La redazione di Pride è stata invitata a partecipare alla quindicesima edizione del gay pride di Maspalomas a Gran Canaria, che si è svolto dal 10 al 15 maggio. Potevamo mancare?

(prima pubblicazione Pride giugno 2016)

 

Eccoci per 4 giorni a Gran Canaria in una bolgia infernale e favolosa. Cominciamo dal contesto: quello che si legge sulle guide turistiche a proposito di Gran Canaria e in particolare di Las Palmas è principalmente vero: il clima è piacevolissimo e la spiaggia è immensa, si può stare in mezzo alla gente, nudi o vestiti, si può ammirare l’oceano enorme sotto il cielo infinito, si può stare – ehm – appartati tra le dune, nascosti dai cespugli.

Le strutture alberghiere offrono soluzioni assai flessibili, in termini di spazio e di lusso, di attrezzature e costi, persino di vicinato: non è difficile trovare residence dedicati esclusivamente ai gay, così come negli hotel “misti” si può star tranquilli che la famiglia ospite nella camera accanto non si lamenterà se “tacchettiamo” alle cinque di mattina. Come dire: benvenuti tutti. Playa del Inglés, il famoso quartiere di Maspalomas, non è particolarmente interessante dal punto di vista architettonico, ma ci lasciamo distrarre da una vocina nella nostra testa che dice “tra tre giorni torniamo a casa, chissenefrega, prendiamo un’altra birra!” e in effetti ci sono così tante persone da incontrare che dimentichiamo rapidamente l’urbanistica.

Veniamo ora al pride vero e proprio: due settimane di eventi pianificati dalla mattina fino a tarda notte, un lavoro enorme che ha dato evidenti frutti, dato che l’organizzazione parla di 130.000 presenze e di un giro di affari di circa 100 milioni di euro. Il tutto a maggio, non proprio in alta stagione. Gli appuntamenti serali (sempre presentati in spagnolo, inglese e tedesco) si sono tutti svolti nella piazza del centro commerciale Yumbo, che ospita decine di bar, locali, ristoranti, negozi gay e non, in sostanza il punto di riferimento per ogni attività dall’aperitivo fino alle ore minuscole. In tutta onestà, non ci sentiamo di omettere che lo Yumbo è un luogo bruttino, ma la stessa vocina di prima ci sta già dicendo: “Sarà strapieno di gente, ci sono gli spettacoli, la birra costa poco, dai!”. Così, ancora una volta, mettiamo da parte l’amore per le belle arti e spostiamo l’attenzione sui glutei del barista di turno.

Nelle sere a nostra disposizione ci siamo immersi in una folla sempre più compatta e abbiamo visto una spassosa “corsa sui tacchi”, il cui vincitore olandese ha fieramente dichiarato: “Da qui non scendo più”. Poi è stato il momento del Gala Drag Queen: una dozzina di partecipanti, alcune più giovani e forse inesperte accanto ad altre più abili e collaudate, tutte divertentissime, si sono sfidate “ad alta quota”, lottando fino all’ultimo lustrino. Semplicemente spassoso.

Ci siamo sorbiti un gala internazionale con star del calibro di Tulisa (mi chiedo chi sia, ma la vocina mi sussurra: “È quella che canta “nanananana”, dai prendi una birretta”) e Colton Ford (“Faceva i porno, ora canta in stile George Michael, ¡cerveza, por favor!”). Se durante lo show noi ci siamo forse un po’ distratti, il pubblico era numerosissimo ed entusiasta. Vogliamo anche sottolineare che c’erano spettatori di ogni età, genere, orientamento che hanno condiviso lo stesso divertimento. Tanto che, annunciano gli organizzatori, è stata avanzata all’amministrazione locale la richiesta di rinominare la piazza del centro commerciale come Plaza de la Diversidad.

L’ultimo sabato si è svolta la parata, la cabalgata (parola bellissima): 60.000 persone tra drag, musicisti, ballerini, spettatori, artisti… Tutte le sfumature di LGBT rappresentate e accanto a loro hanno sfilato anche tutti “gli altri”, cioè le coppiette di anziani in villeggiatura, le famigliole inglesone con la pelle scottata, i ragazzotti etero arrapati e un po’ frustrati. Se vogliamo proprio essere pignoli, i carri non erano molto fantasiosi, ma ancora una volta i numeri e soprattutto l’allegria delle persone raccontano un successo che non può essere messo in discussione.

Alla fine, quello che più ci ha ispirato è stato il senso di grande rispetto. La tolleranza, l’accettazione, la morbida convivenza di persone così diverse tra loro mostrano una sfumatura insolita della parola “orgoglio”. Se a casa nostra il pride significa ancora rivendicare diritti e visibilità, in questo caso si è celebrata la normalità: vivi e lascia vivere, divertiti e mi divertirò anch’io, sii libero come me. E prendi un’altra birretta!