La capitale ospiterà a marzo il congresso mondiale delle persone ebree LGBT, che raccoglie la sfida del dialogo tra differenti culture religiose e laiche in Italia e nel mondo.

 

A marzo, da giovedì 15 a domenica 18, Roma ospiterà la conferenza del World Congress of LGBT Jews Keshet Ga’avah, orgoglio arcobaleno, network mondiale che collega le più importanti realtà LGBT ebraiche attive in Nord e Sud America, Europa e Israele, e che si traduce in una piattaforma globale per informazioni, scambi e mutuo sostegno all’interno del mondo ebraico omo-bi-transessuale.

L’evento è organizzato da Magen David Keshet Italia, la prima organizzazione indipendente ebraica LGBT italiana (www.facebook.com/ebrei.lgbt.roma), che si propone di promuovere all’interno delle comunità ebraiche e non solo la piena uguaglianza delle persone LGBT, in coerenza con il principio ebraico di tikkun olam ovvero di riparare il mondo correggendo per quanto umanamente possibile le ingiustizie.

Il tema della conferenza è “Minorities alone strong together”, minoranze sole forti insieme, e l’obiettivo sarà quello di mettere a fuoco il tema dell’intolleranza e dell’odio sociale che ne scaturisce, non solo nei confronti delle persone LGBT ma anche delle donne, delle diversità religiose, etniche e nazionali tra cui ovviamente gli ebrei e Israele.

Ebraismo e omosessualità sono due identità culturali molto forti ed entrambe estremamente variegate. Generalizzando all’estremo, si può essere discriminati perché ebrei, perché omosessuali, ma si può essere anche discriminati dagli ebrei in quanto omosessuali e dagli omosessuali in quanto ebrei, in questo secondo caso spesso per ragioni politiche legate a Israele.
Per farci chiarire meglio cosa può significare avere questa doppia “cittadinanza” abbiamo posto alcune domande a Serafino Marco Fiammelli, tra i fondatori e portavoce di Magen David Keshet Italia.

L’ebraismo è una cultura religiosa e un patrimonio normativo in cui la famiglia è centrale. Qual è la posizione nei confronti dell’omosessualità?
L’ebraismo condanna senza dubbi l’omosessualità, rifacendosi al famigerato versetto del Levitico 18, 1-30 “Non ti coricherai con un uomo come si fa con una donna: è cosa abominevole”, questo almeno per quando riguarda l’ebraismo ortodosso. Negli ultimi anni però molti importanti rabbini ortodossi, soprattutto negli Stati Uniti e in Israele hanno iniziato a discutere sull’omosessualità e la legge ebraica e mostrare interessanti aperture, almeno dal punto di vista socio-culturale. Noi consideriamo queste aperture un passo in avanti molto importante e seguiamo con interesse gli sviluppi del dibattito.
L’ebraismo reform, invece, ha una posizione più emancipata e aperta, ponendo l’attenzione sulla dignità dell’individuo che è creato a immagine di Dio e uguali tra loro. L’ebraismo reform ha sviluppato quindi il principio di uguaglianza di genere tra uomo e donna e tra eterosessuali e omosessuali. Le comunità hanno l’obbligo di accogliere coppie e famiglie eterosessuali e omosessuali senza discriminazione di sorta, e sempre più comunità reform celebrano nelle loro sinagoghe matrimoni tra persone dello stesso sesso, anche se non mancano episodi di discriminazione e omofobia. L’ebraismo reform obbliga al rispetto della diversità e condanna ogni forma di discriminazione.

