Tra tutti i personaggi “eccentrici” caduti nella più totale damnatio memoriae nessuno è stato più sfortunato del pittore e ballerino Alberto Spadolini (1907-1972).
Dopo decenni in totale dimenticatoio ha anche subito una maledizione postuma, del tutto speciale ma assai tipica d’un certo provincialismo italico, cioè quella d’una tanto orgogliosa, quanto esibizionistica, volontà di “riscoperta” da parte dei suoi eredi che una volta creata una pseudo-fondazione a suo nome (Atelier Spadolini: www.albertospadolini.it) nel 2008 hanno strombazzato invasivamente la lieta novella su svariati mezzi d’informazione, organizzando anche mostre, convegni e un libro illustrato sulla vita e l’opera di Spadolini scritto da suo nipote Marco Travaglini, pieno d’inesattezze storiche imbarazzanti ma spacciate per oro colato. Spesso finendo nel ridicolo involontario, col carosello di benemerenze presidenziali, medaglie e gagliardetti comunali. Con la colpa, talvolta, di fare scadere nel risibile anche “lo zio” Spadolini come pirotecnica marionetta d’un teatrino troppo esagitato e “di genere”, con fondali intercambiabili, equivalenti ma tanto colorati e pittoreschi. Alla bisogna, freneticamente e (ahimè) anche troppo ripetutamente urlate a pappagallo le gesta didascaliche dello Spadolini magnifico emigrante a Parigi tra Cocteau e Picasso, di decoratore nel teatro d’avanguardia dai Bragaglia a Roma, di seduttore poetico ma casto di quel vecchio porcone di D’Annunzio, di grande ballerino di varietà scoperto per puro caso da un manager adorante in transito, del bellissimo Spadolini famoso perché quasi nudo in scena e trasfigurato da puro istinto selvaggio autodidatta, d’ammaliatore del compositore Ravel con la coreografia gitana del suo “Bolerò-Spadò”, di sciupa-femmine galante (Josephine Baker, la Dietrich, ecc.), di grande pittore internazionale, di cantante con grande esito (pare senza aver mai inciso un disco), d’attore cinematografico (ma sfortunatamente col ruolo più memorabile della carriera, in un capolavoro di Marcel Carné, tagliato al montaggio), di spia anti-nazista in Svezia e poi negli anni ‘50 in Indocina, di devoto frate terziario ma esperto esoterista amico intimo di Padre Pio.
E la cosa peggiore è che Spadolini fu davvero tutto ciò e anche ben altro ma il cui autentico splendore è ancora ben al di là dal rivelarsi. Perché il suo effettivo peso culturale, sull’arte e sulla storia dei suoi giorni, giace ancora sotto una coltre di scarsa attenzione in cui il verosimile è “ufficialmente” preferito alla realtà dei fatti, spingendo sempre sul pedale del “mistero” dell’anziano “zio morto in Francia” di cui si trovò per caso uno scatolone pieno di memorie, in soffitta, durante un trasloco nel 1978. Ma la polvere dal solaio ora la si continua a nascondere sotto il tappeto del perbenismo con un uso spericolato del pressapochismo. E ci vuole anche un bel talento nel pensare di rendere gran servigi alla cultura senza farla affatto. Arrampicandosi sugli specchi per non voler ammettere l’inammissibile, catto-cristianamente vergognandosi d’altri aspetti, censurandoli o al limite indirizzarli alla bisogna verso obiettivi prefissati, cioè il voler fare divulgazione a tutti i costi ma con la scusa di preservare la memoria del caro estinto non si è fatto altro che appannare di mediocrità l’ex famoso zio. Che, assolutamente, persona mediocre e perbenista proprio non fu. Mai finiremo di ringraziare abbastanza Marco Travaglini per aver salvato e rilanciato la figura di suo zio ma sarebbe ora che si superassero certe remore.
