I toni dell’amore – Love Is Strange, diretto dal regista gay Ira Sachs (il regista di Keep the Light On), è una carrellata sulle tante sfaccettature che può assumere l’amore. Al centro c’è la coppia formata da George, sessantenne insegnante di musica (Alfred Molina), e da Ben, pittore settantenne (John Lithgow). I due stanno assieme da 39 anni. Nel 2011, dopo l’approvazione dei matrimoni gay, possono finalmente sposarsi, coronando il loro sogno.
Peccato che, una volta appresa la notizia, la scuola cattolica dove lavora George, che gestisce l’economia familiare, visto che Ben vende raramente qualche sua opera, lo licenzia. Così sono costretti a sbarazzarsi del loro costoso appartamento a Chelsea, dove vivono da più di vent’anni.
Improvvisamente, il mondo crolla sopra le loro teste. In attesa di ottenere un nuovo appartamento, George si fa ospitare da alcuni vicini di casa (una coppia di poliziotti gay, che amano la vita mondana), mentre Ben va a vivere a casa di suo nipote Elliot, sposato con Kate e padre dell’adolescente Joey.
Il film, che negli Usa ha ottenuto una grande successo di critica e di pubblico, mette a fuoco più tipi di amore, riguardanti più generazioni, da quello in crisi di Elliot e Kate allo stesso Joey, voglioso di comprendere i meccanismi di quel meraviglioso e “strano” sentimento. Ma soprattutto mostra la fragilità dell’amore quando deve fare i conti con cause contingenti, dalle devastanti conseguenze, come distacco, solitudine e paura del futuro, che rompono degli equilibri che sembravano inattaccabili.
Sachs fa dunque vedere i naturali alti e bassi dell’esistenza di una coppia, dalla serenità del rapporto di George e Ben fino al dolore che poi li accomuna, ma anche la forza di un amore assoluto. Nello stesso tempo, evidenzia come il matrimonio omosessuale si scontra con una società solo in apparenza aperta ma ancora conservatrice in molte frange e di una New York molto differenziata nelle sue varie realtà, nei quartieri come nelle famiglie, come le difficoltà di convivenza venutesi a creare con i nuovi ospiti. Ne viene fuori un racconto coinvolgente e sensibile che mischia commedia e dramma, emozionando lo spettatore.
Diretto dall’inglese Matthew Warchus, Pride è tutt’un altro tipo di film, militante e politico. Ispirato a una storia vera, è ambientato negli anni bui e zeppi di tensioni sociali dell’Inghilterra della Thatcher.
Nell’estate del 1984, mentre è in atto un agguerrito sciopero a oltranza dell’Unione nazionale dei minatori, alcuni attivisti londinesi omosessuali, i “Lesbians and Gays Support the Miners”, raccolgono fondi per le famiglie dei minatori (anche se non tutti fra di loro sono d’accordo, perché anche questi ultimi li emarginano).
I fondi raccolti creano evidente imbarazzo e sconcerto nei sindacati dei minatori, che quindi li rifiutano.
Così gli attivisti decidono di devolverli a un villaggio di minatori del Galles, Onllwyn, dove si recano di persona con un pullman sgangherato. All’inizio, l’incontro fra le due comunità, apparentemente ben differenti, è drammatico ma poi esse, accomunate dall’orgoglio, capiscono di avere molti obiettivi comuni e che l’unione fa la forza. Così il loro rapporto di solidarietà si consolida sempre di più, tanto che, quando l’anno dopo si festeggia il gay pride, i minatori, e non soltanto quelli di Onllwyn, sono alla testa del corteo.
Il film, vincitore della Queer Palm a Cannes, è una commedia divertente, dal tono frizzante e liberatorio, un tipico film inglese, con momenti molto commoventi ma mai melodrammatico e lontano da luoghi comuni. Pur destinato a un pubblico ampio, racconta una storia importante e tuttora attuale, ricordando quanto sia fondamentale nelle rivendicazioni un sostegno reciproco per far progredire se stessi e la società tutta.
Come dimostrano i tanti casi umani narrati, su tutti e due i fronti: dal decano della comunità che si dichiara pubblicamente gay, al ventenne che fa coming out lasciando la casa dei genitori per rincorrere i propri sogni, al gay che inizia a lottare a favore degli emarginati, alla gallese che completa gli studi e si dà alla vita politica.
Il cast di questo film corale, dove ci sono tanti protagonisti, è eccellente (tra gli altri, Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine, George Mackay, Joseph Gilgun, Andrew Scott e Ben Schnetzer). Splendida la colonna sonora, che spazia da Bronski Beat ai Frankie Goes To Hollywood e ai Soft Cell.