Quando è nato il vostro gruppo e quali sono le attività che portate avanti?
Magen David Keshet Italia nasce tre anni fa, proprio per dare voce a chi crede che si può essere un (o una) bravo ebreo e omosessuale senza rinunciare a una parte importante della propria vita, cioè negare la propria sessualità e vivere da “bravo” ebreo, oppure lasciare la propria comunità per vivere liberamente e con gioia la propria vita affettiva. Noi crediamo nella terza opzione.
Quindi, ancorché il nostro gruppo sia formato da ebrei ortodossi e reform, laici e atei, per noi è importante la parte religiosa e tradizionale dell’ebraismo perché parte della nostra vita.
Le nostre attività hanno carattere sociale, politico, culturale e religioso. Ci coordiniamo con il movimento LGBT nazionale per sostenere le istanze politiche e sociali delle persone omosessuali e dei diritti civili in generale. Con le comunità ebraiche italiane sia ortodosse che reform per le feste del calendario ebraico, ma anche per molte attività culturali. Per le attività di carattere internazionale ci presentiamo come parte del World Congress of LGBT Jews con il quale organizziamo a Roma il prossimo marzo la Conferenza annuale.

Il primo convegno che organizzaste in Italia fu “Le ragioni del silenzio: il triangolo rosa e la Shoah”.
La conferenza su chi aveva il triangolo rosa sulla casacca da prigioniero è stata una delle prime attività culturali che abbiamo organizzato due anni fa nell’ambito della settimana della memoria, con l’intento di raccontare quella che è stata la persecuzione e deportazione delle persone omosessuali in Italia e in Germania durante il nazi-fascismo. Attraverso un’importante ricerca storica dei fatti e con la proiezione di interviste testimonianza, i relatori hanno raccontato come la repressione è stata attenta e puntuale basandosi in Italia non da leggi dello stato ma da uno stato di polizia tipico del regime politico dell’epoca. In Germania, invece, la legge ha discriminato e perseguitato gli omosessuali anche ben oltre il regime nazista fino a molti anni dopo la fine della guerra mondiale.
Poco si era parlato prima di questa brutta pagina della nostra storia, non si era sviluppata la “memoria” di queste atrocità da parte dei perseguitati sopravvissuti, un po’ perché loro stessi non ne parlavano volentieri, per vergogna, né tantomeno lo hanno fatto i loro familiari, anche loro per le stesse ragioni o perché non conoscevano i trascorsi dei loro cari. Noi abbiamo voluto parlare e raccontare le storie di queste persone come loro discendenti morali.

Allo Yad Vashem di Gerusalemme, il museo della storia dell’olocausto, la persecuzione delle persone LGBT però non è praticamente presa in considerazione. Non trovi che sia un peccato?
Certo è un vero peccato, ma come dicevo il lavoro di ricerca storica ha avuto inizio solo da pochi anni per merito di alcuni attivisti e intellettuali che sono andati in giro per incontrare sopravvissuti farsi raccontare le loro storie.
Un lavoro di grande pregio e valore documentario in Italia lo ha svolto Gianfranco Goretti insieme a suo marito Tommaso Giartosio. Un lavoro di ricerca e ricostruzione sulla repressione e deportazione al confino degli omosessuali nel periodo precedente l’ultimo conflitto mondiale straordinariamente raccontate nel loro libro La città e l’isola – omosessuali al confino nell’Italia fascista, che invito tutti a leggere.
Dal loro lavoro come quello svolto da altri ricercatori in Germania è emerso molto chiaramente che soprattutto le vittime hanno sempre preferito tacere sulle atrocità subite. Una ragione è sicuramente la vergogna per la loro omosessualità, parliamo di persone nate nei primi decenni del 1900; la seconda come spiegò Anna Segre, scrittrice e psicoterapeuta, durante la conferenza dei triangoli rosa fu il disturbo post traumatico da stress. Questa potrebbe essere una delle ragioni per cui allo Yad Vashem poco si parla degli omosessuali. Vedremo!