Giusto per dirne due: s’è sempre taciuta la morte per tumore al fegato di Spadolini (sempre dichiarandola misteriosa per colorire il personaggio), sia il fatto che fosse un figlio illegittimo e solo a sei anni assunse il cognome del patrigno (che poi in realtà si ribattezzò Spadellini dal 1949, anti-fascista che perse il lavoro di ferroviere ed è forse per quello che spedì il figliastro 15enne a Roma, nel 1922, come apprendista decoratore in bottega).
In questi ultimi mesi le cose stanno leggermente mutando, limandosi poco a poco ma ancora ben distanti dal tramutare le travi nell’occhio in pagliuzze. Travaglini ha permesso d’usare en passant la figura di suo zio per un libretto, scritto bene ma astruso, a opera di Augusto Scano col titolo Il gioco di Spadò (solo online: www.youcanprint.it) in cui finalmente ne sono state rivelate le realtà biografiche su nascita e morte. Vi potete rendere conto che se ci si imbarazzava di due simili dettagli come potessero restare sconcertati quelli dell’Atelier Spadò al solo alludere all’omosessualità non solo del proprio celebre parente ma di quasi tutte le persone da lui frequentate. Io stesso avevo informato Travaglini, anni fa, che non mi poteva prendere per un imbecille su certi argomenti e personaggi che sono da un bel pezzo al centro delle mie ricerche.
Smontai anche la vicenda, a uso dei beoti in transito, secondo cui Spadolini fece scandalo nel 1933 perché fuggì con l’attrice Catherine Hessling, rubandola al celebre marito regista Jean Renoir, negando il fatto, ben noto e documentato, che i due coniugi erano già separati legalmente da ben tre anni e niente più avevano da spartire. Travaglini, però continuò a negare ogni evidenza. E io preferii eclissarmi, tenendo per me le mie scoperte su Spadolini. Anche perché quando ne accennai qui su Pride, nel maggio 2008, lui pretese una censura preventiva e io gli risposi picche. Certo non gli riferii che del celebre scatto di Spadolini nudo, nel 1935, effettuato dalla fotografa Dora Maar (poi compagna celeberrima di Picasso ma anche amante lesbica della pittrice Leonor Fini) ne esisteva una variante “clandestina” con membro ben in vista, rielaborata poi dall’artista gay polacco David Wojnarowicz nel 1988.
Recentissimamente Travaglini ha scatenato una diatriba contro la pubblicazione del volumetto Alberto Spadolini: danzatore, pittore, agente segreto di Ignazio Gori, edito da Castelvecchi. In cui s’è messo per scritto e alluso sia di gayezza che di ben altro. La legge italiana prevede che non si possa scrivere nulla su una persona, salvo consenso degli eredi, fin dopo settant’anni della morte. Inoltre esiste quello che è definito “diritto all’oblio” del defunto e per questo, per esempio, è vietata la pubblicazione di documenti legali che lo riguardano. Il tutto però, in pratica, decade quando si scriva di personalità che abbiano un conclamato interesse artistico e culturale, esattamente come nel caso di Spadolini. Quindi esiste l’escamotage orrendo della stesura in “romanzo”, in quanto fiction dichiarata tale. Ed è così che Gori è stato costretto a presentare, nell’introduzione al libro, il suo lavoro come volutamente visionario e romanzesco ma che una volta letto non ve lo sembrerà affatto. Nel suo sito Travaglini ha pubblicato un’invettiva contro Gori (dandogli anche del gay accolito del poeta Veneziani, forse perché per lui è un difetto e accusa di non poco conto), in cui ha segnalato giustamente alcuni grossolani errori bio-bibliografici commessi da Gori. E ha fatto benissimo. Anch’io ho dato una tirata d’orecchi a Ignazio Gori appena ho letto il libro, perché certe cose possono compromettere la credibilità di tutta l’operazione. Intanto ho dovuto bacchettarlo su altre cose e chiedere conto