Il tema della terza età LGBT è un tabù che si sta finalmente infrangendo, e una grande scrittrice ci racconta il rapporto tra una vecchia formidabile e la sua giovane colf straniera, parlandoci di amore, morte, anzianità, solitudini e differenze.

 

Prossima alla novantina, la vecchia (viene chiamata proprio così, di lei non sapremo mai il nome) passa le sue giornate, le ultime si augura, a ricordare Nora, la donna amata, morta anni addietro. Si prende cura dell’amica smemorata Malvina e, contemporaneamente, si lascia accudire da Gabriela, badante dell’Europa dell’Est, remissiva, solerte che nasconde (ben più di) un segreto. Le fa compagnia un gatto decrepito, Veleno, che ha una storia tutta sua da raccontare…

Quali elementi invitano alla lettura di un libro dalla trama – apparentemente – così poco accattivante? Tutti. Oltre ai personaggi già citati, troviamo nipoti arraffoni, amiche ripugnanti, sorellastre avide, cuginastri sedicenti terroristi, cognati maneschi, dirimpettai meschini che si muovono in un mondo e in una società allo sfascio. E c’è la bravura di Margherita Giacobino, giornalista, saggista, esperta di gender studies, traduttrice (di Flaubert, di una delle Brontë – Emily nella fattispecie – e di Audre Lorde) che, con L’età ridicola, ci regala la sua (per ora) opera più bella.

Le tematiche LGBT di questo romanzo (la sua terza collaborazione con Mondadori dopo Ritratto di famiglia con bambina grassa e Il prezzo del sogno) si esprimono con la grazia e la forza dei ricordi. La storia d’amore lunga cinquant’anni della vecchia e della sua Nora, le loro passioni, i viaggi, la quotidianità, un ricco entourage di amici artisti e intellettuali che ci riportano alla memoria il Bloomsbury Group o il “Circolo Vizioso” della Parker. Leggiamo del primo incontro delle due donne, partecipiamo alla loro vita di coppia vissuta alla luce del giorno, senza vergogna, in un momento storico che certe cose ancora non le tollerava (oggi, invece…).

Simulacro di quella relazione è una foto d’epoca che occhieggia da un angolo buio della casa delle due protagoniste e ritrae in costumi teatrali le poetesse del secolo scorso, lesbiche dichiarate, Nathalie Clifford Barney e Renéè Vivien. E non mancano gli accenni all’innamoramento di Malvina per una compagna di studi, relazione presto troncata dai famigliari della prima che la affidarono alle cure di uno psichiatra al fine di “risanarla”.

L’età ridicola è un libro sull’amore (con la A maiuscola o minuscola, scegliete voi), sul Tempo (idem) che passa ma che qualcosa lascia, sulla Vecchiaia (che a prescindere dalle dimensioni della V, ci spoglia di quasi tutto), sulla Memoria (che oggi, come non mai, necessita della maiuscola e di tante attenzioni) e sull’attesa di una Fine (che si può scrivere in un solo modo e che tarda a venire).

La scrittura della Giacobino è implacabile. Il suo stile è pulito, fluido, sottilmente sarcastico, ricco di vocaboli inusuali che sembrano uscire, freschi di lavanda, da uno dei guardaroba-santuari della vecchia. Vi imbatterete in gemme dal fascino rétro come pervicace, ingranchito, pertengono, tastonare e operatica.

La Giacobino fa uso di similitudini e metafore ardite, mai stucchevoli o barocche; narra, gioca (e pare divertirsi assai) destreggiandosi con l’uso alterno e disinvolto della prima e terza persona singolari; cita Margaret Atwood e contemporaneamente cita se stessa, considerato che dell’autrice canadese ha tradotto in italiano ben due romanzi; tira in ballo Shakespeare (l’Othello, versione operistica, e l’Amleto) e ammicca alla scrittrice lesbica americana Patricia Highsmith che tanto affascinò, con le sue atmosfere ambigue e delittuose, registi come Hitchcock, Wenders, Haynes e la Cavani.

