L’omosessualità nel mondo animale è un tema eluso dai media che al massimo ne parlano come di una semplice curiosità. Ma nel mondo della zoologia sono sempre più articolate le analisi che raccontano l’omosessualità negli animali e la sua funzione.

(prima pubblicazione Pride febbraio 2018)

 

Sembrerebbe una questione superata ma recenti dichiarazioni, pubblicate anche sulla stampa nazionale in merito alla questione gender, sembrano dare credito a chi pensa che l’omosessualità sia un fenomeno “contro natura”, una sorta di virus culturale dei tempi moderni da cui ci si possa vaccinare o curare.

Eppure la storia e la geografia, sempre meno studiate nelle nostre scuole, ci dicono esattamente il contrario. Infatti l’omosessualità era diffusa nell’antica Grecia ed era presente, e lo è tutt’ora, fra gli aborigeni australiani, come fra i Masai africani fino a giungere alle attuali popolazioni del mondo indipendentemente dal colore, dalle religioni e dalle caratteristiche culturali. C’è un’altra materia che conferma la naturalità dell’omosessualità: la zoologia, con le sue ricerche scientifiche, l’ha descritta in oltre 1500 specie di animali diversi e in taluni casi comprendendone persino meccanismi e scopi evolutivi.

Potrebbe sembrare un percorso di ricerca scientifica iniziato di recente, invece i primi testi che descrivono l’omosessualità nel regno animale risalgono a ben 2300 anni fa, quando Aristotele (384-322 a.C.) documentò la presenza di coppie di individui dello stesso sesso in cui avvenivano effusioni e copule come i colombi, le quaglie e le pernici. Bisognerà aspettare però l’inizio del Novecento, e le opere dello zoologo tedesco Ferdinand Karsch-Haack, per la prima analisi scientifica che ha riunito tutto il sapere del tempo sull’argomento in un unico testo.

Tuttavia, ancora oggi, l’omosessualità nel regno animale resta appannaggio di pochi addetti ai lavori, non viene quasi mai analizzata dai media che si occupano di divulgazione della natura e anche sul web non è facile reperire informazioni per gli utenti meno avvezzi alla lingua inglese e alla letteratura scientifica specializzata.

Il primo atto concreto per informare il “comune cittadino” in merito all’omosessualità negli animali è stato compiuto in Norvegia nel 2006 dal Natural History Museum dell’università di Oslo con la realizzazione di un’importante mostra dal titolo provocatorio: Against Nature? (contro natura). Un’esposizione che per la prima volta ha mostrato al grande pubblico i comportamenti omosessuali riscontrati in 1500 specie diverse di animali, tra cui elefanti, giraffe, pinguini, bisonti, libellule, leoni e cigni.

Tali iniziative purtroppo non sembrano aver acceso i riflettori sull’argomento, che resta completamente al buio agli occhi della stragrande maggioranza delle persone. A complicare un pochino le cose è anche la forma in cui si presenta l’omosessualità: per esempio in una popolazione possiamo avere sia individui che hanno atteggiamenti omosessuali, soprattutto in una fase della vita come potrebbe essere quella giovanile, sia individui omosessuali cioè esemplari che, potendo scegliere se copulare con un individuo del sesso opposto o con uno dello stesso sesso, scelgono un individuo del loro stesso sesso. Una cosa che per esempio accade per oltre il 10% degli ovini maschi (arieti).

Nessuna rarità, quindi. Al punto che, allo stato attuale delle conoscenze, non risultano specie in cui non sono stati riscontrati comportamenti omosessuali. E, se in alcune specie non sono stati descritti, è perché queste specie non sono state ancora interessate da specifici studi. Al momento in tutte le specie in cui si è indagato, l’omosessualità è stata riscontrata e descritta.
L’omosessualità negli animali offre innumerevoli spunti di riflessione, quello centrale su cui vale la pena soffermarci per ridisegnare gli orizzonti del comportamento animale è proprio nella tipica definizione di “essere vivente”, quella che ci insegnano alle scuole elementari. Se ci pensiamo un attimo sicuramente la ricordiamo tutti: un essere vivente è una entità che nasce, cresce, si riproduce e muore.

Questa semplificazione estrema del mondo che ci circonda spesso è applicata in modo letterale dalla maggioranza delle persone, senza riflettere e senza notare che nel regno animale, che per più della metà è costituito da insetti e non dai nostri animali domestici, buona parte degli individui non si riproduce, ma trasmette i propri geni alla futura generazione semplicemente aiutando i pochi individui riproduttori. Basti pensare ai numerosi insetti sociali. Le api per esempio costituiscono alveari che in media contano 60.000 individui, e di questi si riproduce un’unica femmina (la regina) e qualche maschio (i fuchi). Oltre il 99% degli individui quindi non si riproduce.

