Qualche estate fa, ospite di un amico americano, ho avuto il primo contatto con quello che in gergo si chiama self-publishing (o vanity press, per i più maliziosi). O “libri autopubblicati”, per parlare direttamente. L’amico yankee era giudice di un concorso indetto da una casa editrice locale e dedicato specificamente alla narrativa lgbt. Ricordo, oltre all’inconsolabile sconforto dell’amico, titoli mirabolanti e geniali come Tequila is to kill ya (un poliziesco non proprio irresistibile e dal finale anticipato tra le righe già nelle prime dieci pagine), oppure romanzi pseudo-erotici dal sapore ottocentesco e d’appendice come Boys on the down low (ragazzi neri che fanno sesso con altri ragazzi, ma non vogliono che si sappia in giro). Dialoghi interminabili, una trama prevedibile e una prosa didascalica erano la cifra di gran parte del materiale sottoposto a giudizio. Cose del tipo: “E lui disse aaah, e io feci mmmh, allora lui ripeté oooh…”. A vincere alla fine era stato un racconto più compiuto, una sorta di riscrittura in salsa gay di una di quelle commedie romantiche con Meg Ryan: niente di trascendentale, ma non aveva niente da invidiare a tre quarti di ciò che viene pubblicato secondo l’iter tradizionale.
In terra italiana, basta una rapida ricerca sul web per reperire titoli altrettanto creativi e porno-soft: saltano all’occhio per esempio Il cambiamento – Confessioni eccitanti (dall’impagabile sottotitolo “Immenso piacere gay”) e l’ancora più audace – soprattutto per l’evidente antitesi contenuta nel titolo – Pornoavventure di un etero gay. L’autore, Mauro Bartocci, lo presenta come una sorta di romanzo di formazione e si premura di spiegare l’apparente contraddizione: si tratta del racconto della “vita sessuale di un uomo assolutamente etero […] che viene introdotto inaspettatamente in un mondo diverso per diventare oggetto di gioco di storie erotiche tra uomini migliorando le sue performance con il sesso femminile e diventando lo sfogo di amanti del sesso gay scoprendo sensazioni ed eccitazioni fino a ora sconosciute e inaspettate”. Così, tutto d’un fiato, senza un punto fermo. C’è anche un lettore che firma una recensione entusiastica e coincidenza vuole che anche lui si chiami Mauro, e si sente di suggerircelo perché “è una lettura da diventar rossi e accaldati in una lettura unica e aperta alla trasgressione”.
Ci sono anche titoli che esplorano gli aspetti meno carnali dell’esistenza gay.
Francesco Sansone firma Oltre l’evidenza: racconti di vita gay con il preciso scopo di offrire ad altri giovani ragazzi gay come lui un “modo per non sentirsi soli” e di potersi confrontare “con le esperienze di altri ragazzi che come lui hanno vissuto le paure, le ansie e le difficoltà dettate dalla presa di coscienza della propria sessualità e alla vita, talvolta di privazioni, che questa li spinge, sia un modo utile per far credere di non essere gli unici nel provare pulsioni e sentimenti diversi da quelli definiti normali”. Un proposito abbastanza simile anima Pierpaolo Mandetta, che col suo Vagamente suscettibili riscrive in salsa gay la favola del topo di campagna, magari leggermente sfigato ma senz’altro di buon cuore, e del topo di città, che naturalmente pensa solo a Grindr e immagina la app come unico possibile strumento di emancipazione. A scrivere per i giovani gay non sono solo altri giovani gay.
C’è per esempio Graziano Di Benedetto, sposato e con figlie, che scrive di quanto “non è facile amare, soprattutto se si è diversi, se si è omosessuali, se si vive tutto ciò con un costante senso di colpa”. La vicenda del suo Diario di un uomo è ambientata negli anni Ottanta, ma l’autore l’ha scritta con la coscienza che “amare non è facile nemmeno nella nostra epoca, in cui rigurgiti di omofobia esplodono ancora in tutta la loro violenza”.
C’è poi chi vuole militare con un vibrante Do di petto, come Rosario Capaldo con la sua raccolta di racconti dal titolo Cieli sporchi. A motivare l’autore è “la ricerca di una condizione di verità, di giustizia, di visibilità, ma soprattutto di un auto-riconoscimento e di accettazione di sé che i protagonisti sviluppano nelle situazioni più disparate”. C’è anche chi, pur in tenerissima età e al suo esordio autopubblicato, già tiene “a precisare che non [vuole] essere catalogato come un autore di genere”. È il caso di Armando Di Lillo, autore di Quello che non sai, con il quale vuole “sfatare dei cliché spesso utilizzati nella rappresentazione degli omosessuali in Italia: Leonardo, il protagonista non è un ragazzo effeminato, cura il suo aspetto ma come risultato di un trascorso da ex obeso e non come una fashion victim. […] È un personaggio chiave, che però non voglio rappresenti un romanzo di genere. Per me, parlare di personaggi omosessuali equivale a parlare di eterosessuali o di bisessuali e transessuali”.
