“NON È LA PRIMA VOLTA né sarà l’ultima”. Così ha affermato Michael Weinstein, presidente dell’Aids Healthcare Foundation di Los Angeles, a seguito del nuovo caso di Hiv riportato sul set di un film porno girato in California.

In questo stato, nel 2012, è stata approvata una misura che richiede espressamente l’utilizzo del preservativo durante le riprese, tanto da costringere alcuni produttori a emigrare nel vicino Nevada (dove sembra che l’attore risultato positivo al test Hiv avesse girato precedentemente altre scene) o altrove.
Ci siamo chiesti quali fossero i controlli a cui gli attori hanno il dovere di sottoporsi prima delle riprese e se sussistessero determinate prassi comportamentali durante le stesse (o una sorta di galateo consensuale). A rispondere alle nostre domande è Lucas Kazan, già direttore dell’omonima casa di produzione nonché stretto collaboratore di Bel Ami, che da più di un lustro ha iniziato a produrre film bareback.

Ciao Lucas, una decina di anni fa dichiarasti su queste pagine che come produttore ritenevi di avere delle responsabilità nei confronti della comunità lgbt, per cui non intendevi girare film bareback. Da allora è cambiato qualcosa per te da questo punto di vista?
No. Nel 2013 due episodi del dvd Men For All Seasons erano sì bareback, ma preceduti da una dichiarazione di esclusione di responsabilità. In uno degli episodi, la coppia Diego e Wagner, coppia sulle scene e nella vita, aveva scelto di far sesso per la videocamera così come lo fanno in privato. Idem per l’episodio brasiliano di Ettore Tosi. Nel disclaimer dichiaro di rispettare le scelte dei modelli, quali esse siano. Ma segnalo altresì che, come Lucas Kazan, non approvo né promuovo il sesso “insicuro”.

Si tratta quindi di una scelta?
Esatto. Sottolineo il sostantivo “scelta”. Perché il bareback è questione di scelte e comportamenti strettamente personali. Non di leggi, né di censura. Non biasimo i colleghi che si sono piegati alle leggi del mercato, quando un film bareback, poco importa se bello o brutto, guadagna almeno il 30% di più rispetto a un film in cui si utilizzi il preservativo. Da Bel Ami, a Corbin Fisher, a Sean Cody. Parimenti mi aspetto che i colleghi e i consumatori rispettino la mia scelta e quella degli studio di San Francisco (Falcon, Titan, Colt, Nakedsword) di non promuovere il sesso bareback. Invece, nel giro di pochi anni, la questione si è capovolta: all’improvviso siamo noi produttori incapaci di stare al passo con i tempi. Un esempio: quando ho girato un episodio “sicuro” con lo svedese Tomas Brand e l’italiano Raul Korso, noti entrambi per i loro trascorsi bareback, ho raccolto commenti del tipo: “Col preservativo? Nel 2014? Ma stiamo scherzando? Ritirati, sei un fallito!”. Ecco, gli atteggiamenti della stragrande maggioranza del pubblico mi paiono meno difendibili di quelli dei produttori, come Lucas Entertainment, costretti ad adottare il bareback per far quadrare i bilanci.

L’ennesimo episodio rimbalzato sui media ci suggerisce la questione di quali siano i controlli sanitari, ma anche gli eventuali accordi contrattuali cui gli attori si debbono obbligatoriamente sottoporre prima di girare un film…
Occorre fare innanzitutto un distinguo: nell’episodio che citate, il modello si era sottoposto al test Elisa che, per metodologia e tempi, è caduto in disuso negli ultimi dieci anni. I produttori americani (quelli seri) fruiscono dei protocolli PASS (Performer Availability Screening Services), che includono sofisticati test RNA e un database confidenziale. Sempre più spesso sono i modelli a proporre le loro candidature, svelando fin da subito il loro “stato”. Ai produttori il compito di accoppiare un candidato positivo con un altro (o altri) sero-concordant. Questi protocolli, che garantiscono da anni la tutela dei modelli, sono pagati dagli studios, nonché oggetto di contratto e vengono effettuati immediatamente prima delle riprese.

Anche Bel Ami, nota per il frequente ricambio di numerosi modelli giovani, utilizza gli stessi protocolli?
Certo! Nel caso della Bel Ami, i ragazzi vengono testati per ogni malattia venerea. Non esiste, credeteci, modo più sicuro di far sesso che su un set di Bel Ami. Di contro con conseguenze spesso disastrose da un punto di vista finanziario: se i ragazzi risultano positivi alla clamidia, alla gonorrea, all’Hpv, non si gira. Immaginatevi le spese dei giorni “morti” quando si gira on location all’estero, in Sud Africa piuttosto che in Grecia… La domanda che mi pongo è un’altra: quanti dei ragazzi che fanno sesso in disco o in automobile, e non su un set di Bel Ami, hanno mai fatto un test RNA?

