Monica Cirinnà racconta da protagonista indiscussa il tortuoso cammino percorso per l’ottenimento delle unioni civili in Italia, in un libro che marca la nostra storia ma ci impone anche di riflettere sul nostro futuro.

(prima pubblicazione Pride dicembre 2017)

 

Chiunque di noi ha pensato che l’ottenimento della legge sulle unioni civili, pur nella sua imperfezione, non è stato semplice. Probabilmente però pochi di noi si sono resi conto in due lunghi anni e mezzo, di quanto sia stato impervio e complicatissimo il processo che ha portato al suo raggiungimento.

Le premesse, in effetti, non erano agevoli: trenta anni precedenti di tentativi andati a vuoto; il tema del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali che è sempre stato divisivo anche all’interno del movimento politico LGBT; la scelta di una persona eterosessuale sostanzialmente sconosciuta a cui poteva essere facile addossare un ennesimo fallimento rendendola un mero capro espiatorio.

Per lasciare una traccia scritta a futura memoria di una rivoluzione copernicana nelle vite delle persone omosessuali italiane, e di una rivoluzione culturale per tutta la nazione, Monica Cirinnà ha dato alle stampe per la casa editrice Fandango L’Italia che non c’era – Unioni civili: la dura battaglia per una legge storica.

Gli elementi per un’avvincente tragedia c’erano tutti, a partire da una protagonista convinta che “sui diritti non si può e non si deve arretrare” e che, con una forza di volontà senza limiti, ha saputo tenere la rotta in un oceano in burrasca fino alla tempesta perfetta. La senatrice Cirinnà, senza peli sulla lingua, dettaglia pagina per pagina ogni tentativo possibile e immaginabile per far arenare la legge, l’ipocrisia e l’opposizione dentro e fuori il Partito Democratico e, secondo il punto di vista della rappresentante del PD, l’inaspettato tradimento all’ultimo momento del Movimento 5 stelle. Per fortuna c’è stato un sostanziale lieto fine con l’approdare all’ottenimento di una legge che, nelle sue parole, “non è un punto di arrivo ma di partenza, la migliore possibile alle condizioni e con i numeri di quella fase politica”.

Tutto è bene ciò che finisce bene insomma? Non proprio perché il dichiarato buco di questa legge è il non consentire al figlio o figlia di essere adottato dal/la partner del proprio genitore biologico. Il parlamento, insomma, non è riuscito a riconoscere la piena co-genitorialità alle coppie gay e cosa ben più grave ai nostri giorni non ha voluto riconoscere pieni diritti e tutele a cittadini italiani colpevoli, se così si può dire, di essere stati “diversamente procreati”.

A oramai un anno abbondante dalla sua entrata in vigore è necessario però iniziare un’analisi, di certo incompleta e imperfetta, di dove siamo. Innanzitutto c’è la richiesta da parte della senatrice di lottare insieme con lei per adozioni e matrimonio egualitario. Istanza innegabilmente buona e giusta ma che se diventa prioritaria rischia di far entrare il movimento LGBT in un tunnel che sbocca in una strada a fondo chiuso. Perché per esempio mancano ancora all’appello una legge contro l’omofobia, una promozione pubblica e sistematica sui temi delle malattie a trasmissione sessuale, l’approvazione della cosiddetta “piccola soluzione” ovvero la possibilità del cambio anagrafico sui documenti per le persone transgender senza l’obbligo di interventi chirurgici correttivi.

Altro argomento che si sta approcciando in modo schizofrenico e fuorviante è quello del turismo LGBT. A luglio scorso Vogue Italia pubblicò una lettera aperta al ministro Franceschini in cui è scritto “Facciamo ristrutturare i monumenti ai privati, rattoppiamo Pompei come si può, ma i turisti gay non li invitiamo. Né ci interessa intercettare una porzione dei circa 170 miliardi di euro che i viaggiatori arcobaleno spendono ogni anno”. Nella risposta ufficiale dell’onorevole Dorina Bianchi, sottosegretario al turismo, si legge “L’Italia è un paese per tutti. (…) Pertanto, trasformare l’Italia in una meta esclusiva del turismo LGBT sarebbe riduttivo rispetto alle nostre potenzialità”.

Evidentemente per lei non conta che noi come segmento di mercato turistico valiamo potenzialmente sette miliardi di fatturato annuo e andiamo rispettati, e apparentemente non sa che ENIT Nord America ha messo online il portale “Friendly Italy” su www.italiantourism.com dove, al momento di scrivere questo articolo, Taormina è segnalata come destinazione turistica gay friendly. Peccato che lo fu tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, prediletta dagli aristocratici europei per via dell’assenza di leggi contro gli omosessuali nel nostro paese.

Riteniamo nostro compito far emergere le contraddizioni restanti e resistenti in Italia sui temi inerenti l’universo LGBT senza accontentarci. Bisogna avere la forza e il coraggio di risolvere le croniche debolezze della nostra comunità che il mondo politico ben percepisce e di cui si approfitta. All’onorevole Monica Cirinnà riconosciamo un meritato posto nella nostra storia e tutti i nostri doverosi ringraziamenti ma consci che la lotta per i nostri diritti non si ferma qui.

 

foto Marco Albertini