Due coppie, una gay e una eterosessuale, le cui vite non potrebbero essere più distanti, sono accomunate da una medesima pericolosa fragilità che si nasconde tra le pieghe della loro relazione.

 

Il dolore è l’inconveniente della vita che non sempre torna utile e spesso travolge tutto lasciando nelle relazioni solo macerie, e con Gli inconvenienti della vita (Adelphi Edizioni) il romanziere americano Peter Cameron (tra gli altri suoi lavori Quella sera dorata, Un giorno questo dolore ti sarà utile, Coral Glynn, Il weekend) ci propone un dittico di novelle sulla paura di affrontare i cambiamenti per quello che rivelano di noi che non desideriamo vedere.

La prima, La fine della mia vita a New York, narra le vicende dello scrittore Theo che, dopo un incidente stradale da lui stesso provocato, perde sia il lavoro di insegnante che l’ispirazione. Cercano di aiutarlo a uscire da questa impasse Stefano, il compagno e avvocato in carriera con cui convive in un grande appartamento nel quartiere di Tribeca a New York, e l’amica Natasha. L’unico però che sembri in grado di dargli sollievo fisico ed emotivo è il dottor Ying, il suo agopuntore.

In Dopo l’inondazione, invece, Robert Bird e la moglie, sono una coppia di pensionati che vivono in una zona rurale degli USA, incapaci di accettare la morte della figlia e della nipote provocata anni prima dal genero. Su invito del reverendo Judy, guida spiritale della loro comunità metodista, ospitano in casa la famiglia Escobedo la cui abitazione è stata gravemente danneggiata dall’esondazione del fiume. La convivenza, seppur breve e quasi asettica, porterà i due coniugi a riconsiderare la propria vita e le proprie scelte.

Due diversi approcci narrativi, due ambientazioni antitetiche, due coppie di protagonisti di estrazione sociale e culturale agli antipodi, due vicende così diverse tra loro da far pensare alla pubblicazione di questi quasi romanzi brevi in un solo volume per finalità puramente commerciali. Invece le due storie sono un continuo specchiarsi una nell’altra: due titoli inesorabili, due coppie apparentemente stabili ma in realtà in crisi profonda, persone esterne che si “intromettono” per offrire un aiuto che non sarà comunque accettato.

Tutti i personaggi sembrano condividere la paura per il mutamento e l’impossibilità di superare un trauma. Se la felicità arriva sempre per troppo poco tempo, la depressione sembra mettere radici che non si posso divellere, perché la vita può essere difficile e deludere, può arrivare ad annientarci, e a volte sembra insopportabile da sostenere.

In tutto questo Cameron è, come sempre, ottimo nel cesellare ogni frase e ogni parola. Di Theo, incapace di proseguire nella stesura del nuovo romanzo, dice che “non si sentiva più cittadino della nazione del proprio libro; era stato esiliato”. Mentre la moglie chiede a Robert: “Tu sei felice?”, e lui risponde spiazzante: “Felice? In che senso felice? Sono un adulto”.

Cameron nei decenni scorsi è stato inquadrato come scrittore di narrativa LGBT e non sappiamo quanto la cosa possa averlo favorito od ostacolato nel farsi apprezzare dal grande pubblico.

In La fine della mia vita a New York i protagonisti sono due uomini gay e una donna lesbica. Tuttavia se variassimo l’orientamento sessuale di uno di loro o di tutti, la storia non subirebbe alcuna variazione. Vivono, litigano, si scontrano, si lasciano, hanno dubbi, incidenti, si sentono perduti e disillusi, a prescindere.

In Dopo l’inondazione il personaggio del reverendo Judy è “sospettato” dalla moglie di Robert di essere lesbica: non ha marito, ha due figlie (dove le avrà mai avute?) e ha in casa una ragazza alla pari che forse per la donna è anche “altro”. Ma la signora Bird più che dal probabile orientamento sessuale della religiosa sembra infastidita dalle continue irruzioni di quest’ultima nella propria vita.

