C’erano anche molti omosessuali nella grande manifestazione del 6 febbraio 2012, organizzata per protestare contro i presunti brogli che hanno inquinato la riconferma elettorale di Vladimir Putin, al suo terzo mandato da presidente: tra post-comunisti, femministe e nazionalisti, per un breve istante i cittadini russi gay e lesbiche si sono sentiti parte integrante di un movimento, ancora incerto e diviso, che si oppone alla deriva oscurantista e reazionaria del putinismo. Ma era un’illusione.
“Eccetto alcuni insulti omofobi da parte dei nazionalisti”, riporta il mensile gay francese Têtu, “non c’è stato nessun incidente di rilievo”, esultava in quell’occasione l’ex presidente dell’associazione Gay Russia Nikolai Baev. Incidenti che invece si sono puntualmente moltiplicati nei mesi successivi, in concomitanza con una micidiale raffica di provvedimenti legislativi anti-gay regionali culminati nel peggiore dei modi: il 25 gennaio 2013, infatti, in prima lettura alla Duma (il parlamento russo) e a schiacciante maggioranza, è stata approvata una legge nazionale che punisce la “propaganda omosessuale davanti a minori” con pesanti sanzioni pecuniarie fino a 12.500 euro. La legge è soggetta a interpretazioni arbitrarie che di fatto impediscono a chiunque nella Federazione Russa di mostrare sotto una luce “positiva” l’omosessualità, men che meno di organizzare pride o manifestare per i diritti di gay, lesbiche e trans. Anche le associazioni che si occupano di prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale sono molto preoccupate, poiché con questa legge sarà praticamente impossibile informare la popolazione russa glbt sulle pratiche a rischio Hiv.
I relatori promettono che la norma entrerà in vigore a tutti gli effetti entro l’estate prossima; non è difficile da credere, visto che il testo di legge è sostenuto dal partito di maggioranza di Putin, Russia Unita e che il consenso alla repressione dell’omosessualità proviene anche da larghi settori della popolazione: secondo un recente sondaggio dell’agenzia russa Levada, i gay sono “ripugnanti” per il 66% degli interpellati.
Anche la chiesa ortodossa s’è messa d’impegno a portare avanti questo provvedimento, caldeggiando l’estensione a livello nazionale di analoghe norme anti-gay già approvate negli scorsi anni nella regione di San Pietroburgo e in altre nove regioni della federazione: “La legge aiuterà a proteggere i bambini dalla manipolazione condotta da minoranze che promuovono la sodomia”, aveva dichiarato al britannico The Guardian Dmitri Pershin, responsabile della sezione giovani della chiesa moscovita, all’indomani dell’approvazione della legge nella ex capitale degli zar.
La crociata omofoba interna, come spesso succede, va fatta rientrare in una strategia più ampia del governo di Putin verso una politica estera sempre più smarcata dagli Usa e dalla Nato: in Russia è diffusa la convinzione che l’omosessualità sia una degenerazione dei costumi importata dall’occidente, perciò non è strano che i diritti dei cittadini gay e lesbiche russi vengano sacrificati volentieri per preservare la “purezza” dell’identità nazionale.
Non c’è voluto molto prima che l’emarginazione politica e sociale dei gay russi trovasse sfogo nella violenza: ne hanno fatto le spese i militanti ogni qual volta hanno osato scendere pacificamente in piazza per impedire che le leggi omofobe venissero varate, diventando loro malgrado il bersaglio di feroci pestaggi non solo da parte della polizia, ma anche dei nazionalisti facinorosi e di molti poco caritatevoli rappresentanti religiosi. L’ultimo episodio in ordine di tempo risale al giorno del voto alla legge nazionale, a Mosca, dove una decina di manifestanti gay si sono riuniti sotto la camera bassa; quando Pavel Samburov ha cercato di baciare il suo fidanzato in segno di protesta, i militanti sono stati aggrediti da un gruppo di conservatori e di ortodossi al grido di “Mosca non è Sodoma!” e poi caricati dalle forze dell’ordine, che alla fine li hanno arrestati. Clamoroso poi l’episodio accaduto qualche giorno prima, nella città di Voroneza; ce lo documenta un video diffuso su YouTube che ha fatto il giro del mondo, nel quale si vedono un centinaio di passanti accanirsi contro una dozzina di manifestanti gay, urlando slogan all’indirizzo dei “pervertiti” e lanciando loro addosso palle di neve e oggetti, tra le risate generali della folla tutta intorno.
