Che cos’è, o cosa è stato, il pensiero queer? Si propone di illustrarlo finalmente facendo attenzione anche alla chiarezza Canone Inverso, un’antologia di testi inscrivibili nella teoria queer a cura di Elisa A.G. Arfini e Cristian Loiacono. Il titolo sbarazzino e saturo di doppi sensi esclude autoironicamente la pretesa di fissare capisaldi indiscutibili (canonici, appunto), ma c’è in ogni caso una sana intenzione didattica sia nell’introduzione che fornisce un inquadramento generale sul fenomeno queer che nella scelta degli autori, per quanto ristretta, orientata a proporre una varietà di punti di vista il più possibile ampia. Troviamo per esempio nel mazzo ideologhe riconosciute come Judith Butler o Eve Kosofsky Sedgwick o autori apparentemente più eccentrici come Samuel R. Delany, più noto come scrittore di fantascienza che come teorico queer. Per saperne di più abbiamo intervistato il co-curatore Cristian Loiacono.
In quale contesto nasce e a chi si rivolge questo libro?
Nasce da un gruppo di lavoro formato nel 2009 attorno a Marco Pustianaz e Liana Borghi che ha fondato la collana Altera edita da Ets Pisa. Il nostro libro è il sesto della serie e viene dopo Queer in Italia. Differenze in movimento, a cura di Marco Pustianaz, che ha interrogato diversi studiosi e/o attivisti su cos’è il queer nella loro pratica disciplinare e politica. Da questo confronto è nata l’intenzione di avere un’antologia di testi di studi queer tradotta in italiano.
Composta da soli autori stranieri…
Sì, tutti di area angloamericana. Questo lavoro si è dato precise coordinate geografiche e temporali – dalla fine degli anni Ottanta alla fine degli anni Duemila. Abbiamo escluso autori e autrici che solo retrospettivamente possono essere collegati alla queer theory e abbiamo incluso solo quelli che in qualche misura si sono riconosciuti nella definizione di queer. La selezione è stata violenta perché l’idea era di circoscrivere un campo, nel tentativo di rendere afferrabile un ambito di studi che spesso viene definito sfuggente, e non solo dai critici. Non pretendiamo di aver fornito uno strumento definitivo, ma vorremmo che questo testo fosse considerato di riferimento soprattutto dai non addetti ai lavori.
Sarebbe a dire, tornando alla questione del pubblico?
Persone che non leggono agevolmente testi in inglese e che magari si sono sentite più o meno toccate da questo termine e vorrebbero avere le idee più chiare sulla sua portata culturale e politica. Innanzitutto nell’ambito glbt. Ricordiamo che all’acronimo si è aggiunta la q, che non è un’altra specifica identità ma l’elemento che sollecita le altre. Queer è il vero termine complementare di straight: straight significa diritto, regolare, mentre queer storto o sbagliato.
Con quali altri criteri avete scelto gli autori?
Ci siamo limitati a dieci nomi, perché volevamo testi integri e completi e abbiamo scelto una prospettiva transdisciplinare. C’è lo scrittore di fantascienza, la filosofa, l’attivista politico esperto di media e cultura pop, il critico letterario. E ci sono autori più a loro agio con gli strumenti della psicanalisi. Una varietà di punti di vista sulla condizione delle sessualità nel panorama contemporaneo. Perché non dobbiamo dimenticare che l’oggetto originario degli studi studi queer, come di quelli gaylesbici è la sessualità.
Un’altra intenzione che emerge dai testi è quella di descrivere il pensiero queer non solo nel suo aspetto teorico, ma anche nei suoi legami con la pratica politica…
Questa per qualche giovane potrebbe essere una scoperta. Partendo dall’inizio, a fine anni Ottanta, il queer ha un referente teorico accademico ma anche uno extrateorico che si va a formare proprio nello stesso periodo. Non a caso iniziamo con un testo sull’Aids. Perché l’Aids negli Usa generò una nuova forma di attivismo politico glbt che scompaginava la distinzione anni Settanta tra chi sta dentro e chi è fuori dalle istituzioni. Il queer si trovava dentro e fuori per via delle implicazioni legate alla lotta all’Aids, come illustrano esperienze come Act Up o Queer Nation. Non è vero quindi che la teoria queer si sviluppa solo nei dipartimenti universitari. E quando accade è una lettura critica della sacra alleanza conservatrice che si era creata in quegli anni in America tra familismo, omofobia, religione e razzismo. Fenomeni che toccano oggi anche l’Europa e l’Italia.
Il queer però in Italia è piuttosto marginale, non credi?
Non so se è il termine adatto. Sicuramente non è il mainstream del discorso pubblico gay e lesbico. Per quel poco o tanto che ha potuto incidere ha dichiarato la propria insoddisfazione rispetto all’agenda ufficiale del movimento gay e lesbico. Rifiutando il modello lobbistico a favore dell’intersezione delle lotte sul piano della sessualità con altri piani del conflitto sociale, quello economico innanzitutto. E poi in una società che si va diversificando come quella italiana l’idea era quella di non appiattire l’agenda politica sull’unico tema del riconoscimento delle coppie. Senza ovviamente trascurarlo.
Nell’introduzione scrivete che il queer è finito. Cosa c’è dopo?
Scriviamo che è finito perché ha fatto il suo tempo e prodotto degli effetti che oggi fanno parte di un patrimonio culturale più generale. Se poi vogliamo parlare di post queer alludiamo anche a una maturazione rispetto alle istanze radicalmente anti-identitarie del primo queer. L’idea che le identità vadano semplicemente dissolte non fa più parte dell’armamentario teorico.
Il tema della sessualità si incrocia invece con altri ambiti, per esempio la razza o la religione, e ci porta a considerare ciascuna singolarità come attraversata da diversi piani nessuno dei quali da solo la spiega al cento per cento. Quando si identifica qualcuno come gay o musulmano lo si appiattisce. Questo non ci piace.