Lo scorso settembre, invece, siete stati accolti presso una sala del Senato con “La lezione delle differenze: il ruolo delle comunità LGBT nel dialogo ebraico-musulmano”. Un approccio decisamente innovativo che ripresenterete al Congresso con la tavola rotonda “Attivisti ebrei e musulmani LGBT, storie e collaborazione”.
Io e Wajahat Abbas ci siamo conosciuti al pride di Milano del 2016. Io sfilavo con la bandiera rainbow con la stella di Davide, e lui con un cartello a sfondo arcobaleno e la scritta “Allah loves equality”. Tra noi è stato amore a prima vista ma l’immagine di noi due ha suscitato in rete sorpresa, speranza, scetticismo. Eppure non era la prima volta in Europa che ebrei e musulmani si trovavano su specifici dossier. Per esempio ci siamo riuniti ad Amsterdam per coordinarci a difesa di macellazione rituale e circoncisione, due tradizioni religiose che in certe parti d’Europa sono sempre più minacciate da iniziative di legge di democratici parlamenti. Succede in Olanda, Belgio, Germania.
Dunque perché tra ebrei e musulmani non potremmo trovare un dialogo e un’unità di intenti anche su altri temi che riguardano le nostre comunità e la società in generale? L’emancipazione di una persona omosessuale ebrea o musulmana, che voglia restare parte della sua comunità ha risvolti religiosi e teologici ma anche in senso lato culturali e sociali. Parlarne è il primo passo. Cercare alleanze il passo successivo. Questa è la sfida, l’inizio di un percorso comune di dialogo, di studio e di supporto reciproco.
Con Wajahat e gli amici di Allah loves equality, infatti, abbiamo subito stretto un rapporto di amicizia sincera, consapevoli che la nostra azione comune all’interno del movimento LGBT italiano e internazionale può dargli nuova energia e obiettivi, soprattutto in vista delle sfide che il movimento si appresta ad affrontare, in particolare l’impatto sulla popolazione LGBT dell’odio sociale acuito dai flussi migratori.
Anche il Congresso mondiale degli ebrei LGBT tiene in grande considerazione la collaborazione con gli amici musulmani, sempre presenti durante le attività più importanti e i lavori delle conferenze che si svolgono annualmente in una diversa parte del mondo.
Le discriminazioni su base religiosa stanno quindi facendo emergere all’interno della comunità LGBT nuove forme di militanza, di dialogo, di relazioni e una capacità di supportarsi che altrove è quasi impossibile registrare. Può la comunità LGBT essere uno dei luoghi da cui partire per arricchire il dialogo tra culture religiose e laiche in Italia e nel mondo?

Parlando di ebraismo, volenti o nolenti ci si aggancia anche al tema di Israele, e per quanto riguarda i temi LGBT è una nazione che passa da essere una delle più promosse destinazioni per il turismo LGBT a livello di marketing fino a essere accusata di “pinkwashing”, ovvero usare i diritti concessi alle persone LGBT per deviare l’attenzione da altre azioni politiche intraprese sul proprio territorio. Ne discutete al vostro interno?
Questo è il peccato originale dello stato d’Israele, se nega reprime, se concede strumentalizza. Anche Matteo Renzi fu accusato di usare i diritti degli omosessuali durante il dibattimento della legge sulle unioni civili dai partiti che si opponevano alla sua approvazione. Personalmente mi sarebbe piaciuto che Renzi ci avesse usato molto di più per avere ora il matrimonio egualitario e il diritto di adottare, come prevedeva la legge nella prima stesura.
Molte città nel mondo sono state meta del turismo gay e non solo per mero turismo, ma per provare la sensazione meravigliosa di vivere anche se solo per qualche giorno in un mondo che sembrava ideale. Chi è nato negli anni ‘60 come me sa esattamente cosa intendo: andare a Londra, Amsterdam, Parigi, New York, San Francisco negli anni ‘80 era un’esperienza straordinaria, ci si raccontava al ritorno a casa che le coppie gay girano per strada mano nella mano e nessuno ci fa caso. Poi ancora negli anni ‘90 e 2000 Sidney e Miami. Solo dopo Tel Aviv, e solo con Tel Aviv l’accusa di pinkwashing.

Tornando al convegno quali sono gli interlocutori principali e cosa vi aspettate come risultato?
Siamo molto ambiziosi e ci aspettiamo interesse e partecipazione. I nostri interlocutori sono il movimento LGBT nazionale e internazionale, i nostri amici delle organizzazioni LGBT “religiose”: Allah loves equality, Cammini della speranza, il gruppo dei cristiani protestanti e i buddisti LGBT, e naturalmente le comunità ebraiche italiane. Questi nello specifico, più in generale tutte le persone.