Fa male, a noi che abbiamo il cuore tenero, visitare questa città affascinante – con uno dei quartieri Art Nouveau più belli del mondo e un nucleo medievale che sembra uscito da una fiaba nordica – sapendo quanto ostica e accidentata si sia finora rivelata la strada verso la parità dei diritti del popolo glbt. Riga oggi è la più grande e dinamica delle tre capitali baltiche – più di 700mila abitanti, quasi un terzo della popolazione dell’intero paese (2.267.000 abitanti) – e la Lettonia prima della seconda guerra mondiale era fra gli stati economicamente più avanzati dell’Europa Centrale, insieme a Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria. Però tutto ciò non è stato sufficiente a farla rientrare, dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica di cui è stata parte fino al 1989, nel consesso europeo – per quanto concerne le libertà civili, in primis quelle sessuali – con la stessa velocità con cui è avvenuta la sua integrazione politica ed economica.
I rapporti omosessuali tra maggiorenni consenzienti in Lettonia sono stati depenalizzati soltanto nel 1992, e a tutt’oggi questo paese non solo non conosce i diritti dei vicini paesi scandinavi, ma “non possiede nemmeno quel clima di diffusa tolleranza che si respira nella vicina Estonia, con cui la Lettonia ha condiviso quasi la stessa storia politica nel secolo scorso”. Lo dice chiaro Kaspars Zalitis, giovane esponente di Mozaika (www.mozaika.lv), l’organizzazione che in Lettonia si batte per migliorare la situazione del popolo glbt. Subito però si affretta ad aggiungere che “a Riga la situazione non è così pesante come a Vilnius”, la capitale della Lituania, dove un ruolo ahinoi importante su questi temi viene giocato dalla predominante chiesa cattolica. La Lettonia invece dal punto di vista religioso presenta una ‘maggioranza relativa’ luterana (24%) e consistenti minoranze cattolica (18%) e ortodossa orientale (15%), mentre il resto è distribuito fra diverse confessioni minori e una grossa fetta di non credenti, probabile retaggio dell’epoca sovietica. Un patchwork che rende un po’ meno opprimente il clima generale.
Avevo scritto a Mozaika mentre ero in viaggio nel Baltico del Nord, senza però ricevere risposta. Poi, all’improvviso, mentre stavo passeggiando per la città vecchia di Riga, è squillato il cellulare e una giovane voce maschile mi ha detto che avrebbe potuto incontrarmi il giorno seguente. All’ora fissata ci troviamo nel mio albergo, ci accomodiamo a un tavolo del caffè e iniziamo la nostra chiacchierata. Kaspars Zalitis – un ragazzo di bell’aspetto, biondo come si addice a queste latitudini, sui 25 anni – in generale è rilassato e parla volentieri di tutto, anche se noto che, appena il cameriere si avvicina o passa nelle vicinanze, tende ad abbassare la voce. La conversazione si svolge in russo, e il russo a Riga lo capiscono e lo parlano praticamente tutti. Allora comincio proprio da qui, dai rapporti con i russi, che in Lettonia costituiscono una minoranza molto corposa, quasi il 27% della popolazione totale. Kaspars sostiene che i conflitti tra russi e lettoni sono più gonfiati per motivi politici che reali. In genere la convivenza è tranquilla, anche se la presenza russa, almeno a Riga, è altissima, e per le strade si sente parlare quasi più russo che lettone. Nell’organizzazione glbt, Mozaika, per esempio, “ci sono russi e lettoni, e non si registrano screzi di alcun genere”. Nel febbraio del 2012 la popolazione lettone è stata chiamata alle urne per decidere se adottare il russo come lingua ufficiale accanto al lettone, ma la maggioranza dei votanti (con un’affluenza del 69%) ha respinto la proposta del comitato referendario. E così il lettone rimane l’unico idioma ufficiale della Lettonia, mentre il russo resta una lingua straniera, benché sia parlata da più di 650mila persone, di cui quasi la metà, pur residenti, non sono ritenuti cittadini lettoni. Infatti, dopo l’ingresso nell’Unione Europea nel 2004, la cittadinanza lettone è stata concessa solo ai russi che potevano dimostrare di essere affluiti nel paese prima del 1945, mentre a quelli arrivati dopo, per poterla ottenere, sono richiesti esami di lingua, storia e attaccamento ai valori nazionali. Molti hanno deciso di affrontare questi esami e ora sono in possesso di un normale passaporto lettone, ma molti altri, o perché troppo anziani o perché contrari a questa procedura per motivi di principio, hanno deciso di non sottoporsi all’esame. Hanno ricevuto perciò un passaporto speciale con la scritta “Nepilsona pase / Alien’s passport”: Sono residenti lettoni ma non cittadini, possono muoversi liberamente nell’Unione Europea ma non lavorarvi.
