Al dito porta un anello con la scritta obscenity che è anche il nome del profumo che ha inventato.
“Uno degli ingredienti è l’acqua di Lourdes e il marketing è basato su un misto di iconografia religiosa e sessuale”, dice.
Bruce LaBruce è tornato al Festival Mix di Milano del giugno scorso, sempre ben diretto da Giampaolo Marzi con la collaborazione di Rafael Maniglia, per presentare i suoi due ultimi film. L’iper trasgressivo regista canadese di Hustler White e LA Zombie l’avevamo incontrato circa tre anni fa in occasione dell’uscita della biografia Bruce Xploitation. Da allora ha tenuto una mostra fotografica a Madrid, ritraendo i più famosi attori spagnoli cattolici nelle vesti di santi erotizzati, poi ha girato Gerontophilia, uscito in prima mondiale a Venezia, e Pierrot Lunaire, basato sull’omonima pièce da lui messa in scena all’Hebbel am Ufer Theater di Berlino.
Il primo racconta l’attrazione fatale che Lake, bellissimo diciottenne (Pier Gabriel Lajoie) nutre per gli uomini anziani: il destino gli fa incrociare la strada del maturo gay Melvyn (Walter Borden), recluso in una casa di cura, con cui stringe una relazione sia affettiva che sessuale.
Il secondo è ispirato all’opera del 1912 creata da Arnold Schönberg per la musica e dal poeta belga Albert Giraud per le liriche. LaBruce attualizza la vicenda e trasforma il protagonista, di norma malinconico e angosciato, in una trans alla disperata ricerca di un pene che otterrà castrando un uomo con una ghigliottina a forma di glory hole. Con Bruce, autoironico e schietto, approfondiamo queste due storie inusitate, non senza chiedergli conto delle sue controverse opinioni su alcuni aspetti del mondo gay.
Che sorta di ispirazione le ha fatto decidere di sceneggiare e dirigere un film con una vicenda come quella di Gerontophilia?
Ho conosciuto parecchi gerontofili nella mia vita: tra questi il mio amico Mark di San Francisco che, quando aveva 17 anni, ebbe una storia sia con Allen Ginsberg che con William Borroughs, allora entrambi ultrasettantenni. Mi ha colpito il fatto che l’ammirazione per il loro talento letterario si trasformasse poi in una relazione sessuale ma senza alcuno scambio di denaro, come sarebbe stato lecito immaginare. A New York conoscevo un magnifico ragazzo nero diciottenne che faceva sesso solo con “orsi” massicci e pelosi di religione ebraica di almeno 55 anni. Mi hanno sempre intrigato questi feticisti al pari dei travestiti e di chi pratica una sessualità fuori da codici e norme.
Paragonato ai suoi lavori precedenti, il film è decisamente meno provocatorio e, ad esempio, rare sono le scene di nudo.
Come è noto, nella mia carriera ho fatto molti film pornografici in cui però non mancava mai una sorta di sensibilità romantica. Sentivo che era venuto il momento di scegliere un soggetto che trattasse di tabù, sessualità e feticismi ma con approccio più garbato e gentile, adatto anche a una richiesta di finanziamento, che c’è stata, da parte del Québec. Dato che in questo caso l’oggetto sessuale è l’anziano, è lui che ho mostrato nudo mentre del ragazzo ho concesso solo la visione del suo fondoschiena. La scelta di fare un film mainstream implicava anche il non esporre attori professionisti a scene di sesso hardcore.
In un mondo come quello gay che enfatizza la bellezza maschile, i muscoli palestrati e i corpi giovani e tonici, cosa può cercare un giovanotto in un uomo di 81 anni?
Quello che lei cita io lo chiamo fascismo del corpo: è cominciato negli anni Ottanta e solo le donne sono state in grado di resistergli. Lake dell’uomo anziano apprezza la saggezza e l’esperienza e prova una profonda empatia per lui, chiuso in una clinica dove gli ospiti, imbottiti di farmaci, aspettano solo di morire. Melvyn gli suscita l’istinto di coccolarlo, di alleviargli le pene della sua quotidianità, insomma di salvarlo. È proprio la sua fragilità che suscita l’attrazione e il desiderio sessuale del ragazzo.
Talvolta lei ha girato due diversi finali per lo stesso film: uno più soft per il pubblico delle sale e uno hard per gli spettatori di nicchia: è successo anche per Gerontophilia?
No, affatto. Proprio per l’intenzione di non spingere gli attori a un’esposizione non desiderata. L’ho fatto più volte ma questo film è stato per me una sorta di esperimento, un processo di lavoro nuovo. Disponevo del budget più consistente che abbia mai avuto, potevo contare su una troupe regolata dai sindacati, sugli agenti che rappresentano i migliori attori. In passato mi è piaciuto fare film porno o sui freaks ma ho anche apprezzato molto questa esperienza.
Come è arrivato a scegliere i protagonisti e a favorire un’alchimia tra di loro?
Ho fatto provini a una trentina di candidati per ciascuno dei due ruoli. La differenza di età doveva risultare evidente e quindi del giovane volevo sottolineare l’innocenza e l’ingenuità ma anche il suo gran cuore, l’ampiezza di vedute e soprattutto la bellezza.
