L’ultima volta che abbiamo sentito parlare pubblicamente di schedature degli omosessuali è stata nel 2009, in occasione della vicenda legata al direttore dell’Avvenire Dino Boffo, “[…] noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni […]”, come scriveva il Giornale di Feltri. L’“accusa”, lo si scoprì in seguito, era basata su un’indiscrezione fasulla, ma in molti si chiesero se la polizia italiana, nel 2009, redigesse elenchi di cittadini in base al loro orientamento sessuale.

L’allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, negò tutto. Come fidarsi?

Abbiamo consultato Andrea Maori, ricercatore che nel suo libro del 2012 Dossier Libertà Controllata – Polizia, potere politico e movimenti per i diritti umani e civili (1945-2000) (Reality Book, 264 pp., 15 euro), ha analizzato le informative di pubblica sicurezza che riguardano il movimento gay italiano, dalla sua nascita fino all’anno fatidico che ha visto contrapporsi il world gay pride romano al Giubileo di papa Wojtyla.
Maori spiega che gli apparati di polizia “svolgono costantemente un controllo su movimenti, associazioni e partiti presenti sul territorio nazionale” per prevenire possibili reati e per tenere sotto controllo la conflittualità sociale. “Per i movimenti per i diritti civili, generalmente di ispirazione nonviolenta, la finalità è verificare se possono creare problemi di ordine pubblico con azioni di disobbedienza civile o di profondo dissenso al sistema di potere”.

Arcigay nazionale dà atto a Maori di aver sollevato la questione delle schedature individuali delle persone LGBT fin dalla metà degli anni Novanta. Nel libro si riporta una relazione del 1996 allegata a una nota nella quale “si nega che la polizia svolga quel tipo di discriminazione. È evidente che si tratta di un atteggiamento ambiguo e contraddittorio: da un lato si nega e dall’altro si afferma. La scusa è sempre quella: con l’arresto in flagranza si coglie l’occasione per prendere tutte le informazioni sulla persona, compresi i suoi dati sensibili e sensibilissimi. La natura del controllo non cambia molto se si parla di singoli individui o di movimenti e dipende dal tipo di reato che si intravede. Ci sono relazioni che sottolineano il nominativo degli organizzatori, ovvero viene dato un rilievo alla loro azione. Ufficialmente le schedature degli attori sociali non sono permesse, ma chi ci dice che non siano compilate?”.
In passato la repressione del movimento aveva a che fare per lo più coi presunti attentati alla pubblica morale e al “comune senso del pudore”, come per esempio nel 1975, quando il prefetto di Napoli “esprimeva ‘l’assoluta inopportunità sullo svolgimento di un convegno internazionale per la liberazione sessuale organizzato dal Partito Radicale, dal Movimento per la liberazione della donna e dal Fuori!”.
“Ora come ora sarebbe impensabile”, commenta Maori, perché “nel frattempo il ‘senso del pudore’ è notevolmente cambiato ed è accaduto perché è cambiata la società e il suo rapporto con la sessualità”.

Oggi possiamo verificare regolarmente, in effetti, quanto le forze dell’ordine siano piuttosto alleati preziosi nel contrasto alle incursioni più o meno violente dei professionisti dell’omofobia: che questo avvenga in occasione di un presidio, di una fiaccolata o durante le annuali parate dei pride. “Nel mio testo ho citato i gravi atti di intolleranza nei confronti della comunità arcobaleno a Torre del Lago in Versilia il 19 agosto 1999: in quel frangente l’opera di contenimento delle forze di polizia venne valutato positivamente da parte degli organizzatori della manifestazione, perché grazie al loro intervento furono impediti danni più gravi”.

Rispetto alle occasionali derive antidemocratiche dei tutori dell’ordine, saliti in questi anni sul banco degli imputati con l’accusa di violenza gratuita verso i singoli (i casi Cucchi, Aldrovandi, Uva…) o verso i gruppi (il G8 di Genova), Maori invita a non accomunare “casi molto diversi tra loro. Se nella Polizia c’è un dibattito costante sull’ordine pubblico, bisogna sempre considerare l’interrelazione tra questa e il potere politico che in quel momento è al vertice del Ministero degli Interni. Non bisogna nemmeno sottovalutare le interazioni dei vari ministri e sottosegretari con il Parlamento. Ho potuto verificare, infatti, che non è indifferente per le valutazioni di azioni di controllo e repressione l’impatto che i dibattiti parlamentari hanno sul Paese. Il punto è che se non ci sono consapevolezza, informazione e comunicazione reale in Italia sul ruolo della polizia, i soprusi sono sempre possibili”.
Infine, chiediamo all’autore se ha interesse a coprire in un suo prossimo libro il periodo storico degli ultimi quindici anni, anche dal punto di vista LGBT: “È molto difficile accedere alla documentazione recente: gli archivi delle questure e delle prefetture sono blindati e gli archivi di Stato periferici hanno documentazione frammentata. Ovviamente ho intenzione di occuparmi di questa tematica, perché fa parte della nostra storia civile e democratica”.