Nel 1983, con il celeberrimo romanzo Sotto il vestito niente, Marco Parma giocava a stuzzicare la curiosità del lettore alludendo alla totale mancanza di biancheria intima. Oggi le cose sono un po’ cambiate.
Tra gli uomini – soprattutto omosessuali – la passione per l’underwear è ultimamente diventata piuttosto popolare: per molti rappresenta un semplice dettaglio dal forte potere erotico, per altri invece si tratta di una vera e propria ossessione feticista; lo confermano tutti i più famosi siti pornografici, che dedicano all’argomento approfondite sezioni.
Anche sulla piattaforma di Tumblr si trova molto materiale. Molti sono i blog dove, tra uomini in mutande intenti ad annusarsi il pacco e sportivi impegnati a frugarsi reciprocamente nei loro costumi di bagno, sono state raccolte e suddivise in categorie migliaia di immagini e clip a tema tratte da film. Fa sorridere ripensare al catalogo Postalmarket con i suoi indossatori di biancheria intima sparpagliati su intere pagine sicuramente responsabile di puerili e incontrollate erezioni adolescenziali.
Dopo che Calvin Klein, complice il talento fotografico di Bruce Weber, usò il rapper Marky Mark (Mark Whalberg, oggi più noto con il suo vero nome) come primo testimonial per le sue mutande con il marchio sull’elastico, ai pubblicitari più acuti non è più sfuggito l’enorme potenziale dell’intimo maschile. Così camminare in una città come Milano spesso diventa un vero e proprio tour tra griffatissimi boxer riempiti all’inverosimile con qualche irraggiungibile modello o calciatore dall’improbabile espressione facciale (cui ovviamente nessuno bada mai più di tanto).
Quello delle mutande è un discorso serio, soprattutto quando ci si trova a doversi far notare con solo quelle addosso: i party a tema sono sempre di più, e da diverso tempo anche molti locali omosex italiani ne organizzano periodicamente. Ma attenzione: in alcuni casi il colore di ciò che si indossa è identificativo di una determinata inclinazione o di un particolare interesse; una sfumatura di un certo tipo può identificare un master spietato o un passivo remissivo, mentre altri colori ancora possono avere connotazioni legate al mondo fetish e a pratiche specifiche (che si praticano o che si vorrebbero praticare).
Ci sono gli estimatori degli slip sgambati, quelli dei boxer lunghi e attillati, chi addirittura nutre un’irrefrenabile passione per i larghi e deformi mutandoni del mercato.
Poi, di gran moda, ci sono i più ammiccanti jockstrap, ovvero sospensori nati per attività sportive e senza alcuna velleità erotica; si tratta di una cintura elastica con una tasca anteriore e due elastici laterali che lasciano completamente scoperto il culo: con queste premesse, il passo da indumento tecnico a protagonista indiscusso dei party è stato breve, soprattutto considerando l’enorme quantità di modelli spudoratamente sexy che si trova in commercio. Chissà cosa direbbe oggi Charles Bennett di tutta questa collaterale popolarità: di certo, quando nel 1874 progettò il primo jockstrap, le feste a tema underwear non c’erano.
Andando indietro nel tempo, ma non troppo, si inciampa nel boom dei cosiddetti mercatini della biancheria intima usata.
Una moda che è nata a fine anni Novanta in Giappone ed è velocemente migrata in occidente, per poi approdare su internet. Nei siti specializzati, compaiono per lo più annunci di donne, ma con una ricerca approfondita emergono anche inserzioni di ragazzi interessati a vendere i loro slip e boxer (ma anche calze o, su richiesta, intimo femminile e altro) rigorosamente usati.
I profili dei venditori sono completi di tutti i dati: età, altezza, peso, misure… e corredati da dettagliatissime fotografie e video.
Negli annunci sono indicati inoltre il tipo di pube (folto o meno folto) e il tipo di sporco…
Spesso si tratta di universitari con il desiderio di arrotondare, gratificati al pensiero di qualcuno ossessionato dai loro odori. Una sorta di voyeurismo per corrispondenza. Si va incontro a qualsiasi tipo di pretesa: il listino prezzi varia a seconda dei giorni trascorsi con la biancheria addosso, e dal tipo di traccia organica desiderata.
Di solito tra i venti e i trent’anni (reali o presunti che siano) quando si dichiarano lo fanno generalmente come bisessuali, ma in fondo, a chi importa? A loro no di certo: il bacino d’utenza è uno e non ha genere.