Incontrarlo è come fare un affascinante viaggio nella bellezza maschile di un tempo che non esiste più. Le sue foto – che ti mostra ricordando ogni particolare di quando e come furono scattate – raccontano la storia di una società, quella italiana degli anni Settanta e Ottanta, piena di tabù riguardo all’omosessualità, ma altrettanto intrisa di desiderio e di voglia di trasgressione. Ritrarre uomini nudi allora era inammissibile, se non nelle prime riviste gay che iniziavano a circolare in quegli anni. Spinto da un grande desiderio di conoscere e abbordare i ragazzi, per lui la fotografia è stata dapprima una scusa, poi è diventata una professione. Quelle facce così italiane, la bellezza naturale dei corpi dei suoi modelli, con i quali stringe ogni volta un rapporto molto intimo, l’innocenza di quei volti che trasuda sesso, quel tocco inconfondibile di romanticismo anche negli scatti più hot. Recentemente si sono accesi di nuovo i riflettori su di lui grazie anche a un documentario, presentato all’ultima edizione di Festival Mix, la rassegna milanese di cinema LGBT, che gli ha dedicato il regista Tiziano Sossi. Questo è Tony Patrioli, il più grande fotografo italiano di nudo maschile, oggi un gentilissimo signore di settantacinque anni, sempre in compagnia dell’inseparabile cagnolino, Tony Bau. Da molto tempo ormai non scatta più, ma il suo lavoro ha cristallizzato per sempre l’immaginario gay di un’intera epoca.

Come si è avvicinato al mondo della fotografia?
Quello che mi spingeva era il sesso. Ho iniziato fotografando i miei amanti. Avevo varie relazioni contemporaneamente, ero un farfallone. È nato tutto così, non mi immaginavo che sarebbe diventato un lavoro. Da ragazzo lavoravo al Grand Hotel Milan, ma i miei avevano rilevato una rivendita di latte ad Affori e quando ero libero andavo ad aiutarli. È nel retrobottega che ho iniziato, scattando centinaia di Polaroid, purtroppo andate perse, che poi facevo vedere ai miei amici gay. Non ho mai nascosto niente di me, ero molto vivace all’epoca. Ma lì vicino c’era un oratorio, si era sparsa la voce, e così il prete disse che chi fosse andato in quella latteria avrebbe commesso peccato mortale. In quel modo mi fece una grande pubblicità: chi entrava, ci stava! In seguito mi contattò un mensile gay dell’epoca, che si chiamava Omo, chiedendomi di fornirgli delle foto di maschi. Non si poteva fare ancora il nudo integrale, quindi in slip, vedo e non vedo. Accettai subito e questo fu l’inizio della mia lunga collaborazione con le riviste gay.

Ce ne vuole parlare?
Dopo Omo arrivò la International Press, una società che pubblicava testate porno, la principale era Doppiosenso, ma ne facevano anche altre etero. Aveva iniziato rubando le foto dai giornali esteri, non esisteva copyright sulla pornografia. Quando iniziai a collaborarci, ed erano i primi tempi che il porno gay arrivò in Italia, ebbe un successo tale che da mensile diventò settimanale. Facevo delle foto a colori per loro, poi a quei modelli che mi piacevano di più, che potevano essere l’amante di turno, scattavo anche altre foto più artistiche in bianco e nero per averne un ricordo. Molte di queste sono state pubblicate da Babilonia, la storica rivista gay italiana con cui ho collaborato a lungo.

Come avveniva il reclutamento, i suoi modelli erano gay oppure no?
Non mi sono mai preoccupato se fossero etero o gay. Spiegavo che tipo di foto volevo fare, anche quando si trattava di porno, e quello che contava per me è che ne fossero capaci, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Spesso sono riuscito a convincere ragazzi etero a fare cose sessualmente molto spinte con altri ragazzi. Li incontravo per strada, e difficilmente andavo incontro a rifiuti. Una volta che l’ingranaggio era oliato, accadeva che un ragazzo con cui avevo già lavorato mi portasse i suoi amici, ma il più delle volte me li trovavo io, nei posti dove andavo. Anche per il compenso che gli proponevo mi accordavo di volta in volta.

Quali erano le caratteristiche in base alle quali li sceglieva?
Partivo dal viso, che doveva colpirmi, età diciotto vent’anni, glabri. Ne ho soltanto un paio pelosi. Me li avevano portati vestiti, poi una volta spogliati era troppo tardi per mandarli via e li fotografai. Quel servizio piacque molto, c’è chi ama il pelo. Poi mi attirava il loro modo di fare. Mi piaceva conoscerli prima, li ospitavo, ci facevo un viaggio. Spesso andavo al sud, in Puglia oppure in Sardegna, dove avevo amici che mi ospitavano. A Brescia, di dove sono originario, invece bazzicavo le zone della caserma e molti dei miei ragazzi erano quindi militari. Li fotografavo, poi dicevo loro di farselo diventare duro, inventandogli la balla che avevo un’amica da fargli conoscere a cui far vedere la foto. E così portavo a casa anche lo scatto con l’erezione. Alcuni ragazzi erano molto bravi e li ho utilizzati per molti servizi. Poi International Press mi chiese anche di fare servizi bisex e le ragazze me le portavano direttamente i ragazzi.

