Ultimamente il tema del lavoro sessuale, o della prostituzione come impropriamente viene chiamato a destra e manca, è tornato agli onori della cronaca, anche politica. L’anno scorso i sindaci di alcuni piccoli comuni hanno lanciato una raccolta firme per un referendum che abrogasse gli articoli che impediscono l’apertura di case di tolleranza. La campagna si è rapidamente diffusa a livello nazionale coinvolgendo comuni dal Veneto all’Abruzzo e sindaci di destra e sinistra (soprattutto Lega e PD), ma non è riuscita nell’intento. La battaglia si è spostata allora nei Consigli regionali dove lo stesso testo è stato presentato nel tentativo di proporre il referendum attraverso l’approvazione del quesito da parte di 5 Consigli regionali. Ad oggi solo la Regione Lombardia si è espressa a favore con il voto di Lega, Movimento 5 stelle, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Nel frattempo la Lega ha lanciato un nuovo referendum che, questa volta, chiede l’abrogazione totale della legge Merlin e non solo di alcuni articoli.
Ma cosa pensano di questo i (e le) diretti interessati? Nessuno, naturalmente, si è premurato di scoprirlo, tradendo un’impostazione che non è affatto rivolta a garantire i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso, ma piuttosto a stuzzicare la classica ipocrisia italica del “si fa, ma non si dice” e la doppia morale, tanto radicata a destra come a sinistra, di uno Stato etico e pappone insieme che dovrebbe tornare a gestire i bordelli. Unica eccezione il Movimento 5 Stelle che, quanto meno, ha permesso al Comitato per i Diritti Civili delle prostitute e all’Associazione Radicale Certi Diritti di essere ascoltati in commissione affari istituzionali della Regione Lombardia.
Dall’altra parte si sta diffondendo in tutta Europa l’approccio a un certo femminismo perbenista alla “Se non ora quando” che vorrebbe tornare all’oscurantismo proibizionista prendendo però di mira i clienti che verrebbero criminalizzati in quanto carnefici e sfruttatori per definizione. Nonostante le proteste di ben 554 associazioni europee e oltre 56 accademici e ricercatori, il Parlamento europeo, lo scorso febbraio, ha approvato il rapporto Honeyball, una risoluzione non vincolante basata su un testo proposto dalla deputata laburista inglese Mary Honeyball che chiede a tutta l’Unione di approvare leggi sul modello nordico, quello appunto che criminalizza i clienti.
L’atteggiamento comune a questi due approcci è quello di considerare il lavoro sessuale come una questione esclusivamente femminile e quindi ricorrere a ben consolidati stereotipi di genere per i quali le donne o sono dei “diavoli tentatori” da utilizzare per i piaceri sessuali degli uomini, ma al chiuso di quattro mura oppure sono delle vittime assolute da proteggere dal desiderio sessuale, che diventa necessariamente sfruttamento. Il lavoro sessuale, invece, è praticato, in misura sempre più ampia, anche dagli uomini, oltre che dalle persone trans.
Ampliare lo sguardo sul genere di chi pratica il lavoro sessuale può aiutare a comprendere una nozione elementare ben chiara a chi si occupa di queste cose: il lavoro sessuale può essere fatto anche per scelta e non sempre lo scambio di denaro per un rapporto sessuale dev’essere interpretato come sfruttamento di chi riceve il denaro. Nei rapporti tra uomini, per esempio, le vittime (anche di aggressioni fatali) sono più frequentemente i clienti che non i lavoratori del sesso. Senza arrivare a questi eccessi, si può pensare al fenomeno dei money slaves, ovvero coloro che pagano un ragazzo come gioco sessuale di adorazione che prevede tante altre forme di sottomissione che difficilmente farebbero apparire il cliente come sfruttatore del lavoratore sessuale che, per altro, non si percepisce neanche tale. Questo è un altro punto importante: la diffusione del lavoro sessuale anche tra studenti universitari come attività saltuaria per arrotondare e togliersi gli sfizi più costosi, fa venir meno la percezione di appartenere alla categoria dei lavoratori o delle lavoratrici sessuali.
Il punto allora è quello di distinguere nettamente tra i fenomeni di sfruttamento e di tratta degli esseri umani, che sono già giustamente puniti dalla legge, e quello del lavoro sessuale fatto per scelta che deve essere regolato non dal codice penale, ma da quello civile, come tutti gli altri lavori (più o meno logoranti), garantendo a quesiti lavoratori diritti, doveri e tutele. Tutti devono avere la libertà di scegliere se praticare o meno questo lavoro, da soli o in cooperative, in maniera continuativa o saltuaria trovando nello Stato un regolatore neutro, accorto e consapevole delle mille sfumature che questo lavoro come altri ha, non un protettore arcigno o un censore bigotto. Solo così lo Stato potrà concentrarsi efficacemente nella sacrosanta lotta allo sfruttamento sessuale.