L’autrice, come in un giallo sottile, crea una fitta sottotrama di indizi e piste che non vanno da nessuna parte (e, proprio per questo, vanno invece dappertutto); sdrammatizza (davvero?) l’espediente narrativo cechoviano della pistola (‘se in un romanzo compare una pistola’ soleva dire l’autore russo, ‘occorre che prima o poi spari’). In L’età ridicola una pistola compare, “carica”, come non mai, di falliche chiavi di interpretazioni. Ci sarà almeno uno sparo prima della pagina dei ringraziamenti? L’autrice non lo rivelerà mai alla redazione di Pride, ma vediamo se può rispondere invece a queste domande…

Come come mai la protagonista considera la vecchiaia come una cosa ridicola?
L’età ridicola non è soltanto la vecchiaia, ma anche l’epoca in cui ci troviamo a vivere. Oggi ci è consentito, per non dire che siamo costretti, vivere fino a età anche avanzatissime, pur se le nostre facoltà si vanno perdendo e la nostra vita non ha più contenuti; i vecchi sono diventati un mercato, il solo forse in espansione: case di riposo, medicina, servizi vari, siamo chiamati a fare la nostra parte, che ci piaccia o no. Ma non occorre essere decrepiti per sentire come ridicoli certi modi del nostro vivere oggi, a qualunque età, per esempio il nostro aggrapparci alle miserie del piacere consumistico mentre il gusto della vita ci sfugge sempre più, il nostro difendere piccoli confini mentre il mondo traballa… È questo il genere di riflessioni che fa la mia vecchia, che vista la sua età può permettersi il lusso di gettare alle ortiche ogni sentimentalismo e illusione.

La vecchia è stata una scrittrice. Parlaci di ciò che è l’atto della scrittura, dell’anonimato e di ciò che è il tuo rapporto di scrittrice con i lettori
Premesso che la vecchia ha amato il suo lavoro (amore e lavoro sono stati il sostegno e il senso della sua vita), il rapporto con la scrittura non è stato per lei semplice, come non lo è per la sua autrice, perché la scrittura è un atto in sé complesso e perfino conflittuale, si scrive per essere liberi, ma se si vuole essere letti bisogna assoggettarsi a certe richieste della società. Il suo modo di tenere a bada il conflitto è stato quello di considerarsi artigiana, di muoversi volutamente all’interno dello spazio più limitato del genere (scriveva libri per ragazzi) anziché sfidare quello più apparentemente più vasto ma in realtà più controllato della ‘letteratura’ vera e propria. Dico che questo campo è più controllato perché, ponendosi come universale, occulta le regole da cui è retto, un po’ come il maschile universale occulta tutti gli altri soggetti. La mia protagonista preferisce l’anonimato perché, come me, della scrittura ama soprattutto il momento del fare, in cui si è soli con il testo in fieri, e sopporta male quello che viene dopo, ovvero il momento in cui lo scrittore deve esporsi in prima persona, vendere se stesso, fare spettacolo ecc…

Io ho sempre amato gli eteronomi proprio per quello, perché a un nome non corrisponde una persona in carne e ossa che deve andare a mostrarsi qua e là perché il suo libro venga letto; a una creatura di parole corrisponde un creatore fatto di parole. È bellissimo ma non praticabile, non oggi in Italia.

Il tuo penultimo libro, Il prezzo del sogno, un romanzo biografico su Patricia Highsmith, inizia con la scrittrice, morente, che torna indietro con la memoria alle sue relazioni del passato. Qual è il trait d’union tra questi tuoi due romanzi?
Il fatto che sono stati scritti in anni vicini, e che entrambi parlano di vecchie. La vecchiaia è, per ovvi motivi, un’età più ricca perché si ha a disposizione tutta la vita passata per ricordare, ragionare, riordinare i fatti e i ricordi in modi sempre nuovi… e quindi avere per protagonista una vecchia mi consente di mettere in scena tutte le età di una vita: la ragazza, la giovane donna, la donna matura ecc… perché le età crescono su se stesse come bulbi, a strati sovrapposti. E in entrambi c’è la presenza della morte – che per eventi familiari mi è stata vicina negli ultimi anni, ma che ho sempre trovato molto ispirante, perché niente fa sentire vivi come l’alito della morte sul collo… gli adolescenti lo sanno, purtroppo spesso in maniera autodistruttiva e banalmente letterale, ma in generale si tende a dimenticare, a mettere da parte questo pensiero, e capisco anche il perché: se tutti pensassimo ogni giorno che la vita finisce, che il tempo a nostra disposizione è limitato, forse faremmo scelte più coraggiose e radicali.