Lo Studio Know How, primo e unico sex shop gay in Italia, ha compiuto trent’anni. Abbiamo incontrato il titolare per farci raccontare una storia a luci rosse del tutto inedita.

(prima pubblicazione Pride gennaio 2018)

La porta di alluminio dello Studio Know How vicino alla stazione Centrale di Milano, con un adesivo arcobaleno e un’anonima dicitura “Ingresso vietato ai minori di 18 anni”, nasconde perfettamente il giardino segreto di meraviglie che varcata la soglia accolgono il visitatore. È sufficiente suonare il campanello e scendere qualche scalino per capire immediatamente che non siamo in un educandato ma che, all’opposto, ci troviamo nella più riuscita celebrazione della carne e dei piaceri gay.

Le pareti tappezzate di erezioni e modelli mozzafiato raccontano una lunga storia d’amore, insieme alle migliaia di DVD in esposizione, agli ultimi ritrovati in materia di giochi sessuali, a dildo di dimensioni da Guinness dei primati, a libri di nudo e riviste gay internazionali, preservativi e lubrificanti per tutti i gusti e taglie e abbigliamento intimo da battaglia.

Angelo, che ha aperto il primo sex shop gay d’Italia trent’anni fa insieme al compagno di vita Frank Semenzi, ci accoglie nel retrobottega, tra pacchi di ordini in partenza, cataloghi di bamboli gonfiabili, dispositivi elettrici per il sesso anale, gabbie per giochi sado-maso e plichi di fatture. Davanti alle nostre domande è un fiume in piena: la sua è la storia, fin qui inedita, di tre decenni di piaceri gay (più o meno solitari) dalla prospettiva di chi ha avuto il coraggio di scriverla.


Quando inizia l’avventura dello Studio Know How?
Nel 1987 a novembre. A Milano c’era un sex shop, lo Studio Star, che aveva cominciato a lavorare alla fine degli anni Settanta e che vendeva porno attraverso ordini telefonici, prima su pellicole Super 8 e poi su videocassetta, grazie a dei cataloghini che inviava via posta. Allora il materiale era consegnato con una motoretta. Non aveva molti titoli gay ma aveva un bel pacchetto di clienti. I porno allora erano acquistati in Germania e portati con le valige dai fornitori in treno, perché la pornografia era illegale in Italia ma tollerata. Le videocassette costavano un pacco di soldi. Abbiamo avuto l’idea di fare un sex shop solo gay e abbiamo acquistato il pacchetto clienti, circa 200-250 nomi. Siamo partiti con un piccolo corridoio interrato di 10 metri quadrati in piazza Duca D’Aosta 12, davanti alla stazione Centrale. Ci stavano dentro due persone, al sabato avevamo addirittura la coda fuori.


Che cosa vendevate inizialmente?
Uscivano due titoli al mese in videocassetta, poca roba, ma i film erano favolosi. Erano in tre formati diversi, poi il VHS, più economico, è diventato lo standard. Vendevamo quelle dirette da William Higgins, Cadinot, la Catilina Video, la Falcon o la Gero Video con i famosi Golden Boy poi ritirati dal commercio per modelli giudicati troppo giovani. C’era anche qualche giornale e fotografie che arrivavano sempre in treno, mentre il Super 8 stava già scomparendo. Abbiamo cominciato a fare piccole pubblicità su Babilonia, Gay Italia e Le Ore che ci aveva fatto un servizio di cinque pagine dicendo che c’era un nuovo negozio.


Come mai un nome insolito come Studio Know How?
Ci piaceva, significa “sapere come” e ci era sembrato perfetto.


E come sono stati i primi tempi?
Abbiamo avuto un successo enorme: facevo anche quaranta ordini al giorno e la permuta dei video e non vendevo neanche i cazzi… ehm, volevo dire i dildo. Le cassette costavano sessantamila lire e la permuta ventimila. Oggi abbiamo 14.000 clienti. Considera che l’omosessualità era ancora difficile allora, mi entravano persone in inverno che sudavano a goccioloni. La scelta giusta è stata affittare un piccolo spazio nascosto, una sorta di portineria, perché chi acquistava voleva non essere visto.

Pian piano ho cominciato ad avere più fornitori e titoli che mi studiavo nelle anticipazioni sulle riviste straniere. Ricordo un negozietto stracolmo di pile di film di Cadinot, anche 300 videocassette per lo stesso titolo. Eravamo una novità e giravano i soldi, tanti, un videoregistratore costava un milione e mezzo di lire almeno. Chi se lo poteva permettere comprava videocassette a badilate, quattro a cliente come minimo, la scorta per un mese.


Come hai ricordato era ed è materiale illegale, tanto che non esiste una legge in Italia che abbia mai legalizzato la pornografia…
Con la giustizia eri sempre sul filo del rasoio. Dal 1987 al 2005 ho subito almeno cinque-sei sequestri, ma il materiale mi è sempre stato restituito. Andava a discrezione del giudice Forno che era tra quelli che mandavano a sequestrare. Metà dei guadagni che ho fatto sono andati agli avvocati, ma girava tanta di quella lira…


La svolta nel 2000 quando hai aperto lo Studio Know How di oggi, ben più di dieci metri quadri.
Erano anni di concorrenza spietata. Prima ci aveva provato Magic America, un gigante economicamente rispetto a me formica. Aveva aperto Tom’s Men, un negozio molto bello ma ha sbagliato alcune scelte gestionali e di personale e ha chiuso.

