Il padre di Leo non sa che il figlio fa marchette per racimolare i soldi per la roba. Di come riesca a procurarsi l’eroina, Leo e suo padre non discutono mai. “Il silenzio e l’assenza” sono sempre stati “le loro armi preferite”. “Leo aveva scritto nel suo profilo che adorava essere trattato come un cesso, un buco di carne dove scaricare possibili frustrazioni (era giunto alla conclusione che gli esseri umani non erano tagliati per la comunicazione, tanto valeva parlare con il linguaggio del corpo)”. Per Diana “il sesso non era mai stato naturale, ma qualcosa di asettico e programmato: un goffo tentativo di imitare un video porno”. “All’apparenza rido, gioco, creo un mondo che cambia man mano che la mia famiglia si sfascia e mostra quello che è realmente. Dentro sono incazzato con tutti: uomini, donne, froci… Vorrei che tutti un bel giorno esplodessero facendo uscire la merda che si portano dentro”.
Sono queste alcune immagini tratte da una raccolta di dodici racconti di Simone Bisantino popolati da ragazzi tossici e marchettari che vagano nella notte come personaggi belli e maledetti di Gus Van Sant, di padri che abusano dei propri figli ed esibiscono in chat le loro prodezze, di donne che subiscono impotenti e rassegnate i soprusi dei loro compagni-padroni, o che scoprono solo dopo la morte delle persone che amano di essere sempre state estranee, escluse da tutto. Perfino dalla loro morte (Simone Bisantino, Il ragazzo a quattro zampe, CaratteriMobili, Bari 2012, pp. 80, 10,00 euro).
Libro originale fin dalla veste grafica e dalle citazioni in exergo, di Marlene Dumas e Antonio Moresco, Il ragazzo a quattro zampe comunica un senso di disperazione e di impotenza. La prosa, cruda e priva di qualsiasi prospettiva consolatoria, “incide”, come ha scritto Alessandro Golinelli, “la carne stessa dei protagonisti e del lettore” per esprimere la verità di una generazione che non è perduta, ma che “si scava una nicchia tra le macerie dell’umanità”.
I racconti sono brevi, tra le quattro e le nove pagine ognuno, i personaggi e le situazioni variano da una storia all’altra e perfino la tecnica è diversa (alcuni racconti sono narrati in terza persona, alcuni in prima persona, qualcuno anche in seconda persona), ma il lettore capisce subito che il mondo rappresentato è sempre lo stesso, immerso in un medesimo senso di claustrofobia e che “il tutto”, come mi dice l’autore, “è stato ‘studiato’ come un racconto unico ma frammentato, in cui i protagonisti principali fossero sì protagonisti del singolo racconto, ma anche di un corpo unico, e di un corpo – carne, sangue, fluidi corporali – anch’esso unico”.
Alla mia domanda sulle sue letture e sui suoi autori di riferimento, Bisantino risponde: “Le maggiori influenze – se così si può dire – vengono da molta narrativa estrema degli anni Ottanta (Dennis Cooper, Mary Gaitskill, David Wojnarowicz) ma anche da molta letteratura femminile (Ingeborg Bachmann, Silvia Plath, Virginia Woolf) e in parte dalla cronaca attuale, filtrata attraverso la fiction narrativa”.
In qualche racconto sembra intravedersi il tentativo di costruzione di una qualche relazione (tra due uomini, tra due donne, tra un uomo e una donna) ma si tratta sempre di tentativi destinati al fallimento. “Non si tratta di impossibilità di un rapporto sentimentale”, dice ancora Bisantino, “ma di sicuro di incomunicabilità tra le parti. A volte si pensa che questo possa appartenere solo alla sfera maschile, in realtà sappiamo che non è così. La domanda è sempre la stessa: esiste l’amore? Quanto può durare? Quanto questo si trasforma a nostra insaputa? Un piccolo accenno si trova nascosto nei racconti, come una luce soffusa, che talvolta si spegne”.
Faccio notare all’autore che se tutti i personaggi sono chiusi nella loro solitudine e nelle loro morbosità, i ragazzi molto giovani e le donne sembrano esprimere, in maniera più forte, una loro fragilità e un loro bisogno di tenerezza che si manifesta magari attraverso masochismi e dipendenze, ma che cozza con un mondo maschile adulto che balbetta la propria impotenza senza avere mai il coraggio di guardarsi dentro. “Questo è verissimo”, dice Bisantino, “nel libro c’è una sorta di filo conduttore che lega uomini e donne, ma soprattutto ragazzi e donne, legati da uno stesso modo di “sentire/vedere” l’universo maschile/maschilista. Ma soprattutto, una stessa battaglia interiore. Tutti sono carnefici e vittime allo stesso tempo, di se stessi e degli altri. Penso sia la componente più forte che lega i rapporti tra le persone. Talvolta tutto questo funziona proprio perché c’è una giusta misura in questi due poli opposti. Anche la sfera sessuale è molto frammentata, quasi nessuno ha un’identità ben precisa, ma questa è mutevole a seconda dei casi. Penso sia innegabile dire che sia una delle componenti maggiori al giorno d’oggi. Gay/lesbica potrebbe in alcuni casi essere un’etichetta molto stretta ai personaggi di questo libro”.
Molto forte è la presenza del sesso, coniugato nelle forme più varie ed estreme in tutta la produzione di Bisantino, che ha pubblicato parecchi suoi racconti in raccolte antologiche a tematica erotica e che spesso è considerato uno scrittore erotico, ma forse le forme di sesso hard che egli rappresenta sono solo modi per esprimere le nostre fragilità e ciò che egli cerca di mettere in scena nei suoi racconti, come ha scritto Matteo B. Bianchi, sono soltanto i “malesseri contemporanei filtrati (forse ostacolati, offuscati) dal sesso”.