Una crisi di mercato senza precedenti è la sfida che ha ispirato Barilla a diventare un’azienda modello a livello mondiale sul tema della diversità e inclusione per le persone LGBT e non solo. Vi spieghiamo come è successo.

(prima pubblicazione Pride gennaio 2018)

 

In Italia la notizia è poco conosciuta, ma è dal 2015 che Barilla raggiunge ogni anno il punteggio massimo, pari a 100/100, nel Corporate Equality Index, sviluppato negli Stati Uniti da Human Rights Campaign nel 2002 per misurare e valutare le politiche e pratiche messe in atto dalle grandi imprese per contrastare l’omofobia e le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere dei propri dipendenti LGBT. Un traguardo importante che segnala quanto l’azienda si è seriamente impegnata a creare un ambiente di lavoro più inclusivo e rispettoso per i propri dipendenti arcobaleno dopo quello che negli uffici della casa madre a Parma è chiamato “l’incidente”.

È il 26 settembre 2013 e Guido Barilla, presidente dell’omonimo gruppo alimentare, è intervistato alla trasmissione radiofonica La Zanzara su Radio24. Alla domanda “Perché non fate un bello spot con una famiglia gay” risponde: “Diciamo che noi abbiamo una cultura vagamente differente, per noi…”.

Prima di proseguire, per correttezza abbiamo trascritto di seguito la parte iniziale e finale dil quel dialogo che si può ascoltare in rete, prendiamoci una pausa di riflessione. Barilla è un nome che fa talmente parte delle nostre italiche vite quotidiane da intere generazioni, da far loro affermare in un geniale payoff “Dove c’è Barilla c’è casa”. Barilla quindi è un po’ un “marchio mamma” per tutti noi, perché nelle nostre case c’è sempre una mamma che con amore prepara un buon piatto di pasta, e nel paese per eccellenza della mamma non si parla mai male della mamma. Infine in Italia a una mamma si perdona sempre tutto, anche un po’ di omofobia.

Riprendendo l’intervista, in questo momento né Guido Barilla né i radiocronisti né gli ascoltatori si rendono conto che con il proseguire del discorso si sta creando una palla di neve mediatica che in soli tre minuti diventerà una valanga che travolgerà a livello mondiale uno dei marchi storici della nostra nazione, un disastro di immagine che avrà conseguenze del tutto inaspettate.

“In che senso scusi?” – riprende la conversazione – “Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda” “Cioè?” “La salute, la famiglia, il concetto di famiglia unita, il concetto…” “Cioè non fareste mai uno spot…” “No, non lo faremo perché la nostra è una famiglia tradizionale, a qualcuno può non piacere…” “Eh, ma la pasta la mangiano anche i gay però” “E va bene, ma se gli piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, se non gli piace e non gli piace quello che diciamo faranno a meno di mangiarla e ne mangeranno un’altra, ma uno non può piacere sempre a tutti perché piacere a tutti vuol dire non piacere a nessuno” “Cioè lei non farebbe mai uno spot con una famiglia omosessuale seduta a un tavolo?” “No, non lo farei ma non per mancanza di rispetto agli omosessuali che hanno diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri. Ma perché non la penso come loro, e penso che la famiglia a cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica. Io rispetto tutti, che facciano quello che vogliono purché senza infastidire gli altri” “Che vuol dire senza infastidire gli altri?” “Beh, ognuno ha diritto a casa sua di fare quello che vuole senza disturbare le persone che sono attorno, sono più o meno diritti che sono più o meno diciamo leciti. (…) “Però non capivo l’espressione non disturbino gli altri, purché non disturbino gli altri” “Un essere umano è un essere che può essere disturbato dalle decisioni di altri”.

Siamo verso la fine del 2013 e la legge Cirinnà non è nemmeno nei libri di fantascienza. Queste parole disturbano la nostra sensibilità ma la comunità LGBT italiana è in grado di reagire solo esprimendo sdegno e costernazione. L’azienda Barilla però dalla sua nascita nel 1877 è diventata un gruppo internazionale presente in oltre 100 paesi, e le incautamente sincere parole del suo presidente sono riprese dai giornali di tutto il pianeta. In fondo sarebbe bastato giocare di sponda, fare un bluff e dire che magari ci avrebbe pensato a inserire una famiglia gay in uno spot per poi non farlo mai, e si sarebbe evitato un boicottaggio all’acquisto, soprattutto da parte della potentissima comunità LGBT statunitense, a cui si uniscono i nostri alleati eterosessuali ovvero le cosiddette “famiglie tradizionali”.

Dopo qualche giorno di silenzio sulla homepage della società appare la foto di un contrito Pietro Barilla e la frase “Mi scuso”.

Nel frattempo però è iniziato il finimondo che si può riassumere in modo camp citando una super mega icona gay come Cher che scrive in un tweet un po’ sgrammaticato “Some pasta co. CEO in italy doesnt want,my gay friends eating his pasta!! hes crazy name of pasta “barillia”dont eat it. money talks” (un qualche amministratore delegato di un’azienda di pasta in Italia non vuole che i miei amici gay mangino la sua pasta! È pazzo, nome della pasta Barilla, non mangiatela, i soldi parlano”.