Nel 1999 il sex shop Europa 92 aveva comprato i diritti della casa di produzione Eurocream in modo da saturare il mercato con un distributore unico. Per di più erano cambiate le regole dell’agibilità e l’1 gennaio ho trovato questo posto in via Antonio da Recanate 7, dove siamo tuttora, e avevo qualcosa come 7000 titoli. Oggi ne abbiamo 19.000. Ho avuto anche un negozio a Verona, per intercettare il Nordest e uno a Roma per il centro Italia, ma dovevo spezzarmi in tre per gestire le cose e alla fine li ho chiusi.


Hai notato un cambiamento dei gusti dei tuoi clienti in questi anni?
In realtà no, ogni cliente aveva e ha un suo genere preferito. All’inizio c’era poco e ci si accontentava, poi sono arrivate le categorie: i muscolosi, i giovani, i bear e così via. Forse era già allora più specifica la nicchia del fetish, prima c’era molto leather, poi è arrivato il sadomaso, poi ha avuto molta fortuna il pissing… Io cercavo di assolvere tutte le richieste.


Quali film hanno venduto di più?
Big Guns di Higgins è uscito nel 1987 e ne avrò vendute minimo tra le 10 e le 12.000 copie. È andato molto bene anche Powertool (1986) con Jeff Stryker che ha fatto una strage di cuori, esattamente come Sacré collège! (1983) di Cadinot.


Insomma i piaceri dei gay italiani si sono formati con il porno americano e francese…
Non esisteva una produzione italiana. Ho co-prodotto con Lucas Kazan il suo primo film, poi c’è stata per un breve periodo una casa bolognese a metà degli anni ‘90 di porno gay, la All Male Studio Production, e ho tentato di diventare produttore incontrando un finanziatore in Slovenia che era interessato alla mia rete di distribuzione. Sono scappato via, c’era un clima che non mi piaceva per niente, da mafia.


Hai rapporti diretti con i produttori di film?
La Germania era il maggior distributore, ieri come oggi di pornografia. Comprava i diritti dall’America e faceva la distribuzione. Ma era una roba all’inizio fatta un po’ alla carlona. Solo oggi ci sono cataloghi, fatture e bolle.


Come si diventa un buon gestore di sex shop?
Non ci si improvvisa venditore di cazzi, bisogna essere professionisti, conoscere i cataloghi. Ci vuole memoria, bisogna ricordare le preferenze dei clienti, intuirle da poche parole, ed essere riservati. Oggi lo sono un po’ meno, ma anche gli omosessuali si vergognano di meno. E sul lavoro niente sesso, anche se capita che qualcuno lo chieda. Allo Studio si lavora, niente pompe (ride).


Dopo anni di lavoro si dice che il pasticciere è disgustato dai dolci, il macellaio dalla carne… E il venditore di porno?
Sono ancora profondamente incuriosito dal porno. Mi piace immaginare che cosa passa per la testa alle persone quando immaginano il sesso, che cosa vogliono dalla sessualità e provare a intuire che cosa piace a un cliente prima che me lo chieda. In poche frasi in un sex shop si percepisce cosa ama di più una persone a letto, ed è sempre bello e stimolante.


Avrai ricevuto anche richieste assurde.
Un veneziano voleva un porno girato in chiesa con un attore che lo prendesse nel culo e al contempo bestemmiasse. Amore, gli ho detto, se vuoi ti faccio i sottotitoli io, in bergamasco. Sono di quelle zone (ride).


Oggi il mercato della pornografia è difficile, c’è internet.
E i miei clienti sono invecchiati (ride). Il DVD vende ancora, internet non è sicuro e quello che dai alle aziende non sono 10 dollari al mese ma i tuoi dati e i tuoi gusti. Nel nostro ambiente si sta parlando della fine del DVD nel prossimo futuro e di film porno su chiavetta USB. Comunque per attrarre anche i giovani come clienti ho ampliato l’offerta investendo su oggettistica, libri, gadget, lubrificanti e biancheria, siamo diventati un concept store gay only tra i più grandi d’Europa. Io sono sempre come il fruttivendolo sotto casa: c’è ancora chi ama un consiglio professionale!


I detrattori della pornografia sostengono che la pornografia sia pericolosa e dicono, per esempio, che può indurre a diventare violenti.
Una volta che hai sborrato ti è passata la fregola, se ti fai una bella sega ti passano tutti i bollori che hai nella testa. La pornografia scarica, questa mi sembra logica. Se tieni lo sperma per due settimana in corpo ti va alla testa, bisogna buttarlo fuori.


Hai venduto per 30 anni materiale giudicato osceno. Lo è ancora?
Non l’ho mai pensato nemmeno per un istante. Per me la pornografia è uno sfogo, se ti do un bel film e ti fai una bella sega faccio esattamente come il pasticcere che sforna un ottimo bignè. E poi, sempre meglio una bella sega di una brutta scopata.