È arrivato il giro di boa per l’associazionismo LGBT italiano. A dare il via all’atteso smottamento il congresso di Arcilesbica, che ha messo in discussione il pensiero unico che attanaglia il movimento gay italiano.

(prima pubblicazione Pride gennaio 2018)

 

Arcilesbica si è messa fuori dal movimento gay. È questo lo slogan da brivido che ha percorso il web, ripetuto in centinaia di commenti e analisi, alla luce dei risultati dell’ottavo congresso nazionale dell’associazione di lotta per i diritti delle donne lesbiche del 10 dicembre scorso.

L’accusa, sintetizzata da Gay.it, un sito vicino al Partito Democratico, è di quelle che non hanno appello: le lesbiche militanti avrebbero assunto una “deriva estremista” e “una posizione aggressivamente e acriticamente contraria alla gestazione per altri, ai padri gay, all’unità tra donne cisgender e transgender, al non-binarismo?”. Peggio, è sempre l’analisi del sito a parlare, la “nuova” dirigenza (a presidente dell’associazione è stata eletta Cristina Gramolini) sarebbe composta da “femministe radicali transescludenti” e potrebbe addirittura contare “sulla saldatura con Mario Adinolfi e le Sentinelle in Piedi, alleati che parlano da sé”. Se le cose stessero effettivamente così lo scellerato congresso della più grande associazione di lesbiche in Italia avrebbe scelto bizzarramente per il suicidio di massa della militanza delle donne che amano le donne. Cosa è successo davvero?

Ha vinto l’ottavo congresso di Arcilesbica la dirigenza dell’associazione con un documento politico intitolato “A mali estremi, lesbiche estreme”, e l’estremismo millantato dal sito Gay.it si ferma qui. Il documento è molto chiaro e ribadisce una presa di posizione assunta già dal 2012, da Arcilesbica e cioè la ferma contrarietà “alla maternità surrogata commerciale”, semplificando, la pratica di pagare una donna perché metta al mondo un figlio e realizzare il desiderio di genitorialità per conto di terzi, siano essi etero o omosessuali.

A supporto di questa asserzione una solida analisi del neoliberismo, la politica economica priva di regolamentazione che va per la maggiore in questo momento, e l’affermazione che oggi “oggetto di consumo per eccellenza resta il corpo femminile”. In questo senso affittare per nove mesi il corpo di una donna per ottenere un figlio-prodotto per denaro per Arcilesbica è pratica da respingere risolutamente: “la maternità surrogata oggettifica i corpi femminili e legittima che parti del corpo delle donne siano trattate come merci”. Un elemento merita però di essere chiarito, l’associazione non è contro la genitorialità gay, al contrario è sempre Arcilesbica che propone “l’autoinseminazione, l’adozione, l’affido” e fin dal 2015 chiede la legalizzazione della “maternità surrogata altruistica (volontaria e gratuita)” mettendo sotto accusa il solo “corrispettivo economico” per la prestazione: “in realtà le condizioni del contratto obbligano le donne che affittano l’utero a rinunciare alla propria autodeterminazione anziché ad affermarla”. Non è messo in discussione il caso, per esempio, di una donna amica o familiare che per solidarietà fa un/a figlio/a per un’altra persona, omo o etero, al di fuori dalle cliniche e dai contratti, non lo riconosce e lo affida alla persona di sua fiducia. Questo è già possibile e non trova opposizione.

Alla lettura dell’elaborazione congressuale che darà la linea delle attività dell’associazione nei prossimi anni, cadono anche le accuse di eventuale transfobia di Arcilesbica: “rispettiamo le compagne e i compagni transessuali – affermano le donne che amano le donne – che pagano in prima persona (in termini di salute fisica e di rischio nel sottoporsi a interventi chirurgici) la scelta di appartenere al genere opposto a quello di nascita e siamo a favore del cambio di sesso anagrafico anche senza l’intervento di riassegnazione chirurgica”. Ancora, “lottiamo contro la lesbofobia, l’omofobia e la transfobia” si legge nel documento approvato “e sottolineiamo che questi non sono concetti coincidenti: in particolare la lesbofobia è ostilità verso le relazioni d’amore tra donne e si aggancia all’odio per le donne indipendenti”. Questo passaggio è importante e spiega, in parte, la reazione scomposta di Gay.it e dei molti che hanno commentato i risultati del congresso dell’associazione.

Arcilesbica rivendica la diversità degli obiettivi in seno al movimento arcobaleno, che è uno e trino: gay, lesbiche e trans. E lo sottolinea con orgoglio: “se continuiamo a schierarci con un movimento LGBT+ portatore di una richiesta di parità che diventa semplice indistinzione (tra omo e etero, tra gay e lesbiche, tra donna e uomo, ecc.), scegliamo di diventare politicamente irrilevanti in quanto non più portatrici di alcuna differenza”.