In una grande azienda moderna però non parla solo il fatturato ma anche la capacità di attrarre e trattenere i migliori talenti a disposizione, e tra i dipendenti LGBT della Barilla scorre un brivido di gelo nella schiena. La direzione si trova quindi a decidere se quanto accaduto fosse semplicemente un problema di pubbliche relazioni che doveva essere gestito, o un’indicazione che c’erano anche questioni più profonde da affrontare. Scelgono questo secondo approccio facendo delle politiche di diversità e inclusione un’autentica priorità, e dopo pochi mesi comunicano la creazione di un Global Diversity and Inclusion Board con in prima fila David Mixner: scrittore, esperto di strategie politiche, attivista per i diritti civili, consulente per la famiglia Clinton per le questioni LGBT e, soprattutto, nominato da Newsweek il gay più potente d’America.

Per farci raccontare cosa è successo da quel momento abbiamo incontrato Kristen Anderson, Chief Diversity Officer, e Alejandro Murillas rappresentante del gruppo “Voce”, l’ERG (employee reaserch group) LGBT di Barilla.


Dottoressa Anderson, quali sono le prerogative del suo ruolo?
Barilla alla fine 2013 fece un passo molto coraggioso e abbastanza raro: istituì un comitato di tre esperti esterni per la diversità e inclusione, che fornisce consulenza e dà la visione d’insieme del percorso intrapreso (maggiori informazioni su www.barillagroup.com/it/diverstà-inclusione). A questo adesso si affianca un Operating Committee costituito da dieci dipendenti, che formula raccomandazioni e proposte e monitora i progressi raggiunti. Anche se sono passati tre anni noi ci consideriamo ancora all’inizio di questo percorso, soprattutto perché abbiamo 8400 dipendenti in numerosi paesi e divisi tra uffici e stabilimenti produttivi. In alcuni di essi come per esempio Russia e Turchia è più difficile far passare le tematiche dei nostri “cinque pilastri della diversità”: il rispetto dei diversi orientamenti sessuali, la parità tra i sessi, i diritti dei disabili e le questioni multiculturali e intergenerazionali.

Stiamo lavorando in modo corretto adeguandoci alla situazione e ai tempi di ogni nazione dove siamo presenti, perché non si può fare un semplice copia e incolla ovunque. Questo naturalmente vale anche per l’Italia e le sue peculiarità. Qui ci siamo iscritti a Parks liberi e uguali, un’associazione che ha tra i suoi soci esclusivamente datori di lavoro creata per aiutare le aziende socie a comprendere e realizzare al massimo le potenzialità di business legate allo sviluppo di strategie e buone pratiche rispettose della diversità. Siamo quindi passati da essere indietro rispetto alla media a essere un po’ avanti rispetto alla media.

Per quanto mi riguarda, invece, il Chief Diversity Officer di solito fa parte delle risorse umane e le politiche di diversità e inclusione sono gestite al suo interno. Io sono una figura indipendente e riporto direttamente all’amministratore delegato. Oggi i migliori talenti cercano gli ambienti di lavoro dove si sentono più valorizzati anche a livello umano, e a oggi il 100% dei dipendenti compresi tutti i dirigenti e dipendenti in Europa, Asia e America ha completato percorsi di formazione sulla diversità e l’inclusione.


Dottor Murillas, come nacque “Voce”, il gruppo dei dipendenti arcobaleno Barilla?
Io ero a Chicago nel 2013 quando avvenne l’intervista e negli Stati Uniti la reazione negativa fu molto forte. Ho persino avuto colleghi che si chiesero se dovevano lasciare o meno l’azienda. Alla fine come risposta si creò un ERG di dipendenti LGBT quindi un’azione spontanea, in autonomia e dal basso, che è stato accolto dall’alto e rafforzato tanto che è stato fatto un successivo passo per insegnare ai dipendenti come creare i BIG ossia i Barilla Inclusive Groups.

L’unico modo per avere un impatto è di agire su qualcosa di complesso come un cambio culturale, e questo avviene anche attraverso dipendenti della stessa azienda che in autonomia si riuniscono perché accomunate da un’affinità comune con nessuno che le forza e con l’ascolto da parte della direzione.

Una domanda per entrambi: quanto è difficile essere aperti in Italia? Si può prevedere un’esposizione di Barilla più pubblica?
Un percorso di cambiamento culturale va molto a tappe e ci vogliono anni per realizzarlo. Si può spingere in avanti ma mai troppo. In Italia adesso in televisione c’è la pubblicità della pasta e dei sughi Barilla con Pierfrancesco Favino che fa il padre single.

Noi ci focalizziamo sul cambiamento in azienda, dove solo in Italia ci sono 5000 dipendenti. Abbiamo fatto nello stabilimento di Parma, che è il più grande comprensorio di pasta al mondo, un evento all’aperto con Voce che è stato un modo per coinvolgere tutte le persone che lavorano qui e di aprire le mentalità a tutte le diversità, non solo LGBT. Non sembra ma bisogna saper rispondere a “perché lo fate, qui non c’è nessun problema”. Invece bisogna capire come affrontare un problema per poter davvero impattare, e se a Voce Italia all’inizio eravamo solo in dieci, adesso dopo la visibilità e l’esposizione che l’evento ci ha dato siamo già arrivati a centrotrenta, un risultato che fa ben sperare per il futuro sia all’interno che all’esterno di Barilla.