Si sente parlare di continuo della pericolosa avanzata del fascismo che ci minaccia. Dall’elezione di Trump a quella di Salvini a quella di Bolsonaro in Brasile, è tutto un fiorire di fascisti al potere. Da qui nasce l’urgenza (“Urge! Urge!”), per il movimento LGBT, di schierarsi im-me-dia-ta-men-te (Urge!) con il movimento antifascista, che immancabilmente s’identifica col partito politico a cui appartiene chi lancia l’appello.

Questi appelli mi lasciano perplesso. Se infatti per “fascismo” intendiamo quello di Benito Mussolini, esso è morto per sempre nel 1945, con lui appeso a testa in giù a piazzale Loreto a Milano.

Se invece parliamo dell’autoritarismo e dell’atteggiamento antidemocratico, allora il fascismo non sta affatto “tornando”, per il motivo che non è mai andato via. Le tentazioni autoritarie, elitarie, antidemocratiche, sono sempre state presenti in Italia, solo che usano veicoli diversi per affermarsi in momenti diversi.

Nel 1922 certe istanze come il calo dei salari, la riduzione del diritto di voto, la libertà di licenziamento, il cambio fisso della moneta, la subordinazione della politica al grande capitale, si espressero attraverso il fascismo. Novant’anni dopo sono invece espresse attraverso l’austerità, il cambio fisso chiamato “euro”, l’abolizione dell’articolo 18 e il “Jobs act”, i tentativi di depotenziare la Costituzione, le leggi elettorali maggioritarie…

Si aggiunga che i dati concreti non confermano l’allarme-fascismo: in Germania vince la destra ma assieme vincono anche la sinistra radicale e i verdi; negli USA vince Trump ma anche, alle elezioni di Midterm, una nuova leva di candidati socialdemocratici, che per gli standard americani sono “bolscevichi” (sono favorevoli alla mutua, figuratevi).

La verità banale è che non sta vincendo la destra, bensì che sta perdendo la sinistra neoliberista, che aveva preso il posto della sinistra socialista qualche decennio fa sulla base di promesse che non ha saputo, o potuto, mantenere, e che ora è arrivata al momento del redde rationem.

I politici di questa “sinistra” sono comprensibilmente nel panico e strillano al pericolo fascismo, quando poi, in Italia come altrove (si pensi solo al caso della Grecia), il “lavoro sporco” del fascismo, ossia la macelleria sociale, lo hanno svolto loro.

La cosa riguarderebbe poco o nulla il movimento LGBT italiano se esso non avesse legato nell’ultimo decennio il proprio destino a quello di questa sinistra “neo-dem”, neoliberista, e in particolare a quel Partito Democratico che oggi è visibilmente in crisi letale. Purtroppo per noi, il movimento gay era diventato, per i suoi vertici, un’anticamera d’attesa per la candidatura in un partito politico.

Ovviamente ciò ha comportato il completo depotenziamento delle richieste del movimento stesso, come ha mostrato la vicenda del mancato ottenimento del matrimonio egualitario e delle altre leggi ancora mancanti. Questo perché un movimento LGBT di questo tipo non può permettersi di inimicarsi i partiti politici da cui si aspetta la concessione di candidature elettorali. Quindi la contestazione ai ritardi e alle contraddizioni della politica italiana è ormai esclusa in partenza.

A peggiorare la situazione contribuisce il “pensiero unico” americano (cui si abbevera la generazione più giovane di militanti) che non concepisce l’esistenza della dimensione sociale, ma solo quella dell’individuo isolato. Il suo scopo non è più reclamare il posto che ci spetta “nella” società, bensì liberarci “dalla” società, che è sempre malvagia.

Questa visione spinge a una moltiplicazione isterica delle identità individuali, che ha reso la sigla del movimento LGBT un legittimo motivo di derisione, e questo perché ciascuno rifiuta di riconoscere come propri i problemi altrui. Un movimento fondato su queste basi non ha futuro, perché gli individualisti non fanno associazioni: le disfanno.

Ben venga, in questa situazione di fine delle certezze del passato, il rilancio del progetto di Pride come spazio di dibattito per la costruzione dei progetti futuri. Oggi che ne avremmo tanto bisogno, non abbiamo più spazi di dibattito, sostituiti ormai dal teatrino dei “social media” sui quali la gente si scanna senza posa, senza mai arrivare a nessuna conclusione.

Saluto quindi con soddisfazione questa rinascita, che giudico quanto mai opportuna.