Anche in passato i pretesti per le aggressioni ai militanti gay russi non sono mancati: basti citare la lunga sequela di vessazioni alle quali sono stati sottoposti gli organizzatori del Moscow Pride, inaugurato nel maggio del 2006 e fin da subito avversato dall’allora sindaco di Mosca Yuri Luzhkov (e dal suo successore Sergei Sobyanin). Loro però, guidati dall’attuale leader dell’associazione Gay Russia Nikolai Alekseev, non si sono mai fatti scoraggiare dalle intimidazioni e hanno testardamente manifestato ogni anno a maggio fino al 2012, subendo puntualmente le cariche della polizia, gli insulti e gli attacchi di skinhead, ultra-ortodossi e fanatici vari. L’anno scorso tuttavia il tribunale di Mosca ha azzerato ogni possibilità di dialogo, emanando una sentenza che vieterà lo svolgimento del pride in città per i prossimi cento anni “per motivi di sicurezza”. Una piccola vittoria, però, il comitato organizzatore del pride di Mosca lo ha ottenuto: nel 2010, in seguito a un ricorso di Alekseev, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il governo russo a risarcirlo di circa trentamila euro, a causa della violazione del diritto di una minoranza a manifestare pacificamente.
Il bilancio definitivo di questi rocamboleschi tentativi di pride moscoviti sarebbe potuto essere molto più drammatico se a sostenere il manipolo di militanti russi non ci fossero state, ogni anno, alcune delegazioni di rappresentanti politici e delle associazioni glbt provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, utili quantomeno a mantenere accesi per un giorno all’anno i riflettori mediatici sulle disastrose condizioni dei diritti civili in Russia.
Il Radicale Marco Cappato, all’epoca eurodeputato, ha partecipato al Moscow Pride del 2007 e oggi osserva che “quando ci siamo fatti arrestare insieme ad altri parlamentari europei e nazionali certamente non abbiamo risolto il problema, ma abbiamo dato un po’ di coraggio e di respiro ai militanti russi”. Della deriva liberticida attuale, Cappato ravvisa le cause nell’ignavia dell’occidente: “Secondo me Italia ed Europa hanno rinunciato da tempo ad esercitare una qualsiasi forma di pressione a favore della democrazia e del diritto in Russia. Da una parte c’è il problema degli approvvigionamenti energetici e dell’influenza di alcuni potentati economici russi come Gazprom; dall’altra, l’Europa politica fondata sul diritto non riesce ad affermarsi e prevale un’Europa burocratica dominata da stati nazionali incapaci di rispettare la propria stessa legalità al loro interno”.
Difficile non essere d’accordo, visto che per tutto il 2012 sono stati davvero timidi e sporadici gli atti concreti per arginare il giro di vite russo nei confronti dei gay. Solo ora che la legge nazionale contro la “propaganda omosex” è ormai cosa fatta, le cancellerie europee si sono risvegliate dal torpore. In prima linea, tra gli altri, il ministro tedesco degli esteri Guido Westerwelle, gay dichiarato, che ha prontamente convocato l’ambasciatore russo in Germania Vladimir Grinin per manifestargli la propria “profonda delusione personale”, ricordandogli che la condotta di Mosca porterà a un serio aggravamento dell’immagine della Russia in Europa. La rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Catherine Ashton, invece, ha dichiarato che ”la messa in atto di questa legge può rafforzare la discriminazione contro lesbiche, gay, bisessuali e transessuali così come contro chi difende le loro scelte, in particolare limitando le loro libertà d’espressione, di associazione e di riunione” e ha ricordato alla Russia gli impegni internazionali presi ”nel quadro del Consiglio d’Europa, come firmataria della Convenzione dei diritti umani”.