Un altro tema spinoso è quello dei diritti del popolo glbt. Kaspars ripercorre con noi la storia di questa manciata di anni, a partire dalla prima uscita pubblica da parte di un embrione di movimento glbt con il gay pride organizzato nel 2005, appena un anno dopo l’entrata della Lettonia in Europa. “Quel primo pride è stato un disastro” dice, senza riuscire a trattenere un risolino divertito. “Eravamo 70 in corteo e contro di noi c’era una manifestazione di 3000 persone!… Dopo quella tragica esperienza abbiamo creato Mozaika, essendo ormai chiaro che il lavoro più urgente da fare era sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche far prendere coscienza agli stessi omosessuali”. Mozaika conta oggi poco più di 150 membri e si occupa soprattutto di sostenere psicologicamente gay in difficoltà attraverso un telefono arcobaleno, di rafforzare la loro identità tramite incontri, dibattiti e una biblioteca con libri e film a disposizione di tutti. Ma le due attività forse più importanti sono un’azione educativa verso le forze di polizia, attraverso seminari ufficiali, e una serata speciale organizzata una volta al mese presso il gay club Golden per “svezzare” e far socializzare fra loro giovani gay – “rigorosamente al di sopra dei 18 anni”, ci tiene a sottolineare Kaspars. La serata è stata chiamata in russo “Zolotoy shkaf” (Armadio dorato), perché anche in russo e in altre lingue slave “uscire dall’armadio” significa “uscire fuori”, “fare coming out”. “Certo, sono battaglie di piccolo cabotaggio”, sembra giustificarsi Kaspars, “però la Lettonia in questo campo ha bisogno proprio di questo, di costruire tutto dalle fondamenta”.
A Riga si ritenta il gay pride nel 2006, ma non va molto meglio dell’anno precedente, e nel 2007 e 2008 Mozaika decide di partecipare al pride organizzato a Tallinn, in Estonia, dove in generale si respira un’aria di maggiore tolleranza. “A Riga abbiamo provato a riorganizzare un pride da soli nel 2009, registrando un piccolo ma significativo progresso” continua Kaspars. “Stavolta i partecipanti al corteo erano saliti a 600 mentre i contromanifestanti erano scesi a 2000. Non solo: per la prima volta non si sono verificati più incidenti di sorta, un po’ perché stavolta eravamo superprotetti dalla polizia e un po’ perché avevamo scelto di tenere un profilo sobrio”. Gli chiedo che genere di incidenti si erano verificati in precedenza: “Niente violenza fisica, questo no… venivamo aspersi di acqua santa e fatti oggetto di lanci di uova e di… escrementi…”. Chi erano i contromanifestanti, naziskin? – chiedo. “No, no, assolutamente… difensori della moralità e dei valori della famiglia tradizionale e cose del genere, appartenenti a organizzazioni che si chiamano New Generation (www.ng.lv) e No Pride (www.nopride.lv)”. Russi o lettoni? “Nessuna differenza – bisogna dire che le due nazionalità vanno a braccetto nell’odio verso i gay”.
