Dopo aver incantato il pubblico di Roma e di Cannes, dove ha vinto la Queer Palm, ecco Carol, col quale Todd Haynes ritorna sul grande schermo dopo otto anni.
Il film è tratto da un romanzo giovanile del 1952, in parte autobiografico, della scrittrice lesbica Patricia Highsmith (l’autrice de Il talento di Mr Ripley): The Price of Salt, pubblicato all’epoca con lo pseudonimo di Claire Morgan. Un libro, poi ribattezzato Carol, che diventò subito un caso letterario per la schiettezza con cui raccontava l’amore proibito e le pulsioni sessuali delle due protagoniste.
Carol – che rievoca il cinema di Douglas Sirk e Billy Wilder – rispetta sostanzialmente le vicende del libro. La ventenne Therese (Rooney Mara, vincitrice della Palma d’oro come migliore attrice) porta avanti un’insignificante relazione col fedele Richard, sognando una vita più gratificante, magari come fotografa. Un giorno in un grande magazzino di Manhattan, dove lavora come commessa nel reparto giocattoli, conosce l’affascinante ed elegante Carol (Cate Blanchett). Therese si innamora subito, ricambiata.
Il rapporto cambia del tutto la loro vita. A un certo punto Harge, venuto a conoscenza di ciò che sta accadendo nonché di una precedente relazione intima della moglie con l’amica Abby, assume un investigatore privato per spiarla, nell’intento di sottrarle l’affidamento della figlia.
Carol decide allora di abbandonare la sua vita agiata per partire con Therese in un viaggio verso l’Ovest, alla scoperta di se stesse. Così il loro legame diventa sempre più forte, sfidando tutto ciò che lo contrasta, fino a un finale che lascia sperare.
Il film è un dramma romantico che racconta la storia d’amore di due donne diverse e appartenenti a classi sociali molto differenti e che quindi devono lottare su più fronti. Se il fulcro del discorso è ovviamente l’amor fou delle due, esaminate con attenzione e cura psicologica, la parte più interessante è però la ricostruzione del clima sociale degli anni Cinquanta puritani e razzisti, segnati da oppressivi tabù morali, sempre in difesa della famiglia, ma anche da timide aperture su temi delicati come l’omosessualità. In questo assomiglia dunque a un altro celebre film di Haynes, Lontano dal paradiso, in cui oltre all’omosessualità c’è il rapporto fra i due protagonisti, lei bianca, lui di colore. Qui l’atmosfera giusta è ottenuta soprattutto attraverso la delicata fotografia dai colori pastello e soprattutto la fine interpretazione delle due protagoniste.
Ti guardo (Desde allá) è il secondo film a tematica gay a conquistare il Leone d’oro a Venezia, dieci anni dopo Brokeback Mountain. È stata una vittoria sorprendente, poiché il film, opera prima del venezuelano Lorenzo Vigas, era stato ignorato dalla stampa e di conseguenza sembrava tagliato da ogni possibilità di vittoria. Un vero peccato perché si tratta di un buon film, un intenso mélo-thriller dall’atmosfera un po’ pasoliniana.
In una Caracas vitale quanto misera, Armando (Alfredo Castro), un odontotecnico cinquantenne solitario e chiuso, sorveglia di nascosto un ricco uomo anziano, al quale è legato da qualcosa che non ci è dato sapere. Inoltre, a suon di tanto denaro assolda delle marchette e se le porta a casa; lì si masturba, godendo nel vedere i ragazzi denudarsi ma senza mai sfiorarli, sempre desde allá, da lontano. Ma con Elder (il diciannovenne Luis Silva), che lavora in un’officina e fa parte di una gang di teppisti, è diverso. Il ragazzo gli piace più degli altri ma è anche più violento; riesce a farlo venire a casa, ma una prima volta viene massacrato di botte, la seconda il ragazzo gli ruba tanti soldi. Armando però non demorde: riesce a scovare dove abita e lo aiuta quando è in difficoltà finché l’altro non può più fare a meno di lui. Una volta che la loro relazione è diventata meno tormentata, Elder lo convince ad avere un rapporto fisico completo; in più, compie un gesto estremo per piacergli, uccidendo l’uomo pedinato da Armando, dopo che questi gli ha confidato che avrebbe voluto vederlo morto. Un atto che però scatena la tragedia finale.
Il rapporto omosessuale, con scene esplicite, è fondamentale per il plot ma non è certo l’unico spunto interessante: al centro domina infatti il rapporto fra due generazioni lontane fra di loro, appartenenti peraltro a classi sociali differenti. I due protagonisti conducono esistenze diverse, ma caratterizzate da un analogo vuoto affettivo.
Armando, magari per un trauma giovanile, ha difficoltà nel relazionarsi con gli altri e rifiuta ogni contatto fisico; Elder, col padre in galera e in conflitto con la madre, vive anch’egli un isolamento emotivo, abbrutito dalla povertà e dal contesto aggressivo in cui vive e dal rifiuto di tutto ciò che possa scalfire la sua immagine di macho nel quartiere. Conoscendosi, i due riescono dunque a sfuggire alla loro situazione, magari scivolando in un rapporto padre-figlio. Ma poi le cose sfuggono di mano: se all’inizio è Armando a cercare di sedurre Elder, quando questi si innamora di lui, diventa più freddo e distaccato e tronca ogni rapporto col giovane, non reggendo la situazione. Sancendo così la fine di una relazione evidentemente impossibile.