È uscito l’ultimo film di Andrew Haigh, Charley Thompson, dove un ragazzo solo al mondo attraversa l’America in compagnia del suo cavallo. Il regista inglese ci parla anche di Weekend, storia di sesso e amore tra due giovani gay, che lo ha reso celebre.

(prima pubblicazione Pride maggio 2018)

 

Ha raccontato una piccola, intensa e sofferta storia gay come pochi registi hanno saputo fare negli ultimi anni, e infatti il suo Weekend (2011) è ancora vivo nella nostra memoria: Andrew Haigh, inglese, 45 anni, sposato con Andy Morwood, è tornato in queste settimane sugli schermi con Charley Thompson, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia (in originale Lean on Pete) dove il giovanissimo protagonista Charlie Plummer si è aggiudicato il premio Mastroianni come miglior attore emergente e infatti l’abbiamo poi rivisto nei panni di Paul Getty jr. in Tutto l’oro del mondo, diretto da Ridley Scott, in cui Kevin Spacey, dopo il fantomatico scandalo sessuale, è stato sostituito da Christopher Plummer (nessun legame di parentela). Avevamo incontrato Andrew al Lido, reduce dalla conferenza stampa. “È la storia di un ragazzo che cerca di trovare un approdo stabile e un senso di appartenenza. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui e di qualcuno di cui prendersi cura”.

Tratto dal romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin, il film narra la vicenda di un quindicenne che, abbandonato dalla madre e con un padre incapace di crescerlo, si ritrova a attraversare l’America dall’Oregon al Colorado in compagnia di un cavallo, Lean on Pete, che ha sottratto al mattatoio a cui era destinato, poiché diventato troppo vecchio per le corse.

“Il suo fascino maggiore risiede nella speranza di trovare prima o poi un porto sicuro, nonostante la società lo isoli e lo respinga tra gli indesiderati. È un ragazzo dalla forza incredibile la cui gentilezza è più coriacea delle durezze che si trova ad affrontare. La sua fragilità coincide con la bontà d’animo, anche quando soccombe ai sentimenti negativi e si macchia di cattive azioni in situazioni sempre più pericolose e instabili. Il suo senso di pietà emerge quando deve salvare il cavallo al quale si è disperatamente legato: noi tutti condividiamo un bisogno istintivo di sentirci protetti”.

Haigh dimostra la sua abilità di regista e sceneggiatore nel mettere a nudo sentimenti ed emozioni tipici dell’adolescenza al pari di quelli propri della terza età, come ha fatto nello splendido 45 anni (2015) in cui Charlotte Rampling e Tom Courtenay di commovente bravura (vincitori dell’Orso d’Argento a Berlino) interpretano due coniugi alla vigilia di quel significativo anniversario di matrimonio. “Nonostante la grande differenza di età, tra Charley e la coppia vi sono molti punti in comune. Da quando abbiamo 15 anni proviamo per lo più le stesse emozioni e le stesse paure e continuiamo ad avere gli stessi bisogni e dubbi. La maggiore esperienza non immunizza dalla sofferenza”.

I due film più recenti non hanno una tematica gay ma la sua carriera è decollata con il primo lungometraggio Greek Pete (2009), ambientato nella Londra della prostituzione maschile dove non mancano vere e proprie scene porno, a cui ha fatto seguito nel 2014/15 la serie televisiva Looking (diventata film per il network HBO l’anno seguente) dove Patrick (Jonathan Groff), tornato per un evento a San Francisco da Denver dove vive da un anno, rincontra gli ex fidanzati Richie e Kevin e decide di affrontare i nodi irrisolti dei loro rapporti oltre a prendere decisioni importanti per il suo futuro.

La fama planetaria è però giunta con Weekend, cronaca di un amore sbocciato in una discoteca gay di Nottingham tra due ragazzi che, dopo appaganti amplessi in quella che doveva essere l’avventura di una notte, scoprono in poche ore che oltre al sesso c’è posto anche per il sentimento. “Volevo che lo spettatore si rendesse conto che una storia tra due uomini può avere un respiro universale. Sono felice che non l’abbia visto un pubblico soltanto gay ma assolutamente trasversale, comprendendo quanto lontano il film sia dagli stereotipi sui gay a cui è purtroppo abituato. Sin dallo scrivere la sceneggiatura avevo ben chiaro questo proposito: desideravo un tema più evocativo possibile. Un altro intento era quello di far riflettere su quanto, ancora oggi, nella società il coming out non sia sempre facile e sul fatto che l’essere etichettati come omosessuali rende Glen e Russell circospetti nei confronti dei loro amici etero e un po’ isolati dalle norme della vita quotidiana”.

Ma doveva anche decidere come mostrare le scene di sesso che, nonostante i giovanotti si avviino subito in camera da letto, ha collocato quasi alla fine… “Le volevo realistiche e al tempo stesso non intendevo abusare degli attori. Per Chris, che è gay, interpretare Glen è stato difficile come per Tom, che è etero, interpretare Russell. Nel film il sesso ha un ruolo importante ma non più dei dialoghi tra la coppia. Se sullo schermo vedi sesso esplicito ti distrai dalla storia: era indispensabile che gli attori fossero credibili e in piena sintonia. Non è che in quanto gay io pensi ogni minuto al sesso: ho anche una vita. Le preoccupazioni e le ansie dei due personaggi sono ovviamente universali: loro stanno ancora lottando per capire chi sono e per trovare un giusto posto nel mondo”.