I tempi sono radicalmente cambiati, e Pride chiude la pubblicazione a stampa per passare al web e allargare il proprio pubblico. Come mai l’editoria gay su carta in Italia è finita?

(prima pubblicazione Pride estate 2018)

 

Sipario, Pride chiude. Questo arcobaleno svanisce, e con la fine della pubblicazione dell’ultima rivista gay cartacea a distribuzione nazionale finisce un’epoca. Ma cominciamo dall’inizio.

Questo mensile è nato nel 1999 e ha rappresentato per quasi vent’anni per i gay italiani un punto di riferimento unico. Attualità, cultura, dibattito, approfondimento, indirizzi giusti e maschi: è questa la ricetta relativamente semplice che ha garantito al pubblico gay italiano ogni mese, grazie a una redazione di professionisti, l’accesso a novità, spunti di riflessione, dibattito e analisi. Questo giornale era l’unico superstite di una fase vivace di avventure editoriali rivolte al pubblico LGBT. Sono scomparsi da decenni i mensili storici della militanza degli anni Settanta Fuori! e Lambda, e l’unica rivista gay da edicola italiana, Babilonia fallì nel 2009. Anche Clubbing, G&L, Aut, le free press degli anni duemila, hanno fermato le rotative mentre Guide Magazine diventato Per Lui, diventato infine VivaBoy, ha assunto un tono generalista.

Fin qui Pride, rimasto sostanzialmente immutato per due decenni, aveva resistito alla crisi. Ora, purtroppo, mette la parola fine alla sua esperienza. Perché?

Tutte le riviste hanno una funzione ben precisa. Quelle omosessuali sono nate nel secolo scorso per rispondere a diversi bisogni. Da una parte, almeno all’esordio dell’editoria gay, c’era la necessità e l’urgenza di un dibattito su noi stessi. Chi siamo? Cosa siamo? Perché siamo così? Sono queste le domande che hanno percorso i primi coraggiosi tentativi d’informazione “omofila” in bollettini sulla sessualità ciclostilati o, per citare un esempio illustre, nella Rassegna di studi sessuali di uno tra i primi militanti gay italiani, Aldo Mieli negli anni Venti del Novecento.

All’era dell’autocoscienza è poi seguita quella della controcultura. A partire dagli anni Settanta è emersa la necessità di rivendicare e proporre una nostra cultura e, soprattutto, una narrazione dell’omosessualità alternativa a quella dominante intrisa di omofobia. L’informazione gay semplicemente non esisteva se non in articoli che rimestavano nel torbido dei circuiti del vizio o nei saggi di psichiatria. Per la stampa generalista la nostra esperienza, le nostre vite e gli affetti uomo-uomo e donna-donna, non avevano sufficiente dignità per un racconto neutrale e oggettivo: l’omosessualità era un male, un peccato e una malattia.

Nasce così, proprio dall’esigenza di avere un punto di vista alternativo sulla nostra condizione, un’editoria gay. E la riflessione, oltre che una boccata d’ossigeno nella solitudine LGBT di quegli anni, si concentra da subito anche sulla rivendicazione politica. Gli organi d’informazione gay sono stati il megafono della battaglia per i diritti LGBT. Sin dall’inizio nelle pagine arcobaleno emerge anche il bisogno di socializzazione e incontro degli omosessuali. Certo esistevano i battuage, i cinema e i pisciatoi, ma le prime riviste gay italiane hanno offerto, insieme all’informazione in senso stretto, servizi irrinunciabili in questo senso.

Per anni, molti dei lettori di Babilonia si limitavano a sfogliare rapidamente inchieste o recensioni per consumare attentamente le pagine di annunci “uomo cerca uomo” e inviare al fermo posta qualche riga nella speranza d’incontrare uno, o più uomini. Addirittura esistevano riviste specializzate di annunci come l’italiana Boy4Boy, oggi scomparsa.

Un’ultima funzione delle pagine gay, mai discussa pubblicamente perché motivo di qualche imbarazzo, era quella di fornire materiale pornografico. Negli anni Cinquanta la rivista francese Arcadie aveva migliaia di lettori e offriva due formule d’abbonamento: una per la sola rivista, l’altra per la rivista più un pacchetto di fotografie di maschietti svestiti. Babilonia, negli anni Ottanta, era venduta incellofanata insieme a qualche rivista porno gay grazie a un accordo editoriale fruttuoso sia per gli editori che, ovviamente per il lettore. Esattamente come l’informazione gay, anche la pornografia era merce rara e preziosa.

Per anni i bisogni dei lettori e l’offerta editoriale omosessuale hanno trovato reciproca soddisfazione e dalle poche decine di copie e lettori si è arrivati alle migliaia. Pride nei tempi d’oro aveva una foliazione di 120 pagine e stampava quasi 20.000 copie. Con ricadute positive sul nostro Paese.

L’editoria gay e l’attività delle associazioni LGBT hanno contribuito a creare una coscienza di gruppo, una cultura condivisa, hanno sostenuto e favorito la visibilità e, con il passare degli anni, hanno costretto finalmente anche la stampa generalista a raccontare l’omosessualità in maniera più neutrale (obiettivo questo non ancora raggiunto, ma siamo sulla buona strada).