Come regolarsi di fronte a un’offerta tanto variegata? Giusto qualche mese fa, dalle pagine de Il Giornale Massimiliano Parente ha sottoscritto e rilanciato un segnale d’inquietudine proveniente da Aldo Busi, con un articolo dal titolo Tutto è scritto, niente è letto. Parente ricorda i tempi in cui la figura dell’editore aveva ancora un ruolo determinante, i tempi in cui “un filtro industriale […] ma aggiungo anche estetico, gerarchico e culturale” era vitale nella produzione di testi letterari. Insomma, se da solo mi pubblico, poi da solo mi promuovo… e da solo mi leggo, con ogni probabilità. È la logica del talk show dove tutti hanno ragione, dell’egomania in centoquaranta caratteri, del diario  quello adolescenziale in carta o quello di Facebook  applicata all’editoria.
Impossibile non accorgersi che la Letteratura con la elle maiuscola, quasi certamente, sta da un’altra parte. La domanda che ogni aspirante scrittore però si pone, legittimamente, è: ma se scrive Michaela Biancofiore, e Mondadori la pubblica pure, perché io no?
C’è poi un’altra questione da sollevare. La Letteratura con la elle maiuscola, quella che quasi certamente sta da un’altra parte, sta in un posto dove non vende granché e quindi non viene granché letta. Qualche tempo fa Fleur Pellerin, ministra francese della Cultura, ha candidamente confessato di non leggere Alta Letteratura da anni e di non conoscere nemmeno un’opera del suo connazionale Patrick Modiano, recentemente insignito del Nobel per la Letteratura.
Intanto in Italia un ragazzo poco più che ventenne, Antonio Distefano, ha scritto e autopubblicato un romanzo (Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?) campione di download e vendite e nonostante abbia qualcosa come venticinquemila seguaci, ergo potenziali lettori, su Facebook, ancora nessuna casa editrice si è fatta avanti. Cosa che invece è successa a E. L. James, autrice di quello che è diventato uno dei romanzi più letti di tutti i tempi (le famose Cinquanta sfumature). È l’annosa disputa sul primato dello Scrittore opposto alla democrazia dei gusti del lettore: quel che è certo è che un libro non è un libro se non c’è qualcuno che lo legge.
In Italia ci sono alcuni casi interessanti, e di un certo pregio e successo, anche per quanto riguarda la narrativa a tematica gay. Oltre al già citato Capaldo, il più degno di nota è quello di Viliam Amighetti, autore de Il buio e la nebbia, un romanzo sulla persecuzione nazista nei confronti dei cittadini omosessuali. “Da ragazzino, avevo ricevuto in dono un libro che non ha conosciuto poi un grande successo, La Casa delle bambole, di Ka-Tzetnik 135633, romanzo che descriveva le baracche femminili dove le recluse dovevano sottostare alle angherie dei kapò e degli stessi prigionieri che ricevevano ricompense sessuali nel caso in cui aumentassero la produttività nelle fabbriche destinate al rifornimento bellico. Non potevo creare un clone e quindi ho pensato di verificare se vi fossero stati altri episodi di violenza, di natura sessuale, perpetrati nei confronti dei prigionieri maschi. Da qui nasce la mia scoperta di ciò che è accaduto ai ragazzi omosessuali”. I romanzi sul cosiddetto omocausto non abbondano, e infatti ad animare Amighetti è proprio un desiderio innato di portare alla luce la verità: “Mi sono documentato. Ho presenziato a serate nelle sedi Arcigay. Ho chiesto aiuto a persone per cercare di sviscerare l’aspetto psicologico. Non esiste un romanzo che porti anche chi si professa etero a voler leggere fatti incresciosi accaduti a chi etero non è”.
