Un pomeriggio trascorso al Check Point presso la Casa dei Diritti di Milano ha avvalorato la mia tesi: l’HIV fa ancora molta paura ma se ne parla poco, e tutto l’impegno è sulle spalle delle associazioni.

(in collaborazione con EssePiù – Bimestrale di ASA Associazione Solidarietà AIDS )

  

È stato inaugurato martedì 5 febbraio a Milano il primo check point comunale (uno spazio extra ospedaliero gestito da operatori alla pari, psicologi e medici) per fare gratuitamente il test per l’HIV presso la Casa dei diritti.

L’iniziativa era stata annunciata il 1° dicembre precedente, quando il capoluogo lombardo aveva aderito ufficialmente al progetto internazionale Fast track cities, un network di città che s’impegnano a mettere in atto azioni comuni di prevenzione dell’AIDS e la riduzione dello stigma e delle discriminazioni nei confronti di chi ha contratto il virus.

L’intenzione si è concretizzata grazie alle associazioni ASA, ANLAIDS Sezione Lombardia, Fondazione LILA Milano ONLUS, CIG Arcigay Milano e NPS Italia ONLUS che, dando vita all’associazione Milano Check Point, hanno firmato una convenzione con l’amministrazione comunale per l’utilizzo degli spazi di via De Amicis 10.

Il check point è aperto due giorni la settimana, il martedì dalle 14 alle 18 e il giovedì dalle 15 alle 19 solo su appuntamento con la presenza costante di attività di counselling. Il martedì è dedicato ai test HIV ad accesso libero e gratuito, mentre il giovedì alla PrEP (profilassi pre esposizione) con screening sistematico di gonococco, clamidia, HCV e sifilide. In caso di diagnosi positiva la persona è indirizzata in uno dei centri di malattie infettive cittadini, dove viene fatto un test di conferma e si avviano le terapie.

Detto questo l’HIV fa ancora paura. Lo dicono le persone che ho incontrato e con cui ho chiacchierato mentre attendevano il risultato del test. E le stesse persone sono convinte che nei confronti di HIV e AIDS ci siano ancora molti pregiudizi.

Infatti, quando ho chiesto a chi lo avrebbero detto se fossero risultati positivi al test, alcuni hanno risposto ai genitori, la maggior parte a un numero molto ristretto di amici. È vero per una statistica il numero è basso, ma la mia convinzione è avvalorata anche dal volontariato in ASA-Associazione Solidarietà Aids e dalla reazione della gente quando racconto del mio impegno in ambito HIV.

Indubbiamente c’è ancora molto da fare, ma se ne parla poco e tutto il lavoro è sulle spalle del volontariato che ha iniziato a operare con il supporto di SIMIT Lombardia (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali). È un work in progress e tutti sperano di poter somministrare anche altri test relativi a infezioni sessualmente trasmissibili, per esempio la sifilide e l’epatite.

Dal 5 al 19 febbraio sono stati somministrati 34 test tutti con esito negativo. L’utenza è formata prevalentemente da giovani con un’età compresa tra i 20 ai 30 anni, molti uomini e poche donne, orientamento sessuale eterogeneo. Hanno scoperto dell’esistenza del Check Point da internet o da un amico.

Nel pomeriggio trascorso alla Casa dei Diritti ho avuto modo di ascoltare e riflettere. Se l’HIV fa ancora tanta paura, perché le persone non si sottopongono al test?

“Perché non ci pensi. Perché sei convinto che a te non può capitare”, risponde una bella ragazza con i capelli neri e gli occhi azzurri. Ma è una idea molto diffusa anche tra gli altri utenti. Nel 2019 pensano che se hai rapporti con una persona “a posto”, ovvero se non è una prostituta, puoi stare tranquillo.

Un altro ragazzo precisa che non è bene raccontare di sottoporsi al test: “Lo so che dovrebbero farlo tutti, ma rischi di essere giudicato male, se sei una donna è ancora peggio. Io l’ho detto solo al mio migliore amico”.

Mentre un altro utente che ha qualche anno in più, mi fa notare che negli anni ’90 se ne parlava molto, forse perché si moriva e quindi faceva notizia. È triste dover ammettere che ha ragione. Oggi purtroppo molte persone scoprono di aver incrociato il virus quando si sottopongono per caso agli esami e la loro viremia è molto alta.

Ma torniamo al Check Point che, lo ripeto, funziona grazie all’impegno dei volontari. È molto semplice: basta andare in via De Amicis 10, salire al terzo piano ed entrare nella sala. Il portiere è molto discreto e non fa commenti.

Le persone vengono accolte da un volontario che li intrattiene spiegando come si svolge la procedura e li introduce al tavolo dove un altro volontario raccoglierà in forma anonima i dati. Le risposte degli utenti vengono immesse in un tablet e inviate direttamente al COBATEST Network.

Il Network comprende organizzazioni in molti paesi europei che offrono sevizi di testing e counseling al di fuori dei tradizionali contesti sanitari. Questi servizi puntano a promuovere i test per HIV, HCV e altre infezioni sessualmente trasmissibili per diagnosi e cura in fase precoce.

Terminato il questionario l’utente entra nella saletta dove il medico somministra il test. E poi c’è l’attesa di 20 minuti… che non passano mai.

Se tutti si sono dimostrati soddisfatti dell’accoglienza e della gentilezza dei volontari, il servizio si può comunque migliorare. In primo luogo la privacy: c’è una sola stanza molto grande dove sono raccolti i dati, e le persone inevitabilmente possono ascoltare i dialoghi degli altri.

L’orario dalle 14 alle 18 è limitante: va bene per studenti e liberi professionisti, ma chi lavora in un ufficio deve prendere un permesso. Il suggerimento è di offrire il servizio dalle 17 alle 20 o dalle 18 alle 21.

Infine un’ultima annotazione: quasi nessuno sapeva che una persona in HIV che assume regolarmente la terapia da oltre sei mesi non è più infettiva. Anche di questo bisognerebbe parlare, ma giornali e TV si ricordano dell’HIV solo il 1° dicembre. Tutti gli altri giorni dell’anno per fortuna ci siamo sempre noi.