Elementi di critica omosessuale, il capolavoro dell’elaborazione militante gay degli anni Settanta di Mario Mieli, torna in libreria in un nuova edizione. E a oltre 30 anni dalla pubblicazione continua a far discutere.

(prima pubblicazione Pride gennaio 2018)

 

La quarta riedizione degli Elementi di critica omosessuale di Mario Mieli (Feltrinelli 2017, € 12) ha offerto occasione a una nuova generazione (che a differenza di me la “Maria” non l’ha mai conosciuta) di salutarla come un visionario geniale, meritevole d’essere proclamato “santo precursore” del movimento queer (come fa Enrico Gullo nel suo: “Santa Maria Mieli”, Nero, 13 novembre 2017, https://not.neroeditions.com/mario-mieli/).

Ora, io non sono mai stato amico intimo della Maria: avevo 17 anni quando lo conobbi, e lui era già una “vecchia zia” troppo anziana perché riuscissimo a comunicare: aveva ben 24 anni. A ogni modo, abbiamo frequentato a lungo gli stessi collettivi e in un’occasione mi scontrai pure con lei, a un convegno in cui iniziò a parlare d’alchimia, di numerologia, del fatto che i valori numerici delle parole greche “oro” e “merda” sono identici e che quindi la merda è oro… (una disanima dei deliri alchemici della Maria sta in: Giampaolo Silvestri, L’ultimo Mario Mieli, Croce, Roma 2012, € 15).

La cosa che più mi stupisce è vedere la Maria presentata come precursore della moda “decostruzionista” che oggi domina il movimento lgbtpqrstuvz. Ma la Maria non è mai stato un “decostruzionista”; semmai fu pervicacemente l’opposto: “essenzialista”. Ricordo perfettamente di averla sentita proclamare in più di un’occasione l’esistenza d’un “filo rosso” (ossia una “essenza”) che univa le esperienza di tutte le persone omosessuali nel presente e nel passato. Negli Elementi si spinge a una rilettura della presunta omosessualità di Dante grazie al parallelo fra il suo comportamento con ser Brunetto e il comportamento dei gay nel “battuage” notturno. Quasi che esistessero comportamenti e sensibilità che nei gay si ripetono sempre uguali a se stessi, di generazione in generazione. Più “essenzialista” di così!

Del resto Mario era un grande appassionato della psicoanalisi, teoria “essenzialista” al 101%, che sostiene l’esistenza di schemi psicologici innati in tutti gli esseri umani: lo sviluppo della sessualità, in ogni cultura e in ogni epoca, passa attraverso una fase anale, una fase orale, una fase genitale ecc. E chi abbia letto gli Elementi, non può non avere notato quanto il pensiero di Mieli dipendesse da quello psicoanalitico (soprattutto quello del suo amatissimo Groddeck) com’era usuale nella corrente di pensiero a cui Mieli apparteneva, che Lorenzo Bernini ha efficacemente definito “freudo-marxismo”.

Oltre tutto, questo entusiasmo “essenzialista” della Maria era un pallino suo personale, non un’idea diffusa nel movimento gay dell’epoca, nel quale moltissimi (e fra loro anch’io) pensavano che la psicoanalisi fosse una pseudo-scienza, incapace di dimostrare anche il più piccolo dei propri dogmi, soprattutto quando si parlava d’omosessualità.

Certo, attraverso un uso sconcertante e disinvolto della psicoanalisi, Mieli riusciva a tirare l’acqua al nostro mulino, trovandovi argomenti per teorizzare quella pansessualità che oggi piace un sacco ai queer. Che però a quanto pare non hanno letto con troppa attenzione quel che Mieli scrisse. Perché nel teorizzare la liberazione da tutti effetti della “edu-castrazione” Mieli arrivava, con coerenza, a teorizzare la necessità di liberarci anche dai nostri tabù contro necrofilia, coprofagia, pedofilia… (Dario Accolla ha scritto un buon articolo per spiegare questo ultimo, sconcertante, aspetto: www.gay.it/blogs/dario-accolla/mieli-gay-pedofilo-morale-malan-giovanardi-formigoni, Gay.it, 8 agosto 2015).