Ritornando al discorso di scelta, in sostanza smentisci che possano sussistere regole contrattuali per le quali un attore si impegna, durante tutto il periodo delle riprese se non del contratto, a non praticare sesso al di fuori dei luoghi di produzione?
Mi scappa da ridere…. È una leggenda metropolitana.

Nei film “sicuri” l’utilizzo del preservativo è riservato però ai soli rapporti anali, cosiddetti “completi”. Per quanto riguarda i rapporti orali è “tutto natura” o si utilizza qualche artificio?
No, non esiste alcuna finzione al riguardo. Vero che alcune case di produzione usano concentrati artificiali per le fotografie. Ad esempio le foto di ManRoyale.com. Oppure per sopperire a un’eiaculazione mancata… ma questo è un altro discorso. Come Lucas Kazan, non ho mai girato un’eiaculazione in bocca al partner. O in faccia. Non già per la sicurezza dei modelli, che i produttori bareback tutelano non meno di me. Ma perché non voglio e non posso abbassare la guardia: Truvada non è un’aspirina!
Nel lontano 1995 produssi l’ultimo film americano sull’Aids prima dell’avvento dei cocktail (Green Plaid Shirt). Ben ricordo quegli anni, gli amici, i produttori, i registi, i pornodivi che l’Aids si è portato via. A chi non ricorda, ai giovani che non c’erano, suggerisco un bel film televisivo dello scorso anno, The Normal Heart, scritto da Larry Kramer.

Immaginiamo sia lo stesso discorso per i rapporti anali nei film bareback, dove per la maggior parte delle volte l’orgasmo non viene consumato, passaci il termine, in “appropriata sede” (è il cosiddetto breeding), ed è però spesso seguito immediatamente da un’ulteriore penetrazione finale. Talvolta invece, in rari casi, è praticato anche il creampie se non addirittura il felching
Nessuna finzione. Chiaro che il money-shot va filmato fuori dall’ “appropriata sede” (per usare la vostra espressione). Difatti lo chiamiamo “money shot”, come dire… la “certificazione” della verità erotica di una scena . Le ulteriori penetrazioni dopo l’orgasmo contribuiscono ad alzarne la temperatura erotica. Con i test appropriati e/o con il casting di modelli sero-concordant (es: tutti positivi), la salute dei modelli non è mai in gioco.

In una coppia sero-concordant che non utilizzi il preservativo c’è sempre il rischio di una superinfezione.
Per non creare fraintendimenti il consiglio di Pride è quello di usare sempre il preservativo, come buona regola per tutelarsi da tutte le malattie a trasmissione sessuale. 
Detto ciò, possiamo sperare che lo spettatore sia abbastanza maturo da poter discernere sul grado di sicurezza tra la scena su un set cinematografico e quello nella vita reale?
Quello che è in gioco è il “messaggio” (per usare una vecchia categoria della critica contenutistica). Gli echi extra-testuali. E le responsabilità che ne conseguono. Mi spiego: la maggior parte dei produttori ritengono di fare spettacolo, di agire e muovere le fantasie che il pubblico richiede. Altri produttori, compreso il sottoscritto, ritengono invece di avere delle responsabilità anche educative. Verso sé stessi e verso la comunità LGBT. Non ho dimenticato l’impatto che i porno degli anni ’70/’80 hanno avuto sulla mia vita erotica.
Come posso ignorare che i ragazzi di oggi possano imitare gesti e pratiche così popolari su XTube e sulle migliaia di portali hard? Se è vero che il porno fotografa dette pratiche, siamo certi che non contribuisca anche a forgiarle? Dove finisce la ri-produzione e dove comincia la produzione dei modelli di comportamento?
Non si tratta di demonizzare l’industria (che, nella maggior parte dei casi, mi pare serissima riguardo alla tutela dei modelli), quanto di responsabilizzare il pubblico gay, che premia il bareback sempre e comunque.

Un anno fa la Falcon Studios dichiarò di aver iniziato a girare in California film porno (i primi in commercio furono California Dreamin’ 1 e 2) in cui gli attori sul set utilizzavano preservativi, che poi sarebbero stati “cancellati” digitalmente in fase di post produzione, grazie all’utilizzo di sofisticati programmi software; evitando così di contravvenire alle leggi vigenti in quello stato. 
Ti risulta attuabile questa tecnica e utilizzata da altre case produttrici?
Un’altra leggenda metropolitana.
Stento a credere che i lettori abbiano abboccato ai press release al riguardo. Eliminare digitalmente un preservativo (o una corda o una qualsiasi immagine in film di fantascienza) costerebbe migliaia di dollari al minuto. Quando i budget per ogni dvd della Falcon non eccedono i 15.000 dollari!
È vero, invece, che la Falcon ha trasferito i propri studi da San Francisco a Las Vegas e che il trasloco possa preludere a titoli bareback anche in casa Falcon. Chissà cosa ne penserebbe Chuck Holmes, il mitico fondatore della Falcon, morto di Aids e generoso attivista?