Nonostante tutti i limiti dell’Italia nell’ambito dei diritti civili, anche noi possiamo vantare qualche risultato importante quanto simbolico, visto che lo stesso Cappato, sostenuto dall’associazione Radicale Certi Diritti e dall’Arcigay di Milano, è riuscito a far votare nel novembre scorso dal consiglio comunale della città meneghina una mozione che sospende il gemellaggio con San Pietroburgo fino a quando nell’ex capitale zarista, capitale culturale del paese, non verrà abrogata l’odiosa legge anti-gay.
Il segretario di Certi Diritti Yuri Guaiana, anche consigliere Radicale di Zona 2, ci spiega di avere incontrato comunque qualche resistenza da parte dei partiti milanesi di centrosinistra in maggioranza a Palazzo Marino; le perplessità sono cadute dopo che la campagna “Stop al gemellaggio!” è stata estesa anche al resto della cittadinanza e alle personalità del mondo dell’associazionismo, della cultura e dello spettacolo, e promossa tra gli altri da Amnesty International e dai lavoratori del Teatro dell’Elfo. “Ci siamo confrontati con alcune militanti russe e abbiamo deciso di chiedere la sospensione invece della revoca”, ci spiega Guaiana. “Pur mantenendo l’aspetto di denuncia, questo le avrebbe facilitate nel respingere l’accusa che l’omosessualità sia una degenerazione sponsorizzata dall’occidente per minare le fondamenta della società russa. Questa formulazione è apparsa più digeribile anche alla maggioranza e così è riuscita a passare”. Dopo il varo in prima lettura delle legge nazionale russa, Certi Diritti e Arcigay hanno organizzato il primo febbraio un sit-in di protesta nei pressi del consolato russo a Milano, e stavolta sono arrivate le adesioni di tutte le associazioni del Coordinamento Arcobaleno.
Oltre a Milano, anche la città di Venezia era gemellata con San Pietroburgo, almeno fino al 28 gennaio scorso, quando i due consiglieri di maggioranza Simone Venturini (Udc) e Camilla Seibezzi (lista civica In Comune) hanno portato nell’assemblea cittadina di Ca’ Farsetti una mozione simile a quella milanese, approvata poi all’unanimità. Venturini, venticinquenne capogruppo veneziano del partito cattolico che in parlamento non si è molto distinto per la sua vicinanza ai temi glbt, spiega così il suo impegno in questa iniziativa: “Posso essere contrario al matrimonio istituzionalizzato tra persone dello stesso sesso e però auspicare il riconoscimento di determinati diritti civili alle coppie omosessuali. Soprattutto spero in un mondo in cui non esistano discriminazioni o episodi di omofobia”.
Non è un vero e proprio gemellaggio, ma un accordo strategico di collaborazione in ambito per lo più turistico e culturale quello stipulato dal comune di Torino con la città di San Pietroburgo nel novembre scorso, sollevando le proteste del coordinamento cittadino glbt Torino Pride. “Quando abbiamo saputo che si stava preparando questo accordo erano state già approvate le leggi anti-gay russe regionali, per cui abbiamo espresso le nostre perplessità mandando un dossier agli assessorati alle pari opportunità e alle politiche sociali della giunta Fassino, col quale chiediamo la sospensione dell’accordo”, ci spiega il presidente di Certi Diritti Enzo Cucco, anche consigliere regionale Radicale in Piemonte. “Abbiamo avuto le firme di tutti i consiglieri e ora stiamo sollecitando il sindaco e il presidente del consiglio comunale a metterlo al più presto all’ordine del giorno per votarlo. Intanto, come Torino Pride, stiamo valutando altre iniziative di protesta nei confronti del governo di Mosca”.
Molte altre realtà glbt locali si sono attivate per sollecitare il ritiro della legge omofoba russa: l’11 febbraio sono scese in piazza le associazioni glbt palermitane, ricevute per l’occasione dal console russo a Palermo Vladimir Korotkov, mentre tutte le associazioni arcobaleno venete hanno indetto una mobilitazione a Verona per il 16 febbraio. E “dalla Russia”, riferisce Enzo Cucco, “arrivano voci di future prese di posizione molto dure del governo di Mosca verso le città italiane che in seguito a questa vicenda, ad esempio, hanno rifiutato prestigiose mostre d’arte offerte dal museo Ermitage di San Pietroburgo”.