Pubblicato in Sudafrica nel 2006 (l’anno in cui questo paese, unico in tutto il continente africano, votava una legge che rende possibile il matrimonio tra persone dello stesso sesso), e già tradotto in varie lingue, approda in Italia Moffie, romanzo di André Carl van der Merwe sulla formazione di un giovane gay sudafricano in un periodo di guerre e di apartheid in cui l’omosessualità era una pratica ancora condannata dalla legge (Moffie. Un gay in guerra nel Sudafrica dell’apartheid, traduzione di Valentina Iacopini, Iacobelli editore, Roma 2012, pp. 286, euro 16,00).
La storia è ambientata nel 1980, quando il protagonista, Nicholas van der Swart, un giovane afrikaner diciannovenne (proiezione autobiografica dell’autore) è arruolato nell’esercito per combattere lungo il confine tra Namibia e Angola contro gli indipendentisti dei due paesi: “Mi hanno scaraventato all’inferno; trascinato nell’esercito, in questo macello che è la loro guerra al confine, come un animale da scannare e senza alcun potere sul mio destino; costretto a uccidere persone che non conosco, per una causa in cui non credo”.
Agli orrori del servizio militare e della guerra, descritti con raccapricciante realismo, il romanzo alterna ricordi della vita familiare. A volte dolci come quello di Sophie, la governante nera dal “soffice senone” che gli dava sicurezza e protezione, o quello che porta “cucito addosso” del fratello morto giovanissimo in un incidente. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza sono però più spesso violenti e caratterizzati dal rapporto conflittuale con il padre, figura conformista e rigida, sempre corazzato dietro il “modo in cui ci si comporta”, che vive nel terrore che suo figlio possa essere un moffie, termine afrikans per indicare con disprezzo un omosessuale. “Se scopro che sei una checca, con me hai chiuso”, gli ha detto una volta suo padre. E Nicholas, ancora bambino, si chiede: “Cosa vuol dire con ‘sarebbe davvero la fine?’. Non mi azzardo nemmeno a chiederlo. Sto camminando sul filo di una lama e la mia unica difesa contro la catastrofe sta nell’abilità che ho di dissimulare”.
Tuttavia, anche se si sforza di mantenere con cura il suo segreto, Nicholas non riesce a contenere una natura anarchica e ribelle che affiora nei momenti più impensati suscitando l’ira violenta del padre-padrone. “Frocio, recchione, moffie, effeminato, omosessuale, checca, finocchio, trassie: quanto mi spaventano queste parole. Il terrore di essere scoperto mi ossessiona. L’essere omosessuale autorizza subito gli altri a perseguitarti. Se salta fuori, sono finito”.
L’ossessione di nascondere la verità che accompagna la crescita di Nicholas, consapevole di essere gay dall’età di nove anni, diventa ancora più forte quando è catapultato nell’esercito, dove il machismo con i suoi stupidi rituali fatti di violenza e di sopraffazione sembra essere un valore assoluto e l’essere sospettati di essere un moffie è un marchio infamante che può indurre al suicidio come succede all’amico Dylan. Nicholas e Dylan sono stati vicinissimi, spesso sul punto di confessarsi l’uno con l’altro o di fare sesso, ma non ne hanno avuto mai il coraggio e una sorta di “frustrante incompiutezza” accompagnerà il ricordo di Dylan per tutta la vita.
Eppure è proprio nel corso delle esperienze più traumatiche della vita militare – le atrocità dell’unità speciale della polizia sudafricana per le attività antiterrorismo, i momenti drammatici in cui “si ammazza o si muore”, gli orrori del ‘Reparto 22’ dove vengono mandati i gay e quanti vengono considerati sovversivi o non omologati – che Nicholas sente “il prurito di una sfacciata indipendenza”. Così la storia delle umiliazioni di un omosessuale impaurito che si vergogna di se stesso, cresciuto con la paura di essere una creatura di Satana e condannato a bruciare all’inferno, si trasforma in una lotta epica di liberazione.
Lo aiutano a guardare il futuro da un’altra prospettiva la bella e disinteressata amicizia di Malcolm, gay più spregiudicato e consapevole di sé, l’amore per Ethan e la determinazione a rivelarsi con lui, il sacrificio di Dylan, l’umiliazione di due giovani soldati scoperti mentre si baciavano. Da un certo punto in poi Nicholas comincia così a non vergognarsi più di essere un moffie e ad avere la consapevolezza di appartenere, anche per l’abitudine a vivere di sotterfugi e a nascondere i propri sentimenti, alla minoranza più perseguitata del suo paese, più perseguitata anche dei neri (“Almeno non è illegale essere nero!”). Nemmeno il padre gli fa più paura, non ha più bisogno della sua approvazione. Si tratta piuttosto di analizzare i danni che il genitore e quelli delle generazioni precedenti hanno fatto teorizzando l’apartheid e appoggiando governi che si sono macchiati di crimini inenarrabili.
Il libro rielabora appunti che l’autore ha scritto nel corso dei due anni trascorsi nell’esercito sudafricano, intrecciati a personaggi ed episodi di invenzione letteraria, e ha la forza di una delle più drammatiche testimonianze della storia della repressione dell’omosessualità e insieme la bellezza esaltante di un epico processo di liberazione. Una lettura che affascina e commuove non solo i lettori gay di ogni latitudine, ma quanti credono nella possibilità di un mondo in cui nessuno sarà più costretto a vivere nell’ipocrisia e nella negazione di sé.