Ma i tempi sono cambiati, l’orizzonte nel quale viviamo è completamente mutato, e dal primo numero di Pride a oggi sembra trascorsa un’era geologica. La rivoluzione di internet ha portato nelle nostre vite elementi che rispondono più rapidamente ed efficacemente di questo supporto di carta alle nuove esigenze del pubblico arcobaleno. Informazione, confronto, autocoscienza, analisi e perfino socializzazione: il web nello spazio di pochi anni sembrerebbe essersi ingoiato e aver digerito tutte le funzioni e gli spazi dell’editoria tradizionale.

Con diversi vantaggi come un’immediatezza di consultazione, che non ha pari nella storia umana, e costi infinitamente bassi. L’informazione gay, insieme alle nostre passioni, sono ormai su ogni telefonino. È una rivoluzione senza pari se pensiamo che per trovare un numero di questa rivista è sempre stato necessario recarsi fisicamente in un locale gay.

Mentre il web rivoluzionava le nostre esistenze, è profondamente cambiato anche l’atteggiamento generale della società e dei media rispetto all’omosessualità. Oggi, le principali notizie che ci riguardano sono anche sulle pagine dei quotidiani di carta e sulle home page dei maggiori siti d’informazione.

Il web però ha anche generato un’enorme crisi dell’editoria tradizionale e ha desertificato le edicole. I massimi esperti di settore non hanno risposte su quale sarà il futuro dell’informazione per come la conosciamo oggi. Il crollo degli introiti pubblicitari, la fuga dei lettori e l’estinzione della professione giornalistica sono una realtà. Nessuno oggi può dire se il futuro dell’informazione sarà sul web o sulla carta, a pagamento o meno.

È ovvio che alla luce di quanto sta accadendo i limiti, e qualche contraddizione, di un mensile non economicamente ricco come Pride abbiano finito per costringerci alla chiusura. La rivista non chiude per mancanza di lettori, chiude per mancanza di risorse.

Gli introiti pubblicitari, anche a causa di un cambio societario, si sono via via ridotti erodendo il numero di pagine. Certo abbiamo provato ad ampliare la base di inserzionisti ma in Italia l’editoria gay (anche per i suoi numeri piccoli) non è mai riuscita ad accedere a un circuito pubblicitario generalista ed è vissuta di discoteche, saune, sex club, sex shop, ristoranti e alberghi friendly e altre attività rivolte al pubblico LGBT. Gli unici disposti fin qui a investire su di noi mettendoci pubblicamente la faccia.

Pride, in effetti, non è mai sbarcato seriamente sul web né si è suffcientemente rinnovato in tanti anni. Le risorse disponibli purtroppo erano sufficienti per mantenere una rivista di qualità, e non due presidi informativi. Si fa quel che si può con quel che si ha.

Abbiamo cercato di sopravvivere alla crisi in attesa di un rilancio e di approdare sul web con risorse vere, anche per non annacquare il livello dei nostri contributi. Non ci siamo riusciti e si chiude qui il mea culpa delle responsabilità di questa serrata che sono ovviamente principalmente nostre. Tra costi e ricavi una chiusura è sinonimo di un bilancio negativo. Ma c’è dell’altro nel bilancio di questa rivista.

Pride grazie alla cocciutaggine del suo editore Frank Semenzi, senza il quale questa avventura non sarebbe mai nemmeno iniziata, e cui la comunità gay deve tantissimo, è stata la punta di diamante dell’editoria cartacea gay italiana e rispettata in tutto il  mondo. Nonostante la scarsità di mezzi, ai quali si è sostituita spesso la buona volontà dei suoi collaboratori (che ringrazio), ha dato all’arcobaleno delle nostre esistenze dignità e orgoglio. Questa rivista ha fotografato, giorno per giorno, la rivoluzione civile e sociale che gli omosessuali italiani hanno condotto in questo paese. Spetta però al lettore giudicare come e quanto Pride abbia contribuito a favorirla e sostenerla.

È consolante sapere che altrove c’è ancora un’informazione gay, e che i nostri temi non sono più solo su queste nobilli pagine. Anche se all’estero spesso resiste, ha senso però immaginare un futuro per l’editoria gay cartacea? Non posso dirlo con certezza, ma credo che il web assorbirà via via lo spazio di analisi, dibattito, commento e racconto.

L’editore e alcuni redattori di Pride, infatti, stanno già progettando il ritorno sul web con una nuova veste dal prossimo autunno, per mantenere viva l’esperienza e il patrimonio di questo mensile. Anche la carta potrebbe avere un futuro, se sperimenta formule innovative per proporre contributi preziosi da conservare nel tempo. L’approfondimento gay per esempio potrebbe trovare spazio in un trimestrale o in un annuario, ma non si vedono finanziatori all’orizzonte.

L’informazione e la cultura non rendono ma resto ottimista: l’omosessualità continuerà a usare la voce che ha conquistato per migliorare le nostre vite e il nostro mondo.