L’uso di sostanze come alcol o droghe è più diffuso tra le persone LGBT di quanto non lo sia nella popolazione generale. Proviamo a indagare il fenomeno e a valutare possibili soluzioni.

(prima pubblicazione Pride febbraio 2017)

 

Una volta alla settimana Paolo esce, da solo o con qualche amico. Va in un bar – gay, ovviamente – e beve due o tre gin tonic. Poi cambia bar e ne beve altri due o tre. Non va nei bar gay per rimorchiare. In genere non entra nemmeno in dark: gli piace chiacchierare con chi trova al bancone. Ma il più delle volte il mattino dopo non ricorda nemmeno chi ha conosciuto la sera prima. E passa tutta la giornata a cercare di riprendersi dalla sbronza.
Forse non si può dire che Paolo sia un alcolista. Ma si può ben dire che ha qualche problema con l’alcol. Come si può dire che Giorgio – un suo amico, gay anche lui – ha qualche problema con la marijuana, visto che ogni sera fuma almeno cinque o sei canne e che non esce mai senza di quelle.

Probabilmente tutti coloro che frequentano i locali gay conoscono un “Paolo” o un “Giorgio”, oppure qualcuno che non di rado passa la notte – o magari tutto il weekend – tra droghe chimiche e sesso. Lo dicono decine di ricerche: l’uso di sostanze come alcol o droghe (per non parlare delle sigarette) è più diffuso tra le persone LGBT di quanto non lo sia nella popolazione generale. Anche se non è facile individuare i motivi per cui le cose stanno così, certo è che il problema esiste.

Quando, nei primi anni Settanta, sono state fatte le prime ricerche sulla diffusione del fenomeno negli Stati Uniti d’America, sono venuti fuori risultati allarmanti: un terzo degli uomini gay e ben due terzi delle donne lesbiche avevano un problema con l’alcol.

Più tardi, quando la metodologia per affrontare queste indagini è stata raffinata, si è compreso che quei risultati erano un po’ falsati: la maggior parte di coloro che partecipavano a questi studi veniva reclutata nei bar gay, non proprio dei luoghi presi d’assalto da comitive di astemi! Gli studi successivi ridimensionano il fenomeno, pur senza smentirlo: secondo una ricerca del 2004, gli uomini statunitensi che avevano fatto sesso con un altro uomo nell’ultimo anno presentavano un problema con la marijuana con una frequenza doppia rispetto agli uomini che avevano fatto sesso solo con donne (15 percento contro il 6,6%). Risultati ancora più eclatanti tra le donne: le lesbiche fumavano spinelli in maniera problematica quattro volte più spesso rispetto alle donne eterosessuali.

Altri studi mostrano come il fenomeno sia un po’ più sfaccettato: per esempio, sembra che chi ha problemi a identificarsi come gay o lesbica cada nella dipendenza da sostanze o alcol più spesso di chi invece si dichiara omosessuale. C’è un motivo per cui i problemi con alcol e droghe sono più frequenti nella popolazione omo/bi/transessuale? La risposta generale sembra essere “no”.

Che una persona sia eterosessuale, gay, lesbica, bisessuale o transgender, i motivi per cui si cede all’uso di sostanze sono sempre i soliti quattro. Innanzitutto per sentirsi bene: la maggior parte delle sostanze utilizzate, dall’alcol alla marijuana fino a droghe più pesanti, producono una sensazione di piacere, ci si sente euforici o più rilassati. Il secondo motivo – anche se può sembrare un gioco di parole – è per sentirsi meglio: l’uso di sostanze serve ad arginare le difficoltà che certe persone avvertono nei confronti del mondo esterno, quindi aiutano a sentirsi meno inadeguati o infelici. Una terza motivazione viene dalle persone che frequentiamo: se i nostri amici vedono l’uso di alcol, droghe e affini come un fatto normale o addirittura positivo, per alcuni – soprattutto i giovanissimi – potrebbe essere più difficile resistere a utilizzarli. Infine alcune sostanze migliorano le prestazioni cognitive o atletiche: l’uso e abuso di steroidi per l’aumento della massa muscolare è l’esempio più tipico, anch’esso particolarmente diffuso in certi ambienti gay.

Se queste caratteristiche rendono alcune sostanze desiderabili, è un dato di fatto che alcune persone riescono a gestire il consumo senza mai finire nella dipendenza. Perché invece alcuni individui sviluppano presto e facilmente un comportamento problematico?