Queste non erano pose per scioccare: tutti infatti ricordano gli spettacoli in cui Mario sul palcoscenico mangiava la cacca, o la sua pestilenziale scatolina d’argento in cui ce la teneva, o il passaparola che avvisava di non accettare mai inviti a mangiare da lui perché… (il perché lo racconta lui stesso nel suo: Il risveglio dei Faraoni, Centro d’Iniziativa Luca Rossi, Milano 1994, a cui preferisco rimandare).

Per arrivare infine all’aspetto più problematico del suo pensiero: l’esaltazione della schizofrenia come veicolo per raggiungere “il divino, gaio, diabolico comunismo”, idea che torna ossessivamente nella seconda parte degli Elementi, e che costituisce una zavorra teorica che non ci si può limitare a nascondere sotto il tappeto.

Non basta. Mieli, come tutta la sua generazione, diffidava profondamente del potere accademico, ossia di quel potere che oggi gli dedica i seminari di studi. Ancora studente andò a volantinare contro un professore della sua stessa università, Pino Frezza, che aveva scritto un libro su (cioè contro) l’omosessualità. Il volantino concludeva con la frase “Il libro di Frezza, è una schifezza!”.

Massimo Prearo, nel suo saggio: Le radici rimosse della queer theory. Una genealogia da ricostruire (Genesis, XI 2012 (1-2), pp. 95-114), ha efficacemente descritto la “volontà di non sapere” di Mieli, che sbarcato a Parigi e conosciuti coloro che sarebbero stati i guru del pensiero queer, come Foucault e Hocquenghem, non ci mise molto a restarne deluso. Mieli li riconobbe infatti per ciò che furono: baroni accademici; prodotti “pop” del mercato culturale. Guru.

Ha quindi capito l’esatto contrario della realtà il già citato Enrico Gullo laddove descrive Mieli come: “Zombie, mostro, caso psichiatrico e disforico. È su questo punto che nuovamente Foucault e Mieli si incontrano: il concetto di transessualità in Mieli e la proposta foucaultiana di far valere “i corpi e i piaceri” guardano nella stessa direzione dello sperimentare piaceri per ideare nuove forme-di-vita, per rimettere in discussione la gestione politica dell’integrazione sessuale. Oppure, più semplicemente, per far incazzare quella vecchia reazionaria di Giovanni Dall’Orto, che ormai preferisce l’elaborazione di Diego Fusaro alla vicinanza ai movimenti LGBT e queer.”

Spiacente: Mieli e Foucault non guardano affatto “nella stessa direzione” bensì in direzioni opposte: da un lato l’idolatria ipnotica del Potere, che tutto può e tutto decide, dall’altra il rifiuto di ciò che Mieli vede in Foucault: la manovra del Potere che usa i neo-nicciani per smantellare (come fin dal 1966 aveva denunciato Jean-Paul Sartre: https://giovannidallorto.wordpress.com/2017/08/29/sartre-foucault-e-il-rifiuto-della-storia/) la cultura marxista a cui Mieli apparteneva.

Peggio ancora, la Maria non era affatto “disforica” bensì checca, era cioè un maschio cisgender ma effeminato, che come tutti i gay dell’epoca (me incluso) partecipava all’allegro smantellamento del genere (tant’è che non riesco a pensare a lui se non come a “la Maria”), laddove i queer oggi cercano di trasformare il genere in una camicia di forza, chiedendo punizioni per chi parlando “sbaglia” i pronomi, o spacciando per logica l’idea che i corpi vadano devastati a piacimento (cosa che la Maria non si sognò mai di fare) se hanno il torto di accompagnarsi al genere “sbagliato”. Il fatto che oggi un giovane riesca a fraintendere come “disforia” quello che era “gender-fucking”, “scheccata” (ossia una prassi tradizionale della subcultura omosessuale), mostra quanto gli sia alieno il contesto per cui Mario scrisse: per poter intendere Mieli, Gullo è costretto a fraintenderlo.