Con i suoi “ragazzi patrioleschi” ha dettato uno stile.
È stato Giovannni Dall’Orto a trovare questa definizione. Anche altri fotografi in quegli anni hanno scattato foto di nudo maschile, ma io sono quello che ha fatto davvero l’impossibile, nessuno in Italia ha fatto le cose che ho fatto io. Bisogna avere un carattere molto deciso e riuscire a convincere e a coinvolgere i ragazzi. Io evidentemente avevo delle qualità per esserci riuscito. Forse da questo arriva questo termine. Inoltre, credo di aver ritratto la tipica bellezza italiana mediterranea e in molti paesi esteri hanno utilizzato le mie foto per rappresentarla.

Ci racconti qualche aneddoto, ne avrà a migliaia.
Una volta caricai in macchina due ragazzi di un piccolo paese vicino a Brescia, che facevano l’autostop. Durante il tragitto gli proposi di fare delle foto, ci fermammo così in una zona appartata e loro, senza che lo chiedessi, si scatenarono fino ad arrivare all’orgasmo. Rimasi allibito, mai me lo sarei aspettato.

Ha mai avuto denunce?
Sì, due denunce con procedimento penale. Il settimanale Panorama per un servizio sull’omosessualità riprese delle mie foto da Babilonia, e il servizio quindi fu visto anche nel paese di due ragazzi che avevano posato e che mi denunciarono. Uno però aveva fatto con me anche molti nudi in erezione e quando il giudice gli chiese se fosse lui in foto, dovette ammettere. Così vinsi la causa, perché avevano firmato le liberatorie. Furono poco furbi, non credo dissero la verità neanche al loro avvocato che pensò di vincere facilmente con una richiesta di 500 milioni di lire. La mia fedina penale è ancora immacolata!

Altri problemi o inconvenienti? 
In generale no. Ho sempre avuto l’intuito di capire come andava la cosa sin dall’inizio e l’intelligenza di fermarmi prima. Quando facevo il porno in esterne a volte è capitato di essere sorpresi da passanti sul set. Una volta – mi ricordo – era un servizio a tre, eravamo in una radura e non mi ero portato nessuno, come di solito facevo, che stesse un po’ a distanza a controllare che nessuno arrivasse. Camminammo a lungo in un bosco, poi trovammo un campo di mais, il posto era perfetto. A un certo punto, nella scena finale quella delle eiaculazioni, spunta un cacciatore con tanto di fucile e cane. Io ho avuto la presenza di spirito di continuare a parlare dando istruzioni ai ragazzi: “Ecco bene, bravi, continuate così”. Se mi fossi fermato sarebbe stato peggio. Questo avrebbe potuto anche sparare, invece rimase impietrito, fece finta di nulla e se ne andò senza nemmeno voltarsi indietro. Per noi fu terrificante. I ragazzi si rivestirono e andammo via di fretta.
Un’altra volta però ho rischiato davvero la vita. Avevo fatto dei servizi porno con un ragazzo calabrese, che faceva la guardia giurata e che avevo avvicinato mentre faceva il turno di guardia davanti a una banca. Lui era bravissimo, l’ho utilizzato molte volte, sia nel ruolo attivo che in quello passivo, era superdotato e bellissimo. Il problema è che, non so come, le foto arrivarono nelle mani del fratello, anch’egli guardia giurata. Una notte me li vidi arrivare a casa mia insieme e pensai subito qui si mette male. Pistola alla mano questi minacciò di uccidermi, fino a notte fonda, chiedendo tutti i particolari dei servizi fatti con il fratello. Io mantenni la calma e non cedetti alla paura. Ore e ore di incubo in cui non si calmava. Alla fine sono riuscito a fargli capire che suo fratello aveva fatto queste foto perché aveva bisogno di soldi, per lavoro. La stessa cosa era per me, quello era il mio lavoro. Vuoi sapere come è andata a finire? Sono stato talmente persuasivo che ho convinto anche lui a fare il porno.

Come mai da anni non fa più fotografie? 
Ancora oggi, guardando le mie foto, mi chiedo come abbia fatto a fare tutto questo. Sai qual è stata la cosa determinante? La mia frociaggine, il mio desiderio, ero sempre in ebollizione. Per questo dal 1990 in poi, quando a causa di una serie di dispiaceri e di eventi personali mi è venuto a mancare questo senso di libidine non sono più riuscito a fare questo lavoro. Soprattutto per i servizi porno, sai, dovevo sempre sacrificarmi e testare i ragazzi prima, anche per decidere poi che ruolo dargli, se attivo o passivo.
E, lo devo ammettere –  conclude ridendo – è stata davvero dura!