Varichina, La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis è tra i rari docufilm italiani che racconta sia l’archeologia del movimento omosessuale italiano dei primi anni Settanta che il nostro sud.

(prima pubblicazione Pride settembre 2017)

 

Considerando la nascita del movimento gay italiano con il Fuori! nel 1970, il fatto che in pochi decenni svariati secoli di oppressione e persecuzione sono stati letteralmente rovesciati ci permette di poter parlare di “archeologia gay” quando si scava nella nostra propria storia contemporanea.  Un reperto prezioso, per la sua rarità e incredibile sincerità, è il protagonista del docufilm biografico Varichina – La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis dei registi pugliesi Antonio Palumbo e Mariangela Barbanente.

Sottolineare la regione geografica è importante perché Lorenzo De Santis, soprannominato “Varichina” in quanto da ragazzino andava a consegnare porta a porta i prodotti per la casa che la madre vendeva tra cui la candeggina, è stato il primo barese a manifestare pubblicamente e senza inibizioni la propria omosessualità negli anni ‘70. Lo fece quasi di sicuro senza una coscienza politica LGBT come la potremmo definire adesso, ma in un’epoca e in una realtà come una città del nostro meridione in cui, se dichiararsi apertamente era sostanzialmente inconcepibile, sbattere letteralmente in faccia a tutti e tutti i giorni la propria condizione rasentava la follia. E la sua fu una vita senza privilegi: faceva il posteggiatore abusivo, puliva i bagni pubblici, era stato chaperon di prostitute… Varichina però entrò nella mitologia popolare della città, un personaggio che tutti a Bari conoscevano o di cui avevano sentito parlare, e pur se ripudiato dalla famiglia ebbe intorno a lui anche persone che gli vollero realmente bene.

Il film, inoltre, è prodotto da Apulia Film Commission nell’ambito del “Progetto Memoria 2014”, un concorso finalizzato alla realizzazione di film sulla vita di personaggi o su eventi che hanno contribuito alla definizione dell’identità e della storia pugliese del ‘900, ed è di una tale qualità da essersi meritato svariati premi e una candidatura tra i finalisti ai Nastri d’argento 2017, i prestigiosi premi assegnati dal sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani. Entro la fine dell’anno uscirà in DVD ma per seguire le programmazioni al cinema potete verificare le date su www.facebook.com/lorenzodesantisvarichina

Lorenzo De Santis morì allontanato e dimenticato da tutti nei primi anni del 2000 e fu, per così dire, riesumato da un articolo pubblicato da La Gazzetta del Mezzogiorno del 2 giugno 2013 dal titolo “Un busto per il mito diverso. Viva Lorenzo ‘Varichina’!” in cui il giornalista Alberto Selvaggi ne celebra il ricordo, e di cui trascriviamo l’inizio: “Scusa, chi sei tu, Nichi Vendola, presidente della Regione, governatore, roba del genere? Vieni qui, bello allo zio. E tu, Paola Concia, i pacs, le cose, l’omo e la trans-fobia. E tu, Franco Grillini, Arci-inverter, tenzoni dialettiche vaticanesi. E voi, altri fighetti dei negozi baresi che ve la tirate manco Valentino (un genio) o Dolce & Gabbana (artisti magnifici), tesserati alle saune, ai locali ‘in’ transgender, ai resort convenzionati gay friendly, immunoprotetti intellettualesi Lgbt/ci, e quanti ne siete: in ginocchio, e muti davanti all’aura di chi ha combattuto per i diritti al modo più chiassoso, scriteriato, stradaiolo, sub-proletario, teatrale e volgare osceno nei tempi dei pionieri. Sguardo a terra, per la miseria, davanti a chi ha fatto di un’intera vita un gay pride in solitaria perenne: Lorenzo De Santis, detto ‘Varichina’, primo, anzi unico omosex oltranzista, urlante, pressoché animalesco della storia incolore di Bari”.

Partendo da qui i registi hanno deciso di cercare le tracce lasciate nella cultura e nel costume del capoluogo pugliese, attraverso un mosaico composto da testimonianze di chi lo conobbe e più o meno apertamente lo frequentò, intercalate da una raffigurazione del personaggio interpretato magistralmente da Totò Onnis (su YouTube è possibile vedere un cortissimo clip di Varichina registrato da TeleBariWeb per fare un raffronto), contribuendo così a far percepire anche a chi non lo ha vissuto il clima omofobico, anche questo forse un termine “contemporaneo”, o comunque ipocrita e di sicuro violento contro i “diversi” che all’epoca dominava in città e in gran parte nell’intero nostro paese, restituendo alla memoria collettiva un involontario eroe delle nostre lotte per i diritti civili e la piena integrazione nella società.

Per comprendere meglio la genesi e l’evoluzione di questo progetto, anch’esso per certi aspetti fuori dalle righe nel panorama cinematografico nazionale, sempre alquanto avaro di produzioni a tema LGBT di alto livello, abbiamo posto alcune domande ai registi.

