Di fatto, la Lucky Red è stata l’unica italiana ad aver vinto all’ultimo festival di Cannes, acquistando i diritti dei tre film che sono piaciuti di più. Ora è la volta di quello che ha trionfato: La vita di Adèle. Capitoli 1 & 2 del regista francese di origini tunisine Abdellatif Kechiche. Certo è che mai un film a tematica omosessuale si è imposto in un festival con un così totale, unanime consenso, come dichiarato anche dal presidente della giuria Steven Spielberg.
La storia, ambientata a Lille, è quella di Adèle (Adèle Exarchopoulos), una quindicenne liceale avida di vita, in ogni sua espressione. Adèle è convinta, più che altro perché fanno tutti così, che una ragazza della sua età non possa non avere un ragazzo e così frequenta Thomas (Jérémie Laheurte), un po’ cupo ma gentile. Adèle avverte però di essere incompleta, sente che le manca qualcosa (proprio come la protagonista del libro che sta leggendo, la Vie de Marianne di Marivaux). Un giorno si imbatte per caso in Emma (Léa Seydoux), una giovane dai capelli blu, affascinante e misteriosa, che da allora monopolizza i suoi sogni e i suoi desideri sessuali. Nel tentativo di respingere l’agitazione fortissima che per certi versi la disturba, mettendola in crisi, fa sesso con Thomas, arrivando però alla conclusione che gli uomini non la interessano più di tanto.
Decide dunque di ritrovare a tutti i costi la ragazza dai capelli blu e, grazie a un amico che frequenta i locali gay, riesce finalmente a rintracciarla: è Emma, una pittrice che studia Belle Arti. Emma, più grande di età, la contagia subito con la sua febbrile voglia di vivere e così ben presto le due si abbandonano a una storia d’amore travolgente e appassionata. Grazie a essa Adèle supera i propri problemi esistenziali, per maturarsi interiormente e vedere con altri occhi ciò che la circonda (i rapporti con la famiglia, l’omosessualità, la scuola). In particolare, capisce di essere portata verso l’insegnamento, poiché le piace trasmettere agli altri ciò che ha appreso sulla vita. La loro passione totalizzante, vissuta innanzitutto sul piano carnale, deve però fare i conti con le differenti estrazioni sociali – la prima è intellettuale, la seconda proletaria – che alla fine minano fatalmente il rapporto.
Curiosamente il film si ispira a una graphic novel: Le bleu est une couleur chaude di Julie Maroh (uscita in Francia nel marzo 2010), in cui il blu rimanda ai capelli della conturbante Emma. Kechiche ha però cambiato il nome della protagonista (nel fumetto Clementine) in Adèle sia perché è il nome dell’attrice sia perché in arabo significa “giustizia”. Nel film infatti la rottura fra le due protagoniste non ha niente a che vedere con l’omofobia della società ma implode dal di dentro, nello scontro tra diverse classi di appartenenza, chiamando quindi in causa la “giustizia sociale”.
Come nella sua prima opera, La schivata, Kechiche si rifà anche al suo adorato Marivaux, il drammaturgo francese del Settecento tanto attento ai moti del cuore. Così il film registra con attenzione il poetico innamoramento e le emozioni di Adèle nei primi due capitoli della sua vita: da quando è inesperta e confusa al momento in cui è illuminata da una passione incandescente fino a quando arriva all’amara consapevolezza che non ha senso portare avanti un rapporto che ormai non fa più per lei.
Pur essendo lungo ben tre ore, il film non è mai noioso, anzi. Kechiche (regista anche di Couscous e Venere nera) utilizza il suo stile molto personale, pieno di sensibilità e a suo modo realistico: una macchina da presa che pedina i personaggi, registrando le più sottili variazioni emotive, valorizzando i dettagli, come le lacrime, le carezze, i piccoli gesti di stizza, gli occhi lucidi. Così lo spettatore viene stordito da un flusso di immagini che si imprimono fortemente in lui. Tra di esse s’impongono quelle di sesso, intense e prolungate (una è lunga 20 minuti), dominate dall’eccitante piacere della scoperta del corpo amato. Scene eleganti e tenere, più che mai fondamentali nell’economia della storia, all’interno della quale scandiscono un percorso ben preciso, dalla passione all’amore fino all’inevitabile senso di consuetudine.
Ma non basta. Nonostante il regista si spertichi a dire che il film narra solo una grande storia d’amore, indubbiamente c’è anche un chiaro messaggio politico, peraltro espresso proprio nei giorni in cui in Francia è stata teatro delle sfilate contro la legge sui matrimoni gay nonché del grottesco suicidio dello scrittore Dominique Venner dentro Notre Dame. Al di là di ciò che ha detto Kechiche durante la premiazione (il film è un invito a “vivere liberamente, esprimersi liberamente, amare liberamente!”), significativa è la frase che dice Emma ad Adèle: “Adesso siamo una famiglia”. Anche per questo è un film particolarmente importante.