C’è poi Luigi Cerina, autore di Eros pros thanaton e Fuck the Future, di fortissima impronta autobiografica: “il primo narra del mio incontro con Carlo, racconta la nostra apoteosi e poi il nostro annichilimento. Lui è morto di Aids, era molto giovane. Io son rimasto, non sapevo perché, quindi ho seguito le orme di Primo Levi: ho testimoniato. Il secondo narra della mia vita dopo la sua morte”. Dal primo è anche stato tratto uno spettacolo di Jacopo Neri, rappresentato lo scorso aprile al Teatro Anfitrione di Roma, e Cerina ha anche appena pubblicato L’asta degli schiavi sulla New York “prima dell’Apocalisse Aids”.
Ci sono anche autori meno engagé che propongono pagine più leggere. Mirko Domanti, autore de Il segretario, propone un incipit che sembra un po’ Sex & the City e un po’ un romanzo chick lit. Un romanzo che però “lentamente si trasforma in qualcos’altro. Per me è un sogno che si è realizzato: già nel 2000 avevo pubblicato un romanzo e vinto diversi concorsi letterari, ma Il segretario si merita di più. Forse perché grandi editori, pur non pubblicandolo, mi hanno contattato facendomi i complimenti o perché la pagina su Facebook ha ottenuto cinquecento “mi piace” in due settimane, e chi l’ha letto mi ha chiamato e tifa per me”.
Anche Gabry M. Busillo, con il suo Tradita due volte (all’adulterio si aggiunge anche il fatto che l’amante è un uomo), offre una sorta di Harmony adatto ai tempi che corrono: “È un viaggio introspettivo che per me è stato necessario. Nella mia storia i ragazzi, prima di affrontare questa realtà, si sposano con due ragazze pensando di aver raggiunto una meta, invece… l’amore fra loro due è più forte di tutto, supera confini inimmaginabili coinvolgendo, loro malgrado, le due mogli che di fronte alla scoperta hanno reazioni diverse”. Come in ogni romanzo rosa che si rispetti, alla fine sono l’amore e la vita a trionfare: “Tutte le diverse prospettive che presento nel romanzo portano a un’unica consapevolezza: la vita è un dono che non va mai vissuto ai margini”.
Ora che il print on demand consente di stampare (ed eventualmente vendere) persino una sola copia di un libro, ogni argomento contro il decadimento dell’editoria e la pubblicazione fai-da-te sembra specioso.
È evidente che i tempi (e gli editori, e i lettori) siano cambiati rispetto anche solo a cinquant’anni fa, quando per esempio Feltrinelli pubblicava Il dottor Živago in anteprima mondiale o Angelo Rizzoli produceva Fellini e Visconti.
Si sono semplicemente moltiplicati i canali e le possibilità di fruizione, e con essi anche l’offerta. A lato della Letteratura c’è sempre stata la paraletteratura, e a lato della paraletteratura la tradizione narrativa regionale, e via così fino ad arrivare all’artigianato narrativo e al diario personale.
In tempi in cui il Premio Strega lo vince sempre Walter Veltroni, anche se per interposta persona (non è mia: è di Fulvio Abbate), non sono certo qualche centinaio di copie vendute da persone con devozione e nobili intenti a mettere in discussione la credibilità dell’editoria o ad affossare la Vera Letteratura.
Anzi, con l’autopubblicazione trovano spazio anche voci preziose che non possono ambire a essere contemplate da un’editoria che vive di “casi”, amici degli amici e grandi numeri.
Se i risultati della devozione e dei nobili intenti non hanno il respiro e l’importanza storica della Recherche proustiana, poco male: Proust non va da nessuna parte ed è sempre lì, disponibile alla lettura.
Per questo chiudo con altre parole, pratiche e dritte al punto, dell’autore Amighetti: “Una storia come la mia probabilmente non sarebbe considerata vendibile da un editore, quindi mi autofinanzio. C’è chi fuma, chi beve, chi fa viaggi in terre lontane… io scrivo e mi pago le spese. Il costo di una singola copia è di circa 9€. La vendo a 19, lasciando però il 30% a librerie, edicole, circoli culturali. Succede poi che in particolari serate applichi uno sconto e che quindi il prezzo finale sia di 15€. Bene o male, tra spese di rappresentanza (locandine, viaggi e alro) e copie lasciate per promozione, mi portano ad avere un guadagno di circa 4€ a copia, che per quattrocento copie – e in Italia è un gran successo vendere quattrocento copie – porta a circa 1500€. Verranno poi utilizzati per il prossimo romanzo. Non si diventa ricchi, ma ci si sente migliori se ciò che è stato scritto può raggiungere e magari aiutare anche solo un’altra persona”.
Magari non sarà Letteratura con la elle maiuscola, ma di sicuro non è tanto mediocre da vincere il premio Strega.