In una natura che non obbliga tutti gli individui a riprodursi, ma che prevede strategie in cui una buona componente della popolazione non vive per avere una propria prole, la presenza di una percentuale di individui omosessuali non incide minimamente sul successo di una specie, né nella sua diffusione. Infatti, se analizziamo da vicino il regno animale, notiamo una pluralità di strategie riproduttive che smantellano il “modello di Noè” che immagina un regno animale costituito unicamente da coppie etero a cui è affidata la salvezza della biodiversità del mondo.

Lo dimostrano gli ermafroditi incompleti come le chiocciole che, nonostante posseggano organi sessuali maschili e femminili, hanno bisogno di incontrare un altro individuo per avere un rapporto sessuale in cui si ha uno scambio incrociato di gameti. O gli ermafroditi completi come i cirripedi che posseggono entrambe le tipologie di organi e possono auto-fecondarsi. O, ancora, le specie partenogenetiche come l’insetto stecco, le cui femmine possono generare la propria prole anche da uova non fecondate.

In questa pluralità di comportamenti sessuali c’è ampio spazio anche per gli individui e/o comportamenti gay. Basti pensare ai pinguini in cui l’omosessualità maschile è stata riscontrata nella maggioranza delle specie con tassi variabili dal 10 al 20% della popolazione. Al punto che in molti casi documentati le coppie di maschi hanno adottato uova abbandonate da coppie etero, le hanno portate con successo alla schiusa e allevato il piccolo fino alla sua indipendenza. E non si tratta di comportamenti gay provocati dall’assenza o dall’indisponibilità di femmine. È capitato, in alcuni zoo del Giappone e della Germania, che coppie di pinguini maschi venissero separate e i due maschi fossero affiancati dalle femmine. Nella maggioranza dei casi i maschi non hanno avuto rapporti sessuali con le femmine.

In alcune specie come nel cigno nero è stato dimostrato che i piccoli allevati da coppie di maschi hanno maggiori probabilità di sopravvivere rispetto agli anatroccoli allevati da coppie etero. In pratica, in questa specie può succedere che la femmina abbandoni il nido per cedere cova e allevamento della prole al padre e al suo “compagno”. I due maschi, essendo fisicamente più maestosi e aggressivi, tendono ad avere territori più ampi in cui nutrirsi e risultano più efficienti nella protezione della prole dalle grinfie dei predatori.

La specie in cui l’omosessualità animale risulta più evidente è il bonobo (detto anche scimpanzé pigmeo), primate che condivide con l’uomo oltre il 98% del DNA e che rappresenta il nostro parente più prossimo. Nel bonobo tutti gli individui sono bisessuali e usano la sessualità in modo funzionale a seconda delle esigenze del gruppo o dell’individuo. Si comportano da etero per riprodursi, ma possono avere rapporti “omo” per rinsaldare legami fra maschi o femmine, o fare orge per stemperare la tensione fra gruppi rivali.

Nel regno animale, poi, non manca la transessualità o meglio l’ermafroditismo sequenziale. Esistono, infatti, specie animali che nel corso della loro vita cambiano sesso, soprattutto fra i pesci. Per esempio le cernie nascono femmine e quando superano una certa taglia (10-12 kg) diventano maschi, invece le orate nascono maschi e dopo circa due anni mutano in femmine.

Un altro abitante del mare capace di cambiare sesso è il pesce pagliaccio, specie nota a tutti grazie al film d’animazione Alla ricerca di Nemo. Se ricordiamo il film, la mamma di Nemo muore nel tentativo di proteggere da un barracuda le uova deposte. Dall’unico uovo rimasto indenne nasce Nemo, che viene cresciuto dal padre Marlin. Nulla di più distante dalla realtà: quando all’interno del gruppo che abita l’anemone la femmina dominante (quella che si riproduce) muore, uno dei maschi muta in femmina. Papà Marlin sarebbe quindi dovuto diventare una nuova mamma.

Possiamo giustificare un cartone animato, ma non possiamo perdere sistematicamente l’occasione di raccontare il regno animale così com’è nei documentari. Il regno animale è incredibilmente articolato e complesso e sicuramente molto è ancora da scoprire, ma andrebbe osservato, descritto e accettato per quello che è. Sta al documentarista trovare le parole giuste per illustrare quanto si osserva in natura. L’uomo non è che una delle tante specie animali in cui si osservano comportamenti e individui omosessuali. E, anzi, sarebbe un’anomalia se fosse l’unica specie in cui ciò non avviene.

 

Lo zoologo Rosario Balestrieri è disponibile ad approfondire l’argomento con gruppi, associazioni o circoli che vogliano ospitare seminari (a titolo gratuito) sul tema.

Per contattarlo: rosario.balestrieri@ibaf.cnr.it o ardea.rb@gmail.com