L’ironia del film sta nel fatto che il diciottenne non è l’oggetto sessuale ma lo è l’uomo anziano a cui s’interessano altri ragazzi, provocando la furibonda gelosia di Lake. Walter Borden è un celebre attore gay in Canada e dagli anni sessanta è un attivista per i diritti delle persone di colore (ha militato con le Black Panthers) e per quelli degli omosessuali. È stato generoso e non ha avuto esitazioni, che altri avrebbero avuto, a mostrare il suo corpo senza veli. Il fatto poi che sia nero aggiunge un’altra dimensione al film perché sottolinea ancor più le differenze tra i due: il giovane è etero, l’anziano è gay, il primo è di origine francese, il secondo inglese, uno è bianco, l’altro è nero.
Parliamo ora di Pierrot Lunaire. Il progetto ha preso l’avvio in teatro a Berlino: perché ha poi deciso di farne un film?
È stata la prima volta che ho diretto una sceneggiatura non scritta da me. La pièce aveva fatto discutere molto suscitando anche parecchio interesse nel pubblico. Ho voluto fare una rilettura radicale del classico di Schönberg: non potendo programmare una tournèe per motivi di budget, desideravo che lo vedesse un maggior numero di persone.
Ho incorporato estratti dalla versione teatrale e girato nuovo materiale confermando la stessa protagonista, Susanne Sachsse, che è stata anche l’ispiratrice dell’operazione. La musica atonale di Schönberg, ora malinconica ora violenta, mi ha sempre affascinato: il suo essere all’avanguardia era un segno rivoluzionario, infatti all’inizio del secolo scorso ha cambiato radicalmente i canoni musicali. Lo stesso autore indicava che, nonostante Pierrot fosse un personaggio maschile, a interpretarlo doveva essere una donna: da qui la mia intuizione di farlo diventare una transessuale female-to-male. Ho anche spostato la vicenda alla fine degli anni settanta, ispirandomi ai modelli del cinema muto del cinema espressionista tedesco ma anche a una storia vera accaduta in Canada che a Toronto è diventata una sorta di leggenda metropolitana.
Una trans che viveva con l’identità di un uomo aveva una giovane e ignara fidanzata e tutto tra loro procedeva bene sino a quando il padre di quest’ultima scopre la verità e impedisce alla figlia di rivedere la compagna perché non è un uomo. Ecco allora che lei, frustrata e incattivita per come viene trattata, dirotta un tassista in periferia, lo immobilizza e gli taglia il pene per poi incollarselo alla vagina, dimostrando così al padre della ragazza che è diventata un maschio…
…È inevitabile pensare alle teorie freudiane sull’invidia del pene… 
Ho lavorato spesso con persone transessuali e in un mio film ho girato una scena di sesso molto forte tra due trans female-to-male: la maggior parte di loro non vuole venire identificata come “smaniosa di cazzo”. Forse poteva valere prima degli anni settanta quando non esisteva alcuna coscienza politica.
In questo caso l’invidia del pene della protagonista è solo un mezzo per raggiungere un obbiettivo, l’oggetto del desiderio che è la ragazza amata. Il suo è un atto di ribellione nei confronti della società che la emargina e la fa diventare violenta. Come sempre c’è anche molta ironia: il padre viene connotato come detentore di potere e con le caratteristiche più negative dal machismo e alla fine mostro l’eroina come una specie di santa-assassina.
Sta già lavorando a un nuovo progetto?
Oltre alla promozione del mio profumo, sto sviluppando una sceneggiatura per conto dello stesso produttore di Gerontophilia. Il titolo sarà Twincest (tradotto: incesto tra gemelli), termine colloquiale che definisce una relazione sessuale tra fratelli.
Nel nostro ultimo incontro, parlando del movimento gay, lei dichiarava di essere assai scettico e critico nei confronti del desiderio di “normalizzazione” che sembra essere fortemente voluto dalle persone lgbt: nel frattempo ha forse cambiato opinione?
Francamente no: ho assunto una posizione ancor più radicale.
Per certi versi mi sento un alieno nei confronti della direzione che sta prendendo il mondo gay in generale. Forse perché appartengo a una generazione che ha fatto la rivoluzione e la sperimentazione sessuale, allora uno dei motori potenti del movimento gay.
Il tentativo di garantirsi accettazione e tolleranza si è involuto verso una direzione molto più conservatrice del necessario. Non è, ad esempio, che io mi schieri contro il matrimonio gay nello specifico: sono contro il matrimonio in sé, una critica a questa istituzione già storicamente mossa dalle femministe. C’è troppa gente che pensa che i gay debbano mostrarsi ben educati, casalinghi e monogami in nome di una morale che avversa chi invece sceglie di schierarsi contro questa visione convenzionale di trattare le relazioni interpersonali e la sessualità.
Sarà forse a causa del mio essere individualista, ma la penso così da 30 anni, anche quando mi opponevo al conformismo dell’apparire esteticamente tutti uguali, simili a cloni, e dover frequentare solo certi locali gay. Nella comunità noto in compenso una mancanza di stile, di solidarietà, di senso di appartenenza; con questo non voglio affermare che siano inutili le marce per il pride: scherzando dico però che oggi sono fatte più per gli eterosessuali che possono così dimostrare la loro tolleranza.
In realtà c’è ancora molto per cui protestare e lottare, specialmente se pensiamo all’Africa e alla Russia, persino alla Francia, dove sono messe in atto nuove forme di omofobia. Dobbiamo reagire alla carenza di impegno politico non solo nell’ambito lgbt ma nella società in generale.