Il 31 gennaio è stata diffusa la notizia che Showtime sta producendo la settima stagione della serie cult The L Word. Avrà lo stesso impatto di quella originale? In attesa di scoprirlo si festeggiano i 15 anni delle avventure di un gruppo di donne lesbiche molto speciale.

 

Ebbene sì, sono passati 15 anni anni dalla prima programmazione di The L Word sul network a pagamento statunitense Showtime di proprietà della CBS, mentre in Italia la serie fu trasmessa da La 7. All’epoca le avventure di questo gruppo di donne a Los Angeles, dove quasi tutti i personaggi principali erano lesbiche, fu una vera e propria ventata d’aria fresca nella rappresentazione pubblica della comunità LGBT.

Il telefilm è un vero misto di storie che si intrecciano tra di loro e racconta in maniera chiara, decisa e senza ambiguità un punto di vista sull’universo omosessuale al femminile: dalla convivenza all’inseminazione artificiale, dalla dichiarazione della propria omosessualità alle relazioni familiari.

Nel panorama delle produzioni di Hollywood si distinse subito per essere un prodotto fuori dagli schemi non solo per questo, ma anche perché mise in scena diverse “prime volte” nella storia della TV: prima serie incentrata su lesbiche apertamente lesbiche; primo personaggio transgender; prima coppia lesbica interrazziale; prima donna lesbica sorda; tematizzazione costante della bisessualità, dei drag king, della fluidità di genere, dell’omogenitorialità, delle dipendenze da sostanze, dello stupro e dei diritti della comunità LGBT nell’agenda politica americana.

Sul piccolo schermo è un momento importante di protagonismo delle lesbiche che mancavano di riferimenti nella cultura pop. L’attrice Jennifer Beals, che recita la parte di Bette Porter, ha dichiarato che gli intenti della serie erano “di mostrare persone che spesso non si sentono rappresentate, e certamente non rappresentate nella loro pluralità”. Anche dietro la telecamera la serie è un vero e proprio avamposto dei movimenti per la parità di genere, quando la questione era ancora di là da venire. La maggior parte degli episodi, infatti, è stata scritta e girata da donne, e in inglese tutti hanno un titolo che inizia con L.

È indubbio l’impatto di questi primati nella cosiddetta sottocultura lesbica, ma non si può dimenticare che si tratta pur sempre di un prodotto di intrattenimento made in USA, dove viene veicolata una visione standardizzata dei corpi ed è assente la diversità razziale di una città come Los Angeles dove due terzi della popolazione non è bianca.

C’è anche uno sbilanciamento verso un mondo glamour con corpi belli e perfetti e con vite di successo e affermazione sociale ben lontane dalla realtà della maggioranza delle lesbiche (americane e non solo), ma al momento della sua prima diffusione sono comunque maggiori gli stereotipi che si vanno a infrangere, tra cui l’idea della lesbica solo butch.

Nel 2004 The L Word rovescia i codici dell’industria cinematografica e quelli culturali della rappresentazione lesbica rimasta ferma agli anni Cinquanta, rendendo visibile un mondo in cui le relazioni lesbiche esistono in forme diverse dal celibato o dalla coppia, sviluppandosi in variegati rapporti di amicizia e di sesso. La serie si è distinta affrontando nei dialoghi argomenti che appariranno molto più tardi nelle serie mainstream, anticipando tra l’altro l’ondata genderfluid che le lesbiche tenta di cancellarle. Un fastidioso déjà vu nella politica lesbica e femminista…

Delle sei stagioni il successo maggiore è stato registrato dalle prime, mentre nelle ultime diversi episodi hanno tratti davvero imbarazzanti. La serie non si è fatta mancare nemmeno l’accusa di transfobia (anche questa una prima di un fenomeno oggigiorno ineludibile) con la vicenda del personaggio transessuale Max (Daniela Sea), e di eccessiva spettacolarizzazione della malattia mentale con il personaggio di Mia Kirshner (Jenny Schecter).

The L Word non è uno strumento di critica alla società patriarcale né una piattaforma di rivendicazioni civili. Sarebbe assurdo assegnare un ruolo del genere a una serie TV che deve intrattenere, ripagare l’investimento del canale che l’ha prodotta e remunerare i cachet delle star del calibro di Jennifer Beals. Alle storie patinate di Bette e della sua corte va riconosciuto però di aver cambiato il panorama televisivo americano e in qualche modo aver contribuito all’empowerment delle comunità lesbiche in giro per il mondo.

Ilene Chaiken, la creatrice di The L Word, può perciò serenamente tornare alla co-direzione della nuova serie e noi ci saremo, di là e di qua dell’Oceano. Ad aiutarla dietro la telecamera Marja-Lewis Ryan, che secondo la produzione ha portato la sua “visione contemporanea e unica mescolandola meravigliosamente nella trama intessuta dalla serie originaria”.

Gli otto episodi del sequel arriveranno a fine anno e vedranno di nuovo sugli schermi Jennifer Beals, Katherine Moennig e Leisha Hailey a dare continuità rispetto alle sei stagioni andate in onda fino al 2009. Chissà cosa avranno combinato in questi 15 anni e che tipo di lesbiche saranno le loro discendenze? Restate sintonizzate!