Visto dal XXI secolo, il Canada è un paese che si proietta nel futuro con un dinamismo che non ha molti paragoni nel resto del mondo occidentale. Non solo per la quantità e la qualità dei suoi progressi in ogni campo, ma anche per la relativa debolezza dei conflitti che li accompagnano. Un paese civile insomma, con una marcia in più anche rispetto alle ricche democrazie nordeuropee che offrono standard di vita analoghi e godono di una altrettanto solida pace sociale. La differenza la fanno le dimensioni – il Canada con i suoi quasi 10 milioni di chilometri quadrati è il secondo paese più esteso del mondo con un’abbondanza di risorse naturali che l’hanno reso d’ufficio una grande potenza economica – ma anche le straordinarie caratteristiche della popolazione canadese, già in origine multietnica e multiculturale, che nella sua storia più recente è diventata un modello della capacità di gestire la convivenza tra diversi.
Come i vicini Stati Uniti, il Canada è una terra di immigrati in cui alle popolazioni giunte dall’Asia nella notte dei tempi si sono sovrapposte prima successive ondate di arrivi dall’Europa e poi da tutto il resto del pianeta. Dopo i francesi e i britannici sono arrivati gli irlandesi, i tedeschi, gli italiani, i cinesi, i latinos, gli indiani, gli africani eccetera, a comporre un mosaico di culture (lo chiamano proprio così) che fonda la propria esistenza su un sistema di regole che garantiscono riconoscimento e spazio a ciascuna identità nel progetto civile comune. Già dagli anni Settanta del secolo scorso il Canada è all’avanguardia nelle politiche di tutela del multiculturalismo e questa attitudine al rispetto e alla valorizzazione delle differenze ha avuto naturalmente un peso notevole nel processo di riconoscimento dei diritti glbt, anche a proposito dei quali il “gigante buono” nordamericano è tra i paesi più avanzati. L’introduzione del matrimonio gay è del 2005, ma già prima che il parlamento varasse la relativa legge erano state le corti di giustizia a legalizzare in sette province su dieci le nozze tra persone dello stesso sesso, sottolineando l’incostituzionalità per difetto di uguaglianza del divieto di sposarsi imposto alle coppie omosessuali. Oltre a questo il Canada è anche una delle nazioni meglio attrezzate in materia di norme e pratiche non discriminatorie, specie nei settori chiave dell’educazione, della salute, del lavoro e del rapporto tra stato e cittadino.
Per toccare con mano gli effetti di tali premesse un posto sicuro è Toronto, la metropoli più popolosa del paese e insieme a Montreal la principale vetrina del modello canadese. Gironzolando per i suoi luoghi più animati il miscuglio di etnie è prodigioso: è la seconda città per numero di residenti nati all’estero, dopo Miami, e quattro su dieci delle persone che ci camminano accanto sono immigrati di prima o seconda generazione. Lungo le rive del lago Ontario, il “mare” di Toronto, sotto grappoli di torri di nuova costruzione il picnic delle famiglie indiane o filippine si incrocia con il jogging dei giovani manager, che un po’ più in là si imbattono in coetanei meno sportivi che fumano e bevono birra. Di fronte le Toronto Islands, una corona di isolotti a pochi minuti di traghetto dal centro cittadino dove le macchine non possono circolare e che vengono utilizzati come parco e per vari scopi ricreativi.
Risalendo verso nord dal lago, un taxi ci porta verso la nostra vera meta, che è il cuore storico ma ancora ben pulsante della vita gaia, ovvero il Gay Village o semplicemente Village, come dicono qui. A Toronto risiede la più numerosa comunità gay di tutto il Canada e il Village è il suo quartier generale. È un’area non lontana dal centro che si estende per un tratto di Church Street e delle vie che l’attraversano. E ha peraltro manifestato la propria vocazione già in tempi lontani. Da queste parti aveva acquistato infatti cinquanta acri di terra nel 1827 Alexander Wood (1772-1844), eminente cittadino di Toronto, che allora si chiamava York. Stimato mercante e magistrato di origine scozzese, Wood divenne molto famoso nel 1810 per uno scandalo sessuale che gli fece guadagnare il popolare soprannome di “Molly Wood” (Wood la checca) e lo costrinse a ritirarsi in esilio per un paio d’anni nella nativa Scozia. L’accusa che gli fu rivolta, ma non venne ufficialmente provata, era relativa alle indagini su un caso di stupro. Una donna si rivolse a Wood per avere giustizia e gli confidò di non aver visto in faccia il suo violentatore ma di avergli graffiato il pene. Così il solerte Wood si era messo all’opera per controllare personalmente le condizioni dei genitali di vari baldi giovani nella speranza di identificare il colpevole. La versione che lo condannò all’esilio temporaneo per evitare un ben più grave processo per sodomia diceva però che Wood non si limitava a guardare gli attributi degli indiziati e si spingeva ben oltre il limite di quelle che oggi definiremmo molestie sessuali. Come sia andata davvero non lo sapremo probabilmente mai. Quel che è certo è che le proprietà terriere acquistate da Wood ai margini dell’attuale quartiere gay rimasero malfamate, e pare ben frequentate, lungo il corso dell’Ottocento con il popolare nome di Molly Wood Bush (il boschetto di Wood la checca). Come ricompensa postuma della dubbia fama di cui aveva goduto in vita, alla memoria di Wood sono state dedicate due vie (Alexander Street e Wood Street) e una piazza (Alexander Place) all’interno del Village di Toronto. E per non farsi mancare niente c’è pure una statua che lo raffigura all’angolo tra Church e Alexander Street, con targhe che ragguagliano sul suo ruolo di capostipite della genealogia gay cittadina.
