanza che i cittadini ancora percepiscono.

Condividi l’idea che i fascismi e i razzismi stiano crescendo? Noi persone LGBT siamo in pericolo?

È innegabile che in questo momento storico stiamo assistendo a un’avanzata dell’estrema destra non solo in Italia ma in tutta Europa. Viviamo in tempi in cui la paura è diventata la principale moneta politica che i partiti mettono sul piatto per guadagnarsi un po’ di consenso. Una paura che nasce dall’incertezza per il domani, per la crisi del mercato del lavoro, per gli assetti geopolitici e, in questo contesto, nascono veri e propri “mostri” che urlano forte soluzioni molto semplici e semplicistiche, lanciandosi in battaglie che definirei antistoriche. Spesso, tuttavia, questi politici non sono interessati ad affrontare la questione LGBTI. Pensiamo a Donald Trump o a Marine Le Pen che non hanno mai detto pubblicamente di voler abrogare le leggi che, nei loro paesi, permettono le unioni tra persone dello stesso sesso.

Nonostante il clima che si sta respirando in questo periodo, anche chi soffia sul malessere delle persone sa che retrocedere sui diritti sarebbe comunque una battaglia antistorica e penso che difficilmente tenteranno di farlo. Allo stesso tempo, tuttavia, quello che c’è, quello che abbiamo ottenuto anche a fatica, non dobbiamo in nessun modo darlo per scontato. Nemmeno dopo anni, nemmeno dopo decenni. Ogni traguardo va confermato, va ribadito, rinvigorito e rilanciato. Pensiamo alla risposta che abbiamo dato al Congresso delle Famiglie che si è svolto a Verona. Io c’ero, insieme a tantissime altre persone, a sfilare per le vie della città per dire a tutti i partecipanti al “Congresso degli Antenati” che, nonostante le loro idee vergognose e retrograde, noi impediremo con tutte le nostre forze che questo paese faccia anche soltanto un passo indietro.

Ecco perché è importante marciare e continuare a farlo, perché anche quando tutto sembra ottenuto e quando tutto sembra giocare a nostro favore, non bisogna mai abbassare la guardia.

Veniamo all’Italia. Ci siamo fermati alla legge Cirinnà, approvata dal partito che rappresenti, incompleta se pensiamo che solo il matrimonio realizza la piena uguaglianza etero e gay nella forma e nella sostanza. Perché?

Non ho potuto votare il DDL Cirinnà che ha finalmente regolato le unioni civili nel nostro paese, ma ho lavorato per far sì che il mio partito, il Partito Democratico, fosse unito sul tema, anche confrontandosi con quanto accadeva in Europa. L’ho detto tante volte: questa legge è un primo traguardo importante ma non è sufficiente. Non prevede il matrimonio, non contiene tutto il tema della genitorialità e non contiene la stepchild adoption. A tal proposito sento ancora le ferite sulla pelle del tradimento del M5S, quando all’ultimo minuto decisero di non votarla.

Credo che le unioni civili siano sia fatti privati sia atti politici e ritengo sia necessario porre la stessa intensità che abbiamo impiegato per arrivare a questo primo traguardo, per raggiungere l’uguaglianza piena con il matrimonio.