Infine, Fusaro è l’espressione del pensiero della generazione di Gullo, ossia quella del pensiero debole: “ai nostri tempi” noi adepti del “pensiero forte” gli avremmo fatto passare la voglia di spacciarsi per marxista in meno di venti secondi. Avevamo i nostri metodi.

La vera lezione di Mieli, a mio parere ancora valida, va quindi nel senso esattamente inverso a quello identificato dai “santificatori”, ed è riassumibile nel detto zen “se incontri il Buddha per strada, uccidilo”.

Io stesso iniziai a fare ricerca storica e culturale gay perché l’aria che respiravo era intrisa dell’idea che noi gay non potessimo fidarci della cultura accademica, pagata dal Potere per negare la nostra storia, i nostri amori, i nostri diritti e soprattutto la nostra stessa esistenza.

E avevamo ragione, visto che dopo un troppo breve quindicennio in cui il mondo accademico fu preso alla sprovvista dall’irruzione delle nostre richieste (e fu grazie a questa “finestra” che gli Elementi di critica omosessuale nacquero come tesi di laurea: oggi ciò sarebbe impensabile), arrivò la risposta per annientare le ragioni stesse d’esistere delle rivendicazioni omosessuali. Ossia, che l’omosessualità non esiste (toh!), essendo una mera “costruzione sociale”; “definirsi è limitarsi”; “occorre andare oltre le definizioni”; “occorre andare oltre gli studi gay e allargarsi agli studi di genere”, e via cantando. Conclusione: i froci devono stare zitti e lasciar parlare gli accademici, come Foucault… o come i chiosatori di Foucault.

In tale mondo accademico queer un Mario Mieli oggi non avrebbe spazio di parola. Tanto è vero che i militanti di ventiquattro anni oggi non scrivono Elementi di critica omosessuale, salvo poi per disperazione cercare di riconoscersi in un testo di due generazioni fa, talmente lontano dalla loro esperienza che per intenderlo devono fraintenderlo in blocco.

Ciò vorrà forse dire che Mieli era un genio precoce? No, non lo era: era uno di noi, anzi era una persona con grossi limiti e grossi problemi psichici (alcuni dei quali gli sono costati la vita). Ma appunto, era uno di noi: se Elementi diventò il breviario del movimento gay italiano, ciò avvenne perché egli seppe metterci dentro le idee e le analisi che in quegli anni erano correnti in qualsiasi conversazione fra noi militanti, ossia perché diede voce alla sua generazione, sintetizzandone il pensiero in modo particolarmente originale. Nella cacofonia di oggi, chi volesse far la stessa cosa, a chi mai “darebbe voce”?

Ciò premesso, uno scrittore non “appartiene” a nessuno, quindi chiunque ha il diritto di “fare santo” chi gli/le pare. Tuttavia la chiesa cattolica, che di santi se ne intende, ha una regola: tranne in casi eccezionali, prima di proclamare santo qualcuno, è saggio aspettare che siano crepati tutti coloro che lo conobbero di persona…

Purtroppo chi ha sposato il pensiero postmoderno ha fretta, perché ha disperato bisogno di santi subito (David Halperin ha scritto: San Foucault: verso un’agiografia gay, ETS, Pisa 2013, € 25) non avendo gli strumenti critici per arrivare da sé alla “santità”. Infatti chi ripete che la verità non esiste, che i fatti non esistono, ha un solo modo per sapere cosa al mondo sia vero e cosa falso, cosa sia un fatto e cosa no: farselo dire dal guru. O dal santo.

P.S. Esistono due libri biografico-antologici su Mieli: Dario Accolla e Franco Buffoni (a cura di), Mario Mieli trent’anni dopo, Circolo Mario Mieli, Roma 2013 e Silvia De Laude (cur.), Mario Mieli. E adesso, Clichy, Firenze 2016, € 8.