del perché d’alcune lacune, piccoli pastrocchi e volgarità, furbizie, inciampi e soprattutto mancanza di note a piè di pagina con indicate le fonti a cui s’è attinto. Il libro ha sofferto molto, come poi mi ha raccontato Gori, del taglio di ben 60 pagine. Specie nelle parti più “romanzate” in cui erano state inserite notizie clamorose sapute da testimoni dell’epoca che avevano conosciuto, in maniera diretta o indiretta, Spadolini. S’è preferito non riportare un documento legale del 1926, trovato in un archivio pubblico, anche se assai prezioso per comprenderne un aspetto della vita del giovane protagonista a Roma. Non sono state riportate tre lettere indirizzate da Padre Pio a Spadolini, dai contenuti illuminanti. Le si è lasciate riposare nel silenzio d’una biblioteca privata dove giacciono dimenticate da sempre. L’editore Castelvecchi temeva di scadere nel nazional-popolare e ha censurato questo aspetto. Secondo me è stato un errore, esattamente come rimprovero Travaglini, perché un personaggio storico non va giudicato ma va solo compreso e anche la religiosità ne è un lato importante. In soli dieci mesi di ricerche Ignazio Gori ha fatto scoperte strepitose cui nessuno era arrivato e ultimamente ha fatto nuove incredibili scoperte che verranno aggiunte in una prossima edizione. Sia sulle visite segrete di Spadolini al Vittoriale di D’Annunzio, tra 1924 e 1928, delle quali è stata finalmente trovata documentazione e sia sulla sua presenza, nel 1954, a una festa spettacolare sul Garda (testimone un celeberrimo attore di teatro) degna d’una messa in scena di Vittorio Caprioli.
Sono anche emersi nuovi particolari su Visconti che avrebbe voluto Spadolini, ormai anziano, per un suo famoso film e anche il fatto che Freddie Mercury avesse in camera da letto, incorniciate, le foto degli anni ’30 di Spadolini nudo e ci si ispirasse per le sue posture in scena. Basterebbe leggere le interviste che Spadolini concedeva all’epoca per rendersi conto di quale personaggio incredibile, colto, modesto e di spessore fosse. Comunque per farsi un’idea del personaggio, anzi “dell’uomo dai molti segreti” come lo definì il regista Carlo Ludovico Bragaglia negli anni ’50, è fondamentale sia la lettura del libro di Gori, sia di quello di Travaglini (gratis in pdf nel suo sito).
Il personaggio è talmente variegato che preferisco ve ne facciate un’idea da soli. Al di là, per esempio, che l’Atelier Spadolini insista col ritenere Condé-Nast un fotografo di Spadolini e non un editore (infatti le foto furono scattate nel 1933 da Honingen-Huene per Vogue della Condé-Nast ma loro ignorano) o che una tradizionale spilla dozzinale da kilt scozzese appartenuta a Spadolini, a zampa di gallo cedrone, non sia un souvenir qualsiasi ma un prezioso gioiello esoterico-magico realizzato apposta su suo disegno. Oppure dando per amante di Spadolini la più celebre lesbica di Francia dell’epoca: la cantante Suzy Solidor. Magari cercando d’andare anche oltre alla loro definizione di Spadolini “grande pittore”, mentre era solo un pittore naïf di non sempre eccelse croste kitsch, salvo forse per i ritrattini stilizzati di evanescenti ballerinette classiche a scopo puramente decorativo e alimentare. Un mezzo con cui lui aveva fatto passare le frontiere ai messaggi cifrati durante la Resistenza, incollati nei telai dei quadri. E forse l’attività di spionaggio fu veramente la sua più autentica, perché disertore in Italia nel 1928 si riscattò virilmente e a suo modo con una personale guerra d’intelligenza e bellezza. Come autentica, di sicuro, fu la sua segreta attività di raccolta di fondi in Francia per l’ospedale di Padre Pio. Perché non c’è niente di meglio che passare inosservato facendo finta di stare sempre al centro delle scene.