A marzo a Boston, alla 25a conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche si è parlato delle nuove frontiere di lotta farmacologica all’HIV-AIDS. Facciamo il punto.

(prima pubblicazione Pride aprile 2018)

 

Oggi siamo forse un passo più vicino a una cura definitiva per l’infezione da HIV. Qualcosa che consenta a chi vive con l’infezione di tenerla sotto controllo senza dover prendere continuamente i farmaci antiretrovirali avanza passo dopo passo. L’annuncio è stato dato alla 25a edizione della Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (CROI) che si è svolta a Boston dal 4 al 7 marzo 2018.

Chiariamo però subito che se si parla di “cura” o – per essere più precisi – di “cura funzionale” dell’infezione da HIV, cioè di un trattamento che permetta al sistema immunitario di fermare la replicazione del virus anche senza l’aiuto di medicinali da assumere continuativamente, non parliamo di qualcosa che sarà disponibile a breve. Oggi la ricerca sta cercando di accumulare dati che in un prossimo futuro possano indicarci quale potrebbe essere l’approccio più promettente. A dire il vero qualcosa l’abbiamo già capita: non sarà un solo intervento a rendere capace l’organismo di vincere la battaglia contro l’HIV, ma una combinazione di approcci.

Tra questi interventi, uno dei più promettenti sembra essere l’uso degli anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro. Sono particelle del sistema immunitario, ricreate artificialmente, in grado di attaccare varie versioni di HIV, che notoriamente è un virus molto mutevole. Al CROI di Boston ha destato molto interesse una ricerca condotta su 44 scimmie infettate con un virus molto simile a HIV e trattate con un anticorpo neutralizzante ad ampio spettro chiamato PGT121 insieme con un altro farmaco indicato con la sigla GS-9620.

Trattate con questi due farmaci insieme, le scimmie sono state in grado di mantenere la quantità di virus presente nel loro sangue a livelli non rilevabili per almeno tre mesi dopo aver smesso di assumere la terapia anti-HIV. Metà di queste scimmie addirittura per sei mesi. Adesso i due farmaci hanno cominciato il lungo cammino della sperimentazione nell’uomo.

Nel frattempo, è bene affidarsi ai farmaci anti-retrovirali che diventano sempre più efficaci e con minori effetti collaterali. Due nuove molecole sono in arrivo: una, già approvata negli Stati Uniti, verrà commercializzata già coformulata con altri due farmaci per fornire un regime completo in un’unica pasticca (come ne esistono già ben più di sei). Si tratta di bictegravir, un nuovo inibitore dell’integrasi, cioè la classe di farmaci di più recente introduzione, che secondo i dati presentati al CROI, sembra offrire tollerabilità in termini di effetti collaterali ed efficacia nella riduzione della carica virale paragonabili a quelle dei migliori farmaci della stessa classe già sul mercato. Il professor Molina, che ha presentato la ricerca a Boston, ha spiegato che è bene avere nuove opzioni terapeutiche per le persone che non possono prendere le altre co-formulazioni.

Nuovi dati anche su un’altra molecola che sembra poter rinnovare radicalmente la più vecchia classe di antiretrovirali, quella degli inibitori della trascrittasi inversa. Al contrario di alcuni farmaci “di prima generazione” appartenenti a questa classe, il “nuovo arrivato” non sembra dare effetti collaterali di rilievo. Non solo: si tratta di una molecola, al momento chiamata MK-8591, talmente potente che potrebbe essere assunta o in piccolissime dosi una volta al giorno oppure in dosi leggermente maggiori una volta alla settimana. Proprio la sua capacità di restare attiva a lungo nell’organismo, la rende candidabile anche nell’uso preventivo.

Ormai da diversi anni la scienza ha dimostrato che l’assunzione di farmaci antiretrovirali da parte di persone sieronegative è in grado di impedire loro di contrarre l’HIV. Si chiama profilassi pre-esposizione o PrEP ed è disponibile anche se non rimborsata anche in Italia (maggiori informazioni sul sito www.prepinfo.it). Proprio al CROI diverse presentazioni hanno confermato che la PrEP è altamente efficace nel prevenire l’infezione se assunta correttamente e che nei contesti in cui viene impiegata su larga scala si registrano sensibili diminuzioni nel numero delle nuove diagnosi di HIV. In particolare, nella regione di Sydney, in Australia, a un anno dall’inizio di un programma di implementazione della PrEP si è registrato un calo del 35% nelle nuove diagnosi di infezione. La maggior parte delle persone che hanno aderito a quel programma erano maschi bianchi gay della zona centrale di Sydney, cosa che suggerisce che occorra offrire questo strumento di prevenzione anche ad altri gruppi di popolazione, a partire dalle donne.