Date le difficoltà di organizzare gay pride separati, soprattutto nei paesi più problematici come la Lettonia e la Lituania, i movimenti glbt delle tre repubbliche baltiche decidono di unire le forze e indire un Baltic Pride ogni anno in una sola capitale a rotazione: nel 2010 si è tenuto a Vilnius, nel 2011 a Tallinn, e quest’anno, nel 2012, di nuovo a Riga, dal 30 maggio al 2 giugno (www.balticpride.eu). La manifestazione di quest’anno era articolata in una rassegna cinematografica, una mostra fotografica, seminari e dibattiti, ed è stata conclusa da un corteo finale nel centro di Riga, il tutto con contorno di party pre- e post-parade in club e discoteche, mentre la popolarissima cantante russa Lena Katina (che con Julija Volkova forma il duo t.A.T.u. che qualche anno fa furoreggiò con una canzone e un videoclip apertamente lesbico e in generale non si perita di toccare il tema glbt nei loro pezzi) ha registrato su You Tube un simpatico saluto di incoraggiamento e sostegno al Baltic Pride (www.youtube.com/watch?v=Py73yz_CHv8). Rispetto alle disgraziate prove del passato, questo pride ha rappresentato per la Lettonia un vero punto di svolta. Alla manifestazione hanno partecipato 500-600 ‘orgogliosi’ provenienti dalle tre repubbliche baltiche, ma con rinforzi anche da altri paesi europei dell’area e con una significativa presenza di “fratelli” e “sorelle” russi, dimostrando ulteriormente, se ce n’era bisogno, che i legami storici con il potente vicino sono ben ramificati e si manifestano in ogni campo. Stavolta i contromanifestanti erano solo qualche decina e si sono limitati a indossare maschere da porcellini, fare gestacci osceni, urlare e issare cartelli con scritte del tenore: “La Lettonia si sta estinguendo”. Proprio su questa paura, infatti – di vedere scomparire la propria etnia e la propria lingua – fanno leva le forze che sfruttano politicamente questo genere di eventi, facendo credere che, se il paese è in una fase di crescita naturale negativa e se la Lettonia (ma lo stesso vale per l’Estonia e la Lituania) rischia di scomparire dalla carta geografica del mondo dipende solo dall’invasione dei russi e dalla diffusione dell’omosessualità, i cui movimenti sarebbero finanziati e sostenuti da perfide potenze straniere interessate a spazzare via la popolazione autoctona. Non sono stati solo i numerosi osservatori di Amnesty International e le forze di polizia bene organizzate e ben disposte verso il pride a scoraggiare qualsiasi tipo di protesta troppo aggressiva. Stavolta si è verificato qualcosa di nuovo anche a livello di macropolitica. Alla cerimonia di apertura del pride, infatti, erano presenti anche il ministro per il Welfare della Lettonia, la signora Ilze Vinkele, e il sindaco di Riga Nils Ušakov, mentre l’ambasciatrice degli Usa in Lettonia Judith G. Garber si è fatta vedere e ha preso la parola in alcuni eventi. Insomma, complessivamente, un bilancio più che positivo, finalmente, per il movimento glbt lettone.
Anche al turista gay non mosso da urgenze politiche ma che desideri semplicemente visitare e godersi la città, Riga offre una scena gay non molto estesa ma piacevole e vivace. Il più antico locale gay della città, il Purvs, dopo aver resistito per 15 anni, ha purtroppo chiuso qualche mese fa. Il testimone è stato raccolto dall’XXL (www.xxl.lv), in Kalnina iela, non lontano dalla stazione ferroviaria, dove occupa un edificio Art Nouveau che ospita un albergo, una sauna e una discoteca. Sull’XXL girano commenti negativi sulle pagine online di “In Your Pocket Riga”, in cui ci si lamenta che il personale è scortese, che fanno prezzi più alti agli stranieri e cose simili. Io sono stato in sauna e non ho notato nulla di strano, ho pagato 10 Lat di ingresso (circa 14 euro; però confesso di non sapere quanto paghino i locali), l’inserviente era cordiale e la sauna grande e fornita di quasi tutto (vapore, jacuzzi – non funzionante quel giorno – finlandese, camerini per il relax, bar). Inoltre, se si è clienti dell’hotel XXL (peraltro l’unico apertamente gay di Riga) si ha diritto a entrare gratis in sauna e nel club-discoteca, che è aperto solo la sera. L’altro locale di Riga, il Golden Club (www.mygoldenclub.com), è distante una quindicina di minuti a piedi da qui, ha una grande insegna su strada e un ambiente piuttosto curato. Il gestore mi dice che loro preferiscono rivolgersi a persone più arrivate, per età e mezzi economici, e non a caso è un po’ più caro dell’XXL. Il Golden è aperto il mercoledì e il giovedì come bar dalle 13 alle 23, mentre il venerdì e il sabato funziona come discoteca dalle 23 alle 5. “Abbiamo dovuto ridurre i giorni di apertura” ci spiega “perché non c’erano abbastanza clienti. Il nostro è un piccolo paese, e per di più molti lettoni – fra cui tanti gay – dopo l’entrata del paese nell’area Schengen sono emigrati per ragioni economiche in Germania, Scandinavia, Gran Bretagna…”.
