Cos’è più importante per il movimento gay: il coming out di Gianni Amelio o il suo documentario Felice chi è diverso, presentato al Festival di Berlino (è uscito a marzo nelle sale ma, c’è da giurarci, girerà ancora molto in manifestazioni varie)? Risposta non facile. La rivelazione di Amelio (“lo dico per tutti gli omosessuali, felici o no, io sono omosessuale”), di cui pure ovviamente tanti erano a conoscenza, è di gran peso perché può aprire una breccia, visto che si tratta di uno dei maggiori registi italiani, vincitore anche di un Leone d’oro (Così ridevano, 1998).
Ma il documentario (il cui titolo rimanda a una delicatissima, celebre poesia di Sandro Penna che dice: “Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune”) è veramente ricco di significato. Sinceramente, c’è da dire che chi ha dimestichezza con i festival gay (o anche con una buona televisione, come History Channel) più volte si è imbattuto in prodotti di questo genere; ma è la prima volta che, grazie anche alla fama del regista, un’opera simile esce in un circuito nazionale.
Il documentario mette la lente di ingrandimento sull’omosessualità in Italia nel Novecento, dai primi anni del secolo agli anni Ottanta (un po’ come il bel saggio di Andrea Pini, Quando eravamo froci, o anche la ricerca sugli omosessuali inviati al confino in epoca fascista di Goretti e Giartosio, La città e l’isola). Gioca su due registri differenti: da un lato ci sono spezzoni di repertorio, dall’altro le testimonianze di chi, ora anziano, ricorda la violenza delle angherie subite sulle propria pelle.
Trovare documentazioni dell’epoca, ha rivelato Amelio, è stato veramente complicato, semplicemente perché nell’Italia del fascismo e del dopoguerra si voleva affermare che “gli omosessuali non esistevano” e basta. Così, paradossalmente, le più significative sono quelle che riguardano la stampa di destra, con riviste come Lo Specchio o Il Borghese, che non perdevano occasione per dare addosso a “invertiti” e “finocchi”, come venivano chiamati allora, alla ricerca continua di “balletti verdi”, aggredendo Pasolini o politici come il ministro dc Sullo, il quale fu costretto a sposarsi per far tacere le malignità sul suo conto, che però non diminuirono, anzi. Ma ci sono pure film (anche una scena de Il sorpasso), cinegiornali e vignette, tutti impregnati di volgarità e doppi sensi, nonché televisione, come un coming out del fine cantautore Umberto Bindi o uno sketch di Raimondo Vianello in versione omo, due scene ovviamente censurate ma che per fortuna hanno resistito nei depositi della Rai.
Le 20 testimonianze sono la parte decisamente più intensa. Tra di esse vi sono anche persone famose, come l’artista Corrado Levi, l’attore e giornalista John Francis Lane o Ninetto Davoli, che (specificando però di essere etero) rievoca con emozione l’incontro con Pasolini che gli cambiò la vita.
Quasi sempre traspare un’inquietudine, spesso frutto della solitudine, e non mancano i racconti tragici, come chi è stato cacciato di casa o chi ha avvertito sempre la propria omosessualità come una disgrazia. Nello stesso tempo, in alcuni serpeggia l’idea (portata avanti anni fa anche da Nico Naldini) che tutto sommato “si stava meglio quando si stava peggio”, perché se è vero che l’omosessualità era socialmente condannata era però eccitante viverla di nascosto, con amori consumati, come dice Paolo Poli, “alla cosacca”, magari negli androni dei palazzi. I due interventi più intriganti sono forse quelli con Poli e con l’attore Ciro Cascina: il primo è quasi una voce fuori dal coro, nel raccontare di aver avuto una famiglia meravigliosa alle spalle che lo ha accettato senza colpo ferire e lo ha aiutato; il secondo è divertente quando rivendica nel suo colorito accento napoletano la perdita della diversità, causata dall’avvento della parola “gay” che secondo lui ha tristemente “cementificato” ogni differenza.
Il documentario evidenzia appieno la spietata omofobia della società italiana (che purtroppo, sia pure in termini fortunatamente diversi, continua a esserci ancora…), ma è anche tenero nel mostrare la dignità e il coraggio di chi ha dovuto inghiottire tanta saliva per vivere in libertà le proprie scelte e come l’amore sia sempre lo stesso, qualunque sia il sesso delle persone interessate. Parimenti, vuole essere un augurio per un futuro migliore, dove magari un’opera così non avrebbe più senso. Non a caso l’ultima testimonianza è quella di Aron Sanseverino, un ragazzo diciottenne bello e fiero.
Insomma, come lo stesso Amelio ha ribadito in più occasioni, questo lavoro è un atto politico e di solidarietà. Un impegno, bisogna dire, riuscito in pieno.