Church Street e dintorni, in tempi più recenti, cominciarono a ospitare una più articolata offerta con l’apertura di saune e bar. E nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento la comunità si sviluppò ulteriormente con l’avvio delle più varie attività commerciali e di intrattenimento a tematica. A metà dei Settanta aprì in Yonge Street, vivacissima arteria poco a ovest di Church Street, la libreria Glad Day che ancora sopravvive al massacro di molte sue consorelle compiuto dall’e-commerce e dagli e-book. Nei suoi locali impregnati dall’odore della carta invecchiata la storia della cultura gay letteralmente si respira. Merita una visita e qualche acquisto.
Il quartiere gay diventa anche ufficialmente tale nel corso degli anni Ottanta. Nel 1981 l’ “operazione sapone”, ovvero raid della polizia e arresti di massa in diverse saune di Toronto, provocò una Stonewall locale, con continue iniziative di protesta contro la persecuzione che cementarono definitivamente i legami comunitari. Fu da lì che attinse energie anche il pride, grande attrazione della Toronto di oggi, che ogni anno richiama un ragguardevole flusso turistico. La pride week di quest’anno, l’ultima settimana di giugno, è stata la prova generale del World Pride che nel 2014 farà tappa proprio qui dal 20 al 29 giugno. Sarà il primo World Pride in Nord America e per questa città un’occasione per mostrare al meglio quanto sia progredita e vivibile, grazie a una ricetta che sa coniugare sviluppo e diritti. Sarà insomma un vero “Toronto pride”, e anche per questo la comunità glbt non è lasciata sola a organizzarlo ma può contare su un ampio sostegno pubblico e privato.
Per l’evento, che oltre alla marcia prevede una conferenza internazionale sui diritti umani, una miriade di iniziative collaterali e dieci giorni di feste ininterrotte, si attende l’afflusso di almeno un milione e mezzo di persone. E il centro di tutto questo sarà proprio il Village, che in occasione del pride assume il suo aspetto più sgargiante e diventa un affollatissimo parco dei divertimenti dove ogni sfumatura dell’arcobaleno glbt (eccetera) trova la propria espressione. La varietà dei locali ne consegue: drag show, streep men, orsi e cuoio, lesbo chic e trucido, musica raffinata o baraccona, ragazzini e maturi, sesso sfrenato o chiacchiere senza impegno. C’è posto per tutti i gusti e per tutti i bisogni perché accanto ai discobar o alle saune ci sono naturalmente ristoranti e negozi di vario tipo (dai sex shop alla bellezza all’abbigliamento). Non per niente qui l’associazione dei commercianti è forte e molto coinvolta nell’organizzazione dei pride e degli altri analoghi eventi che riempiono di frequente il quartiere. Ma non si vive di solo pane e al Village c’è anche spazio per l’arte e la cultura. È in corso per esempio un progetto per dipingere i muri di vari edifici con opere d’arte ispirate alla storia e alla vita della comunità glbt. E in un’elegante palazzina d’epoca in Isabella Street ha sede l’archivio storico gay e lesbico canadese che proprio quest’anno ha festeggiato il quarantennale. Anche quando non è in programma niente di speciale, insomma, il Village con il suo tran tran quotidiano vale comunque la pena di un soggiorno in uno dei tanti graziosi alberghetti e bed and breakfast disponibili in zona.
Ma la scena gaia nella Toronto di oggi non si ferma in Church Street e dintorni, perché in generale la città è molto friendly e i gay finisci per trovarli un po’ dappertutto, come il prezzemolo. Si sentono a casa in particolare nel trendissimo e restauratissimo West end, dove (in Queen Street West) si trovano alberghi boutique come il Gladstone e il Drake che offrono agli ospiti anche mostre d’arte e concerti dal vivo in loco e alcuni dei locali più suggestivi come ambientazione per lasciarsi andare al rito del ballo.
E quando ci si stufa di stare in mezzo ai froci, rimane tutto il resto. Le attrazioni turistiche classiche come il panorama dall’alto della Cn Tower (553 metri), le passeggiate tra le foreste di grattacieli, gli assalti agli innumerevoli centri commerciali dove i prezzi per noi europei sono decisamente interessanti. Una settimana vola. Meglio due. Magari mettendoci dentro qualche altro must turistico, come una gita alle cascate del Niagara (a un paio d’ore di auto da Toronto) o un percorso a discreto tasso alcolico lungo la strada del vino della Niagara Peninsula, dove si può degustare nel luogo di produzione l’ice wine, un fruttatissimo vino da dessert che viene ottenuto dall’uva lasciata ghiacciare per alcuni giorni prima di raccoglierla. Pride o non pride, Toronto non delude.