Elton John lo considera il miglior autore vivente. Rufus Wainwright, compositore dal gusto raffinato e sottilmente ironico è in Europa per il suo tour. Lo abbiamo incontrato.
Sei in Europa per presentare il meglio della tua carriera, recentemente raccolto nell’album Vibrate. Come hai scelto i brani da includere nel cd?
La scaletta è stata messa insieme da Neil Tennant dei Pet Shop Boys, con l’intento di far scoprire un Rufus a chi non fosse già noto, o magari conoscesse solo un paio dei miei pezzi. L’album difatti spazia dal Rufus divertente a quello triste, al classico, al pop. Penso che il titolo, Vibrate, riferito alla mia carriera, racchiuda un po’ tutti questi elementi.
Nel suo ultimo tour George Micheal ha incluso nella set list del concerto anche la tua Going To A Town. È una canzone critica nei confronti dell’America, o sbagliamo?
No, è corretto. Nella canzone alludo al ritardo del governo americano nell’impegno per i diritti dei gay, che al tempo in cui scrissi la canzone erano ben al di là da venire, rispetto a oggi. È stato molto duro, ma anche positivo lottare per i diritti dei gay, ad esempio in rapporto alla loro presenza nell’esercito o in merito alle adozioni. Francamente il progresso che vedo oggi negli Stati Uniti su questo tema non lo riscontro in Europa, che mi sembra invece stia regredendo.
Quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a scrivere il testo e più in generale la canzone Gay Messiah sette anni fa? È una coincidenza che nello stesso album, Want Two, fosse incluso un brano come Agnus Dei?
Ok (ride), la prima cosa che dev’essere chiara è che la canzone non ha nulla a che vedere con Gesù. È una sorta di parallelismo, di metafora applicata a tutti quelli che negli anni ’80 erano malati di Aids e sono stati in qualche modo ‘crocifissi’ due volte (in quanto la loro morte all’inizio era stata giudicata come un castigo di Dio); è una commistione di spiritualità, santità da una parte e sporcizia, indecenza, sconcezza al tempo stesso. Sicuramente Agnus Dei, ma in generale tutto il mio repertorio e la mia vita, risente di questo dualismo; spesse volte queste forze parlano tra loro e, unendosi, formano la mia interezza.
Abbiamo letto che hai iniziato a raccogliere fondi attraverso PledgeMusic (www.pledgemusic.com/artists/rufuswainwright) per registrare un doppio cd i cui proventi andranno in parte alla fondazione dedicata a tua madre. Ci parli di questo progetto?
Questo è un progetto estremamente importante per me. Ho impiegato tre anni a scrivere l’opera Prima Donna e durante quel periodo mia madre era malata di cancro. Nonostante ciò è riuscita a venire a Manchester per vedere la prémière nel luglio del 2009 pochi mesi prima di morire. Potete capire come possa essere un’opera piena di amore, speranze e tristezza. Ho sempre provato l’esigenza che queste emozioni venissero registrate, ma sfortunatamente registrare bene un’opera costa molti soldi e fatica.
Una volta dicesti che “ogni gay al mondo a un certo punto della propria vita è sedotto dal camp”. Perché pensi che il camp sia così importante per i gay?
Credo vi sia qualcosa nel camp che definitivamente tende in ogni modo a minimizzare le situazioni serie, a trasformarle in maniera divertente e leggera. Pensate alla storia dei gay nel mondo, alla loro persecuzione, all’odio e alla violenza nei loro confronti. Per molto tempo tutta la comunità gay è stata avvolta nel buio e considerata fastidiosa, schifosa (ride, ndr); quindi tramutare magari una giornata terribile in una divertente è un modo per sopravvivere.
Il concetto di camp è indissolubilmente legato alla natura gay così come la commedia agli ebrei (Woody Allen insegna, ndr). Il camp sprigiona energia positiva.
Recentemente, durante la tua apparizione al festival di Sanremo, hai detto di aver compiuto dei passi importanti, come avere una figlia, sposarti e, molti anni prima, fare coming out. Tuttavia sei anche passato attraverso brutte esperienze durante la tua adolescenza. Cosa suggeriresti oggi a un giovane gay?
Rispetto a quando ero giovane io oggi è diverso e credo sia diverso anche in Italia. Allora non c’era internet, gruppi, persone gay in tv o nei film. Oggi è quasi divertente, perché in maniera strana qualche volta è quasi l’opposto per i giovani gay: loro sono ciò che gli piace (essere), sanno con chi uscire, che musica ascoltare, come vestire, hanno dei modelli, un mercato che li segue.
Sarebbe d’aiuto per i giovani gay riferirsi ai classici, alle grandi leggende, a quei modelli che mi hanno ispirato quando mi sono addentrato nel mondo gay, come Oscar Wilde, Jean Cocteau, Tchaikovsky. Guardare alla loro vita, al loro mondo; c’è qualcosa di bellezza e di grazia assoluta in tutto questo.