Comunque esclusi. È questa il destino che ci ha regalato l’approvazione della Legge Cirinnà sulle unioni civili. Da oggi possiamo unirci civilmente: finalmente anche l’Italia ha riconosciuto alle coppie omosessuali diritti basilari. Il problema è che questi diritti sono contenuti in un bonsai giuridico che risolve solo alcuni dei problemi pratici delle coppie ma non soddisfa la richiesta sostanziale sulla quale la comunità LGBT si batte da anni: non garantisce l’uguaglianza formale di fronte alla legge. Le unioni civili in generale, infatti, non sono concretamente in grado di coprire tutta l’area di tutele dei diritti-doveri che il matrimonio riconosce alla famiglia. Queste unioni civili poi, sono il frutto acerbo di compromessi, accordi al ribasso e accomodamenti pasticciati su insanabili divergenze ideologiche.
La Cirinnà, per esempio, esclude e discrimina. Semplificando: se per salire sullo stesso autobus degli eterosessuali i vostri figli rimanessero bloccati alla fermata prendereste quell’autobus?
Non solo: l’introduzione delle unioni civili impedisce alle coppie omosessuali l’accesso al diritto fondamentale al matrimonio, e, viceversa, agli eterosessuali l’accesso alle unioni. Semplificando: in un albergo gli omosessuali hanno accesso a camere economiche e piccole, gli eterosessuali a quelle ampie e di lusso, senza possibilità di scegliere.
È poi una legge che contiene un pregiudizio macroscopico negativo (che la dice lunga sulla sensibilità dei nostri politici-legislatori) nella mancanza del dovere di fedeltà una tra le differenze fra l’unione civile e il matrimonio. È un po’ come dire: potete pure fingere di sposarvi, ma suvvia, sappiamo tutti che siete dei promiscui incalliti e non è credibile che siate in grado di impegnarvi nel rispetto l’uno dell’altro. La dignità del rapporto familiare eterosessuale non è la nostra dignità.
Insomma questa legge che rimarca differenza e fissa distinzioni offre alle coppie omosessuali il rango di non-famiglie, esattamente quello che erano prima dell’approvazione del provvedimento.
Non ci uniamo quindi ai festeggiamenti e ai cori trionfalistici dei politici e degli ultrà del renzismo: noi non festeggeremo fino al matrimonio e alla conquista dell’uguaglianza. Che resta un ideale etico e morale non ancora conquistato nel nostro paese.
La partita non si chiude qui. Politica e i politici, da domani, utilizzeranno l’alibi delle unioni civili per non concederci mezzo diritto in più. Per questo saremo ai pride di giugno e luglio. Per affermare l’orgoglio di quello che siamo, ribadire la grandezza del metterci la faccia in un paese che riconosce i diritti di coppia mortificandoci, esprimere la bellezza dei nostri affetti e, sopra a tutto, rimarcare l’urgenza di totale-piena-compiuta-intera uguaglianza di fronte alla legge.