Con la crisi che impazza, le sicurezze che avevamo fino a ieri si fanno sempre più friabili e abbiamo ragione di temere che anche l’anno appena iniziato, dopo il terribile 2012, ci porterà sorprese poco gradite. Le prospettive restano nere e il vortice di emergenza economica nel quale siamo finiti svia pietosamente l’attenzione dalle radici ben più preoccupanti di una crisi che nasce dalla mancanza di idee e di cultura, di valori civili e di speranza. In mezzo al pantano ci stanno ovviamente anche le persone glbt. Per giunta più esposte, in quanto cittadine di serie b, alle conseguenze negative del peggioramento delle condizioni di vita e di convivenza. Pure la già sparuta comunità glbt annaspa come una drag queen a fine serata, e barcollando sui tacchi ha perso per strada parecchie piume di struzzo. Non sono più gli anni Novanta o anche i Duemila in cui eravamo glamour e di tendenza. Adesso siamo coatti come gli altri, ma la diversità ha perso solo la sua patina luccicante, per il resto è rimasta tale. Mentre in molti altri paesi, europei e non, omo e transessuali hanno potuto negli ultimi vent’anni accedere ai benefici oltre che alla noia della normalità, in Italia stiamo sempre all’anno zero. Ce lo hanno testimoniato governi di centrosinistra e di centrodestra e infine, per non farci mancare niente, anche il governo dei tecnici gradito al Vaticano del professor Monti (che non per niente va a messa tutte le domeniche).
Nell’agenda Monti non ci sono i diritti dei singoli, delle coppie e delle famiglie glbt, né la legge sull’omofobia né i fondi per educare al rispetto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere propria e altrui nelle scuole. Di questi argomenti abbiamo sentito parlare abbastanza diffusamente solo nel centrosinistra e anche qui con il prevalere di un atteggiamento a dir poco prudente. Il candidato premier Pierluigi Bersani ha scelto il modello tedesco in tema di diritti glbt, ma la Merkel di sicuro è molto più frociarola. Comunque, nell’ipotesi non improbabile di un’alleanza postelettorale tra sinistra e centro, con il movimento di Grillo e i fantasmi del berlusconismo all’opposizione (e magari Monti al Quirinale), anche le parsimoniose aperture di Bersani sono destinate a rimanere un sogno. L’unica obiettiva speranza è che la sinistra vinca da sola e poi riesca a darci qualche parziale soddisfazione.
Qualunque cosa accada, tocca di registrare che il movimento glbt nel suo insieme non è nelle migliori condizioni per farsi valere. L’iniziativa politica e la creatività ristagnano, mentre le risorse diminuiscono e si è ridotta parallelamente l’importanza della comunità in senso stretto come portavoce delle istanze glbt. È finito il tempo in cui le associazioni glbt nominavano i propri rappresentanti in parlamento, mentre per quanto riguarda la società i diritti glbt sono più rumorosamente reclamati dai coming out nello star system che dalle campagne del movimento. Tocca prenderne atto, capire che i cambiamenti vanno affrontati e rimboccarsi le maniche o ritirarsi a vita privata. La soluzione è probabilmente anche qui, come un po’ dappertutto, facce ma soprattutto teste nuove.
A rinnovare almeno il parco facce hanno già pensato negli ultimi mesi alcune importanti associazioni, dal Circolo Mario Mieli di Roma al Movimento omosessuale sardo che hanno cambiato presidente dopo molti anni. E ci ha pensato più di recente anche Arcigay, che nel congresso di Ferrara, a fine novembre, ha eletto una nuova dirigenza e deciso di darsi un nuovo modello organizzativo. L’associazione torna a essere una federazione di circoli territoriali e ridimensiona il ruolo del presidente nazionale e della relativa struttura di supporto. Scelta realistica, a conti fatti, sia guardando ai magri bilanci presenti e futuri che ai risultati ottenuti e ottenibili. Ma anche ratifica di una realtà già consolidata, in cui i maggiori circoli territoriali, sia pure spesso a loro volta in crisi, hanno più risorse e capacità di interlocuzione politica di quante non ne abbia la struttura nazionale. Si chiude così un lungo ciclo all’insegna dell’accentramento, sperando di guadagnarne in agilità per misurarsi con i problemi esistenti. Crisi finanziaria e di iniziativa politica innanzitutto.
La situazione si è messa in moto malgrado noi, che siamo rimasti perlopiù a guardare paralizzati dal terrore, e continuerà a farlo sfidandoci a cercare qualche opportunità in un orizzonte per ora limitato alla pura privazione. Per sentirsi un po’ meno spodestati molti stanno riscoprendo l’interesse alla partecipazione. Questo non è un cattivo segnale, ma almeno altrettanti scelgono di estraniarsi cedendo allo sconforto. Abbiamo di fronte scadenze elettorali importanti in vista delle quali ci auguriamo che ritrovi voce anche il movimento glbt, o quanto meno le tematiche di cui si occupa.
La cosa certa è che bisogna inventarsi qualcosa per non finire nella totale irrilevanza di fronte ai soliti problemi più importanti. Il passato, con le sue dinamiche stantie ma più rassicuranti delle incertezze future, va seppellito. E con il vecchio che se ne va sbiadiscono stili di vita e identità che credevamo permanenti. Siamo costretti a ridefinirci e ricollocarci, a immaginare nuovi equilibri di cui non si vede l’ombra, a meno di non considerare tali l’aumento degli squilibri. Cercare nuovi inizi è l’unico compito plausibile, sperando soprattutto che se ne convincano le giovani generazioni che al momento appaiono ancora più spaventate e prive di bussola di quelle più mature. Riaccendere la speranza: noi strani su questo possiamo ancora fare la nostra parte.