Ne consegue una critica serrata alla moda della fluidità sessuale e al queer che monopolizza inutilmente il dibattito sui temi LGBT in Italia. Queste donne non vogliono “essere pansessuali, ma lesbiche” e “il queer come identità politica non è compatibile con il femminismo, proprio perché nega che possa esistere (o meglio, nega che debba esistere) un soggetto collettivo femminile con caratteristiche e bisogni diversi e in contrasto con quello maschile”. Altro passaggio che sottolinea, ancora una volta, una differenza, questa volta uomo-donna.

Arcilesbica insomma ha messo finalmente in discussione l’arcobaleno delle politiche egualitarie, omosessuale=eterosessuale, lesbica=gay=trans, uomo=donna, che hanno ottenuto un successo indubbio nella seppur insufficiente legge sulle unioni civili, ma che stanno annacquando il valore peculiare delle diversità di gay, lesbiche e trans in un “generone” LGBT, e in un diluvio di sigle a seguito dell’acronimo, ammansibile politicamente e facile bacino di voti.

“Noi pensiamo infatti – dice l’associazione – che essere lesbiche sia qualcosa di più che essere una minoranza che chiede l’ingresso nella maggioranza. Vogliamo trovare la nostra libera significazione della differenza femminile e usarla come leva per fare politica”.

La vittoria di questo documento politico, come prevedibile, è stata accolta con commenti arcobaleno durissimi sui social media. Su Facebook, Twitter e altre piattaforme sono a decine a ripetere che, e riprendo solo qualche commento a caso, l’associazione vuole “proseguire la battaglia talebana contro l’omogenitorialità” o è stata scritta “una delle pagine più brutte di storia lesbica in Italia”. Non si risparmiano nemmeno i toni apocalittici: “il congresso sarebbe stato vinto da lesbiche anti-maschi, anti-trans… Femminismo che fa rima con fanatismo. Falsifica ogni cosa, vanifica ogni battaglia” o “la posizione radicale di #Arcilesbica è incompatibile con i valori di uno stato liberale ed il rispetto dei diritti umani (tra cui rientra il diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali e delle donne sterili)”. Non si è risparmiata nemmeno la retorica delle accuse post congressuali secondo la quale la vittoria sarebbe in qualche modo falsata da trucchi di regolamento (quel documento è stato votato da una maggioranza schiacciante).
Non può passare inosservato che le critiche piovute su Arcilesbica provengono nella stragrande maggioranza da uomini, anche con una lunga militanza arcobaleno alle spalle, o da donne giovani.

Sono proprio gli uomini gay, a centinaia, a sentirsi in dovere di suggerire e spiegare alle donne lesbiche che cosa devono fare, o meno dei loro corpi e dei corpi di altre donne, mettendosi esattamente dalla parte della stessa cultura maschilista che Arcilesbica contesta. Quelle critiche, impensabili nel movimento gay fino a una decina di anni fa, sono la dimostrazione che Arcilesbica ha ragione da vendere quando dice, sempre nel documento congressuale, che il movimento gay oggi è luogo dove “si svaluta la necessità di un percorso di autodeterminazione tra donne percepito come pericoloso perché potenzialmente conflittuale rispetto al maschile”.

Le lesbiche che hanno criticato Arcilesbica dimostrano anche che è in corso nel movimento (e questo vale anche per quello gay) un ampio conflitto generazionale. Ha vinto il congresso la dirigenza più vicina all’esperienza esperienza politica del femminismo e del separatismo, hanno perso le donne giovani del pensiero unico. Che hanno un vantaggio: i social li sanno usare a loro vantaggio tanto che su Arcilesbica è diluviato un coro unanime di condanne.

La reazione di Arcilesbica, articoli e interviste, è risultata marginale, nonostante le sollecitazioni della presidentessa Cristina Gramolini investissero in pieno il conflitto latente nel movimento e oggi pronto a consumarsi in campo aperto grazie al congresso delle donne. Per Gramolini, sul Corriere della Sera online “la nostra collocazione è nel movimento delle donne. Penso che questo sia un momento di passaggio. Se questo movimento decide che, invece di essere pluralista, è un monolite anche se coperto di paillettes e boa di struzzo, allora noi andremo per la nostra strada. La parola dell’anno è femminismo. E il femminismo non è un pranzo di gay”.

Arcilesbica sulla maternità surrogata rincara la dose: “Fornire servizi riproduttivi (e sessuali) è stato a lungo un obbligo femminile verso il pater familias, da cui ci ha liberato l’emancipazione. La Gpa (Gestazione per altri) oggi mette sul mercato il libero accesso al corpo materno. La libertà però non consiste nel vendere ciò che prima si doveva dare per forza, anzi la medesima coercizione si esercita ora tramite il denaro, che si riassoggetta il corpo materno come una materia prima”. Ancora “non pretendiamo di rappresentare tutte ma ci sono molti gay e lesbiche che comprendono la nostra visione, anche se magari fanno meno rumore”.

Una cosa è certa: dopo questo congresso del movimento lesbico il movimento LGBTQI italiano non sarà più lo stesso. E che questa lezione di estremismo lesbico e di femminismo radicale ha finalmente messo il dito nella piaga della sopraggiunta irrilevanza politica del movimento arcobaleno nazionale.