Abbiamo posto a Peter Cameron la domanda se il suo è un nuovo o diverso modo, magari più auspicabile, di fare letteratura LGBT.

Dato che io provo a pensare tutti i miei personaggi come esseri umani, non vedo perché l’orientamento sessuale dei protagonisti LGBT dovrebbe avere alcuno o più effetti differenti sulla trama rispetto a quelli eterosessuali. Naturalmente i nostri mondi e le nostre vite sono caratterizzati e influenzati dalla nostra sessualità, ma è solo uno di molti fattori che ci rendono ciò che siamo. E così io cerco di prendere atto della sessualità dei miei personaggi e di includerla nella misura in cui è relativa alla loro storia, ma non penso che sia necessario, o che abbia uno scopo, trattare i miei personaggi LGBT in un modo diverso.

Tu hai scritto cinque romanzi. Tre di questi sono diventati film (realizzati da registi come James Ivory e Roberto Faenza, con attori come Gena Rowlands, Anthony Hopkins, Naomi Watts, Charlotte Gainsbourg ed Ellen Burstyn). Un’altra pellicola (basata su Andorra) è in fase di pre-produzione. Seconde te, cosa rende i tuoi romanzi così cinematografici?

In tutti i casi che hai menzionato è stato un particolare regista a interessarsi a un mio libro in specifico, ed è quello il motivo per cui sono stati realizzati i film. Non c’è mai stato un effettivo interesse per i miei libri da parte dell’industria cinematografica. Le opere sono tutte state sottoposte agli studi cinematografici e alle case di produzione ma nemmeno una volta ne sono stati acquistati i diritti. È solo quando un regista rimane colpito in modo personale da un mio romanzo che un film è realizzato.

Io scrivo in modo cinematografico. Sono interessato a portare il mondo reale nei miei libri, e mi piace che i personaggi portino avanti l’azione attraverso i dialoghi. Quindi penso che molti registi sentano che possono vedere e ascoltare i miei libri mentre li leggono, e ciò rende loro più facile immaginarli come pellicole.

In La fine della mia vita a New York il personaggio di Natasha sta scrivendo la sceneggiatura di Il Gigante di Edna Ferber, che – come si giustifica lei stessa – non sarà “propriamente un remake” del film di George Stevens (con James Dean, Elizabeth Taylor e Rock Hudson N.d.R.), ma una “completa reinvenzione ambientata negli anni Ottanta come Dallas (Joan Collins era la protagonista di Dynasty).”. Il personaggio di Theo, inoltre, sembra non avere in generale una buona opinione sulle trasposizioni cinematografiche dai romanzi. Qual è invece la tua opinione sui film tratti dai tuoi libri?

Non penso che i film tratti dai libri siano degli adattamenti. Penso che siano dei nuovi e diversi lavori artistici, creati da un’altra persona, con un altro mezzo espressivo e pertanto non sono più collegate al materiale di partenza. Per questa ragione non mi va di passare del tempo pensando o parlando dei film basati sui miei libri, perché non sono miei e non hanno nulla a che fare con me.

Tu hai scritto di persone LGBT fin dal tuo primo romanzo Leap Year (1990). Come è cambiata questa comunità, nella vita reale e nei tuoi romanzi, negli ultimi trent’anni a New York dove vivi, e in generale nel tuo paese?

Mi sembra che la vita LGBT sia drasticamente cambiata da quando mi sono trasferito a New York e ho cominciato a scrivere all’inizio degli anni Ottanta. Faccio riferimento a tre eventi: la riduzione e il gestione della crisi dell’AIDS che ha drasticamente cambiato il modo in cui le persone concepiscono una relazione sessuale e come si comportano all’interno di essa; il sorprendente cambiamento nella presenza e nel modo in cui vengono rappresentate le persone LGBT nella cultura popolare, cosa che ha permesso loro di essere percepite dalla gente comune in un modo completamente nuovo; la legalizzazione del matrimonio omosessuale che permette alle coppie gay e lesbiche di avere la stessa legittimità e le stesse tutele legali delle coppie eterosessuali sposate.