È spontaneo chiedervi quali difficoltà avete incontrato nel produrre questo docufilm.
Dal punto di vista ambientale nessuna perché, essendo baresi, conosciamo bene anche quella cultura e la lingua di strada dei luoghi e della maggior parte dei testimoni intervistati. I baresi devono sentirsi protetti quando ti raccontano qualcosa di personale. Alla fine si sono fidati, anche se non abbiamo trovato nessun famigliare disposto a comparire nel film.
Dal punto di vista produttivo, le difficoltà sono state maggiori a causa di un budget complessivo di trentamila euro. Se siamo riusciti a portare a casa questo film, lo dobbiamo alla voglia pazzesca che avevamo di raccontare questo personaggio e a tutti coloro che si sono spesi, spesso gratuitamente, per la riuscita. Va ringraziata anche la Ismaele Film, una piccola e giovane casa di distribuzione che ha creduto nelle potenzialità del film ed è riuscita a sdoganarlo nelle sale.

Il titolo è alquanto originale, come mai questa specie di gioco di parole?
Inizialmente doveva essere semplicemente Varichina. Poi, prendendo spunto da Birdman, mi ero fissato nell’inserire un sottotitolo “ovvero La vera storia di Lorenzo De Santis”, dice Antonio. Nel solito ping pong di scrittura tra me e Mariangela, un giorno mi arriva il copione provvisorio con gli aggiornamenti della coregista e mi accorgo che il sottotitolo era diventato “La vera storia della finta vita di Lorenzo De Santis”.

L’ho amato immediatamente e ho chiamato Mariangela per complimentarmi dell’intuizione, perché era proprio quello che stavamo facendo: raccontare le vicissitudini di un uomo che pubblicamente è sempre stato una maschera, un fenomeno quasi da baraccone, un clown. Procedendo con le ricerche, abbiamo conosciuto alcuni aspetti dell’altra parte della medaglia, la sua vita privata, i pochi affetti, i suoi sogni. Tutto ciò che non gli era permesso mostrare pubblicamente in vita e che non faceva parte della memoria di questo personaggio. Ci interessava raccontare l’uomo dietro la maschera e ci sembrava (e ci sembra tutt’oggi) che questo sottotitolo esprima con il calembour l’anima e gli intenti del film appieno.

Alberto Selvaggi lo definisce “il primo uomo ad aver celebrato ogni giorno il gay pride da solo”, e in effetti dalla pellicola risulta che era emarginato persino dagli altri omosessuali della città. Nel 2003 però a Bari si celebrò uno storico pride nazionale con una partecipazione quasi “corale” della città. Secondo te lui come l’avrebbe presa questa invasione di campo?
L’avrebbe presa male, da primadonna qual era. Varichina sapeva di essere unico nel suo genere e per quanto la sua vita fosse costellata di violenze, privazioni e mancanza di un amore vero, quella corazza trash che si era costruito gli permetteva di portare fieramente a testa alta il suo ego. Andava per la sua strada contro tutto e tutti. Se i progressi sociali in tema di accettazione pubblica della comunità LGBT hanno visto un lento ma inesorabile abbattimento dei pregiudizi nei confronti degli omosessuali è sicuramente merito anche dei gay pride che si sono via via susseguiti dall’inizio degli anni 2000 a oggi.

Quello di Lorenzo de Santis, all’epoca, non era un gesto politico: Varichina non aveva la cultura e l’intelligenza per rivendicare strategicamente un simile concetto. È diventato un simbolo di resilienza nel medioevo culturale degli anni in cui è vissuto a sua insaputa e il valore delle sue azioni acquistano grande significato oggi, soprattuto grazie a questo film che è diventato occasione per restituirgli dignità e momento di riflessione sulla mai doma stupidità della tendenza umana di cercare un’omologazione sul colore, le preferenze sessuali e le tendenze politiche, a prescindere dal valore della singola persona.

Per concludere cosa vi è restato di questa avventura?
Storie come questa dalla connotazione locale ma di tematica universale, pensiamo che abbiano il dovere di essere raccontate. I riscontri positivi della critica, dei festival e soprattutto del pubblico, non necessariamente legato alle problematiche LGBT, ci riempiono di orgoglio ed emozioni continue. Ogni possibilità di confronto, dopo la proiezione, dà spesso vita a lunghi dibattiti in cui gli spettatori, oltre a chiederci della realizzazione del film, si aprono e ci raccontano le loro storie prendendo spunto proprio dalle vicissitudini del protagonista. Di Varichina ci resta la fatica, l’incoscienza e la determinazione, tanto della lavorazione quanto di questo bizzarro personaggio che, almeno post mortem, sembra riacquisire un minimo di giustizia e, come già ribadito, un rigurgito di dignità.