La risposta sta in una complicata interazione di fattori legati alla specifica droga e alle caratteristiche dell’individuo oltre all’ambiente in cui si vive. Certamente la tipologia di sostanze e la via di somministrazione hanno il loro peso: si sa che iniettarsi o sniffare certe droghe provoca effetti più rapidi e generalmente meno durevoli, per cui le persone possono essere portate a ripetere l’assunzione più frequentemente sfociando nell’abuso. Anche la genetica e l’ambiente familiare o amicale hanno il loro peso, ma uno dei fattori più importanti è l’esistenza di altre problematiche. Per citare uno studioso, “un utente che si presenti con un solo problema di dipendenza senza altre co-dipendenze o disordini psichiatrici è un’eccezione, non la regola”. In altre parole, chi non riesce a gestire il proprio rapporto con l’uso di sostanze nella stragrande maggioranza dei casi ha anche altri problemi che possono andare dal disturbo post traumatico da stress, all’ansia o alla depressione.

È chiaro che se parliamo di disordini coesistenti, il fatto di appartenere a una minoranza rende più probabile sperimentare tutte quelle situazioni stressanti legate a questa condizione: siamo abituati a parlare di “omofobia interiorizzata” per indicare quel disagio interiore o carenza di autostima che deriva dal fatto di vivere in quanto omo/bi/transessuale in un ambiente normato per gli eterosessuali. Questo, in certa misura, può essere considerato una spiegazione del perché l’uso di sostanze sembra essere più diffuso nella popolazione LGBT.

Anche il processo del coming out è stato identificato come un fattore che facilita il ricorso alle sostanze, sia per alleviare lo stress connesso con il processo stesso, sia perché il relazionarsi con altre persone LGBT, come normalmente avviene durante il coming out, facilita l’assunzione delle medesime abitudini.

E questo porta a discutere un terzo fattore tipico della comunità LGBT e che potrebbe rendere più facile assumere alcol, droghe e simili: da sempre, le persone gay, lesbiche e transessuali si sono ritrovate nei bar, vissuti come rifugi sicuri dal rigetto di un mondo basato sull’eterosessualità. È persino banale dire che nei bar il consumo di alcol e – soprattutto in passato – di tabacco è più facile e frequente che altrove. Non solo: spesso le compagnie produttrici di queste sostanze hanno identificato nei luoghi di ritrovo LGBT un posto perfetto dove pubblicizzare i loro prodotti, hanno iniziato a sponsorizzare gli eventi della nostra comunità e, soprattutto negli USA ma anche da noi, persino molti servizi per la salute delle persone omosessuali sono finanziati da queste realtà commerciali. Creando così una sorta di liaison dangereuse.

Come affrontare questa situazione? Cosa devono fare Paolo, Giorgio e le persone come loro per liberarsi dalla dipendenza? Diversi studi mostrano che i percorsi terapeutici per trattare problemi di abuso di sostanze nella popolazione generale sono altrettanto efficaci per le persone LGBT.

Certo, se ci si ritrova in un gruppo di alcolisti anonimi pieno di omofobi o, peggio ancora, con un terapeuta o facilitatore omofobo la faccenda si complica parecchio. Quindi se è vero che non servono servizi speciali per le persone gay, lesbiche, bisessuali o transessuali che desiderano curarsi dalla dipendenza, è però necessario che i servizi disponibili siano “culturalmente competenti” per affrontare le specificità LGBT. In altre parole, ci si deve trovare in un ambiente accogliente e non stigmatizzante. Come trovarlo? Qui, purtroppo, casca l’asino: in Italia non esistono indicazioni su come individuare servizi per le dipendenze che siano in grado di accogliere adeguatamente le persone LGBT. Il passaparola, magari facilitato da qualche associazione, è a oggi l’unica strada percorribile.

Chiudiamo con una nota metodologica: quasi tutte le informazioni discusse in questo articolo sono tratte da un libro recentemente pubblicato dalla casa editrice Harrington Park Press e intitolato Fundamentals of LGBT Substance Use Disorders: Multiple Identities, Multiple Challenges. L’autore è Michael Shelton, un medico di Filadelfia membro dell’organizzazione statunitense di terapeuti delle dipendenze LGBT, autore anche di altri volumi sull’uso di sostanze da parte degli uomini gay e sulle famiglie omosessuali. Il libro, ovviamente in inglese, si presenta come una lettura obbligata per qualsiasi professionista sanitario che voglia occuparsi di questo argomento ma, grazie a uno stile più che abbordabile e a un linguaggio semplice, è adatto anche a chiunque voglia approfondire la problematica.