In attesa che il tuo romanzo Leap Year (L’anno bisestile) venga finalmente tradotto e pubblicato in Italia, puoi dare ai lettori di Pride qualche anteprima sul tuo prossimo romanzo?

Adelphi Edizioni non ha in progetto la pubblicazione di Leap Year, quindi ci potrebbe essere molto da aspettare. Il mio nuovo romanzo, intitolato What Happens at Night, racconta di una coppia di americani che viaggia verso una lontana, buia e fredda località dell’Artico, dove proveranno a ricostruire e risanare le loro esistenze malamente rovinate.

 

 

Intervista originale

 

In these two novellas there are characters belonging to the LGBT community (the three main characters in the first and, in the second, maybe, Reverend Judy). But their sexual orientation doesn’t affect on both the plots at all. Can you comment on?

 

Since I try to think of all my characters as human beings, I don’t see why LGBTQ characters’ sexual orientation should have any more or any different effect on the plot than straight characters.  Of course our worlds and our lives are informed and influenced by our sexuality, but it is only one of many factors who make us who we are.  And so I try to acknowledge and include my character’s sexuality to the extent that it is relative to their story, but I don’t feel it is necessary or effective to treat my LGBTQ characters in a different way.  

 

You wrote five novels. Three of them became movies (by directors like James Ivory and Roberto Faenza, with actors such as Gena Rowlands, Anthony Hopkins, Naomi Watts, Charlotte Gainsbourg and Ellen Burstyn) and another movie (based on Andorra) is in pre-production. What, according to you, does make your novels so “cinematic”?

 

In all of the cases your mention, it was a particular director who was interested in a particular book of mine, and that’s why those movies were made.  There has never been any general interest from the movie world in my books.  They have all been submitted to movie studios and production companies and never once have any of them been optioned.  It is only when a director responds in a personal way to a book of mine that a film gets made.   I write cinematically — I’m  interested in having the physical world present in my books, and I also like the characters to drive the action through dialogue.  So I think that many directors feel that they can see and hear my books as they are reading them, and this makes them easier to imagine as movies.

 

In the novella The End of My Life in New York Natasha is writing the screenplay of Edna Ferber’s novel Giant, that won’t be just a George Stevens’ movie remake but “an Eighties stuff, you know, like Dallas”… Theo seems not to get along with film adaptation of a novel in general… What about the film adaptations based on your own novels?

 

I don’ feel that movies made from books are adaptations — I think they are new and separate works of art, created by another person in another medium, and therefore are no longer related to the source material.  For this reason I don’t like to spend time thinking or talking about films based on my books, because they are not mine and have nothing to do with me.

 

 

You wrote about LGBT people since your first novel Leap Year (1990). How did this community changed (in real life and in your works) in the last 30 years in New York and, in general, in your Counrty?

 

It seems to my that LGBTQ life has dramatically changed since I first moved to New York City and began writing in the early1980s.  I’d point to three things:  

  1. The abatement and management of the AIDS crisis, which has drastically changed how people think about and engage in sexual relations, 
  2. The amazing change in the presence and portrayal of LGBTQ characters in popular culture, which has allowed them to be perceived in an entirely new way by the general population, and
  3. The legalization of gay marriage, which allows the relationships of gay men and lesbians to have the same legitimacy and legal protections as straight mariages.

 

Waiting for the italian translation (when?) of Leap Year, can you tell us any teaser about your next novel?

 

 

Adelphi has no plans to publish Leap Year in Italy, so that might be a very long wait.  My new novel, which is note titles What Happens at Night,  is about an American couple who travel to a distant, dark, and cold Arctic place, where they attempt to reconfigure and repair their badly damaged lives.