Che dentro la maggiore associazione del movimento glbt italiano tirasse una brutta aria non è una novità. Ma man mano che ci si avvicina all’ormai prossimo congresso nazionale, che si svolgerà a Ferrara dal 23 al 25 novembre, tensioni e lacerazioni crescono a ritmo accelerato e non lasciano presagire niente di buono circa gli esiti dell’appuntamento congressuale. A Ferrara Arcigay arriva spaccata in due sul piano politico e in non si sa quanti pezzi per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, la gestione quotidiana, il rapporto tra la struttura nazionale, i circoli territoriali e le associazioni ricreative affiliate. Sul campo si affronteranno due mozioni e due proposte di leadership alternative che malgrado la somiglianza dei titoli (“Uguaglianza e Libertà” e “Liberiamo l’eguaglianza”) sembrano in guerra ormai su tutto o quasi. Ne parliamo perché ormai la “lotta fratricida”, come l’ha definita il titolo di un recente articolo apparso su Il Fatto Quotidiano, è uscita dalla nicchia dei media di settore. Senza nessun compiacimento per il progressivo deteriorarsi della situazione e con la fioca speranza che una descrizione di quello che filtra all’esterno possa essere minimamente utile a qualche riflessione ri-costruttiva.
Ancora una volta le maggiori divergenze non riguardano grandi questioni di merito per la semplice ragione che la lista delle rivendicazioni sul riconoscimento dei diritti delle persone glbt è sempre lì, più o meno tutto da realizzare, ed è per fortuna ampiamente condiviso dentro Arcigay come dalla gran parte delle altre associazioni che compongono il nostro movimento in Italia. Questo è senz’altro un punto positivo e può sempre rappresentare una bussola per uscire dai pantani in cui siamo finiti rispecchiando le dinamiche regressive dello sciagurato paese in cui viviamo. Lo scontro interno ad Arcigay avviene piuttosto sulle (e tra) le persone, sui metodi da seguire per raggiungere gli obbiettivi e sulle relazioni con il mondo esterno. In particolare con una società politica (partiti ma anche movimenti) in crisi d’identità e sempre più spesso svuotata di contenuti.
La mozione “Uguaglianza e libertà – Una comunità per i Diritti cambia il futuro” è collegata alla candidatura di Flavio Romani come presidente e di Michele Breveglieri come segretario nazionale. L’hanno sottoscritta, tra gli altri, rappresentanti dei circoli di molte grandi città (Roma, Torino, Napoli, Bologna, Bari, Genova) e nell’elenco figurano nomi pesanti come quelli degli ex presidenti nazionali Franco Grillini e Sergio Lo Giudice. Romani e Breveglieri, nella lettera di presentazione del testo, affermano che “da alcuni anni (…) la capacità di Arcigay di rispondere alle sfide dei cambiamenti è apparsa più debole. (…) Le forti conflittualità interne hanno sottratto energie all’azione politica e prodotto un calo di motivazioni di iscritti e dirigenti minando la nostra capacità di incidere nello scenario politico e nelle decisioni stesse del movimento lgbt”. E Grillini, in una dichiarazione riportata da il Fatto la mette giù in modo ancora più duro: “Negli ultimi anni abbiamo assistito a una gestione personalistica, leaderistica ed egocentrica. Una gestione che, ovviamente, la maggioranza degli iscritti non condivide”.
Non si fatica a capire che il principale bersaglio di questi strali è l’attuale presidente nazionale Paolo Patanè che si ripropone in tandem con Paolo Ferigo, candidato al ruolo di segretario nazionale, con la mozione “Liberiamo l’eguaglianza” (alla quale hanno aderito esponenti di circoli importanti come Milano e Catania e di numerosi altri più piccoli) Patanè risponde alle critiche in modo non meno polemico. In un commento postato sul sito dell’associazione, spiega che “Arcigay deve difendere assolutamente da tentativi di ‘restaurazione’ la conquista culturale di questi anni: il contrasto al collateralismo ai partiti e la tutela della prassi e dell’agenda politica dell’associazione”. E prosegue dicendo “giù le mani da Arcigay” non solo ai partiti “ma più esattamente a quei signori lgbt in Arcigay, e sparsi con ruoli altisonanti nei partiti, che cercano di riprendersi Arcigay per le loro candidature con i loro partiti. Arcigay è dei soci: non è il vostro trampolino di lancio. Perché non lo cercate altrove?”.
La ricetta proposta dai sostenitori di un cambio di leadership, per sommi capi, punta a una maggiore collegialità e a ripensare la struttura associativa attraverso una fase di transizione che dovrebbe concludersi con un nuovo congresso. Quella della presidenza in carica si schiera sulla difesa a oltranza dell’autonomia politica dell’associazione e indica come “unica prospettiva di successo quella che non guarda a interessi ma chiede diritti”.
Questa contrapposizione che almeno nella fase precongressuale appare insanabile assorbe energie preziose e fa venire al pettine nodi di non facile soluzione. Una realtà fondamentale nella storia di Arcigay come il Cassero di Bologna ventila addirittura la scissione se le cose non cambieranno, mentre la gran parte dei circoli ricreativi (bar, saune e discoteche) si sta già di fatto separando dall’associazione per confluire in un’altra che si chiama Andos (Associazione Nazionale contro la Discriminazione per l’Orientamento Sessuale) e distribuisce nei locali le tessere di un nuovo circuito (One Pass Clubs) alternativo al circuito Uno Card di Arcigay. In ballo ci sono i soldi che chi va nei locali versa per l’iscrizione e il numero degli iscritti che perlopiù, ormai da molti anni, acquistavano la tessera Arcigay per poter accedere al circuito ricreativo. Chi dovesse vincere al congresso rischia così di ritrovarsi in mano un’organizzazione molto ridimensionata nel numero dei soci e nella quantità di risorse disponibili. C’è comunque anche chi non teme questa eventualità e la considera un’occasione per riportare Arcigay alla vocazione “originaria” di gruppo militante basato esclusivamente sul volontariato. Un altro rischio piuttosto concreto è che lo stesso congresso nazionale si concluda con una scissione delle due anime dell’associazione, soprattutto nel caso in cui i numeri non fornissero una maggioranza sufficientemente solida. E se questa si realizzasse sarebbe davvero la fine di un’epoca. Le nostre battaglie continueranno comunque, ma Arcigay non ne sarebbe più la protagonista come è avvenuto da oltre un quarto di secolo a questa parte. Di fronte alla prospettiva del disastro fermarsi a metà strada, anziché correre nel baratro ciascuno per la propria, sarebbe già un successo.