“Ho avuto il privilegio di parlare con Nelson Mandela a proposito dei diritti dei gay: ha dato il suo sostegno affinché nella costituzione del Sudafrica fosse scritto che la discriminazione nei confronti dei gay è illegale e in quel continente è l’unico caso. Qui in Europa, nell’Irlanda del Nord, dove i vecchi pregiudizi sono duri a morire, gli omosessuali ancora non si possono sposare, mentre in quella del Sud il matrimonio è stato approvato. La situazione in alcuni paesi è davvero tragica: se almeno per un giorno non ci pensiamo possiamo goderci l’evento di domani”, così Sir Ian McKellen, prima mattatore della scena teatrale inglese, ove spazia da Shakespeare e Marlowe a Bent di Martin Sherman sull’olocausto gay, poi rapito da Hollywood che ne ha fatto una star planetaria. Lo incontriamo in una tra le più classiche sale da tè di Manchester, la Richmond Tea Rooms. Non passa inosservato, ma non ci lascia nemmeno il tempo di gustare la sorpresa della sua stretta di mano, che, con la voce che al cinema ha dato spessore a tanti personaggi come Gandalf de Il signore degli anelli o dell’omosessuale James Whale di Demoni e dei, ci invita a promuovere il coming out per tutti: “Mi auguro che grazie al pride moltissime persone si facciano coraggio e vedendo che in giro circolano così tanti gay dicano a se stesse: ‘Ebbene sì, sono uno di loro’. Tornando a casa, diffondete il messaggio che la società deve prepararsi a vedere i gay uscire allo scoperto ed esserne felice. La scorsa settimana sono stato alla marcia di New York e prima a quella di San Francisco: l’impressione è sempre stata di estrema gioia”.
Il suo concreto impegno per la causa gay, a differenza delle rare star italiane che si sono dichiarate, è senza sosta: “Ci sono molte brutte notizie in giro ma non bisogna dimenticare il tanto buon lavoro fatto. Ho profuso tempo e energie con Stonewall: grazie anche a questa associazione, fondata da dieci omosessuali (tra cui lui stesso, N.d.R.), ora in Inghilterra è illegale discriminare sulla base di sessualità, genere, razza e età. Lo stesso avviene nelle scuole. È stata una vera e propria rivoluzione ma compiuta senza violenza, senza provocazioni nei confronti della polizia, senza nessuno che si mettesse di traverso ai suoi cavalli”.
Ma non basta; il suo bilancio sulla conquista globale dei diritti gay non raggiunge il pareggio: “Da una parte ci possiamo sentire soddisfatti e dall’altra arrabbiati. C’è ancora molta strada da fare”, argomenta, “in compenso oggi ci sono leggi che ci tutelano. Sono infuriato per i fratelli e le sorelle russe: molte cose sembrano andare nella giusta direzione ma ci sono ancora luoghi dove i gay non sono al sicuro”.
Dall’alto dei suoi 76 anni ha idee chiarissime sull’attualità arcobaleno: “Molti locali a Londra hanno chiuso, ma non è stato loro ordinato: il fatto è che se ne sente meno il bisogno di un tempo. In un certo senso è una cosa positiva perché significa che ci sono altre possibilità per i gay di fare conoscenza, come le cam, i social, Grindr, e comunque ci sono ancora parecchi posti da poter frequentare”. “Non ho mai usato le chat”, confessa, “non provo curiosità per queste risorse forse perché non ho mai avuto difficoltà a incontrare altri gay”.
Certo le cose sono mutate per chi ha vissuto in prima persona i cambiamenti epocali legati alla conquista della visibilità gay: “Credo che oggi ci siano locali migliori rispetto a quelli di quando io ero un ragazzo: allora dovevamo rimanere nascosti e non si voleva essere quello che in realtà si era. T’infilavi di nascosto in un club per rilassarti, poi potevi anche socializzare e ballare. Io? No, non ballo. Chissà, forse domani per il Manchester Pride…”
La conversazione è amichevole, un po’ come scambiare opinioni con una vecchia zia, se non fosse per quel vocione profondo che ha sconfitto eserciti, demoni e dei. Gli spieghiamo che in Italia pochi personaggi pubblici escono allo scoperto. Non esita un istante a sfidarli: “Il coming out di attori o sportivi celebri può sicuramente incoraggiare le persone a dichiararsi: avere dei modelli di comportamento che condividono le tue scelte e la tua visione politica e che puoi anche contattare attraverso i social sarebbe molto utile. Da noi ci sono parecchi giocatori di calcio e di rugby che potrebbero farlo ma come tanti altri atleti hanno paura. Ai miei tempi nessuna persona famosa osava così tanto, e pensavi di essere l’unico, il diverso, insomma una checca”.
Certo noi italiani senza diritti restiamo in Europa tra i più arrabbiati, altro che soddisfatti, argomentiamo: “Sono certo che i gay italiani che non hanno diritti civili, matrimonio e leggi anti-omofobia sapranno alzare la testa e fare un gran casino, organizzeranno marce e cercheranno di cambiare le leggi. Se poi i partiti politici sono timidi nell’appoggiare le vostre rivendicazioni dovete montare un gran casino e farvi sentire a tutti i costi”. (Stefano Bolognini e Mario Cervio Gualersi)