Chiedo a Kaspars dove si incontrino, a parte la sauna e i club, i gay lettoni per conoscersi o fare sesso. Non ci sono cessi pubblici, parchi? “No, non ci sono più da tempo, scomparsi con la fine dell’era sovietica”. Non faccio fatica a credergli, la stessa cosa è successa in tutti i paesi ex comunisti. L’affermarsi di una scena commerciale sembra andare di pari passo con la progressiva “estinzione” dei vecchi posti di battuage nei luoghi pubblici. “D’estate ci sono due spiagge non lontano da Riga, raggiungibili anche in autobus, ma d’inverno, per tutti i giorni, e a poco prezzo, restano solo le videosale erotiche”. Così scopro che là vicino, nella stessa via dell’XXL (e del mio albergo), ci sono il Kupidons e il Labi, due sex shop che hanno salette in cui proiettano video porno e in cui etero (o sedicenti tali) e gay possono “socializzare” e conoscersi anche in senso biblico. Mi si drizzano le orecchie: “Ecco l’anello mancante”, penso trionfante. E, sebbene manchino poche ore alla mia partenza, sono determinato ad approfondire l’argomento, anche perché mi intrigano i sedicenti etero, che non trovi certo nelle saune e nei bar gay. Saluto Kaspars, vado a pranzo nel bel wine bar Garage, un locale molto “cool”, e visibilmente gay friendly, nell’area dei Berga Bazars, un labirinto di antichi mercati e grandi magazzini oggi recuperato come immenso shopping mall, pieno di negozi, ristoranti, locali e hotel. Faccio ancora un giro di visita nella bella città vecchia e nel quartiere Art Nouveau per cui Riga è giustamente famosa, e finalmente dirigo i miei passi verso il sex shop Kupidons. Non fidatevi dell’aspetto esteriore scalcinato e cadente: è l’antico vezzo dei paesi socialisti – l’esterno è dello Stato, pubblico, mentre gli interni sono privati. Perciò gli esterni sono sempre malmessi, mentre gli interni in genere sono curati, lindi e scintillanti. Questo riguarda tanto le case quanto i negozi, e il Kupidons non fa eccezione. Dentro, un vasto minimarket fornitissimo di ogni bendidio erotico, dalla lingerie agli afrodisiaci, dai dvd agli stimolatori di ogni forma e misura. È deserto. Chiedo a che ora chiude, e la cassiera, un’affabile signora con un aspetto da massaia della porta accanto, mi dice: “Fra un’ora…” Ci rifletto un secondo e decido di entrare ugualmente. All’interno, due stanze con 6 e 8 posti ciascuna, si notano qua e là sul pavimento fogli di carta appallottolata: testimoni muti e sgualciti dei solitari (o anche no) orgasmi della giornata trascorsa. Peccato essere arrivato così tardi, ne devono essere successe delle belle qui, oggi! Dopo una mezz’ora, con la certezza che ormai non verrà più nessuno, esco. Chiedo alla cassiera se ci sono altri posti simili a Riga, e mi dice che di Kupidons ce ne sono altri due, fra cui uno con 8 salette che funziona 24 ore su 24. Mi faccio scrivere su un foglietto l’indirizzo del sito (www.kupidonsplus.lv) che più tardi mi riprometto di esplorare. La saluto colmo di riconoscenza e vado via. È vero che non ho combinato niente, ma quest’ultima chiacchierata mi ha almeno fornito indicazioni preziose sul fatto che la vita di relazione omosessuale a Riga non si limita a due club, una sauna e una manciata di luoghi gay friendly (gli hotel Radisson Blu, Bergs e Valdemars; i ristoranti Osiris, Garage e Dorian Gray), ma esiste tutto un mondo parallelo oscuro e segreto, una terra di nessuno al confine fra mondo etero e mondo gay, dove probabilmente avvengono interscambi e attraversamenti proibiti. Prima del fatidico 1989 – ai tempi, e nei paesi, sovietici – c’erano i cessi delle stazioni, i parchi, le “bani’” mentre oggi questi luoghi sono stati ‘ripuliti’ dal nuovo ordine (commerciale) occidentale. Quella terra di frontiera non poteva scomparire del tutto, e se in molti paesi occidentali si era reinsediata nelle sale cinematografiche riconvertite da una precedente crisi in cinema a luci rosse (ormai, ahimè, anche questi in via di estinzione), nella Nuova Europa sembra aver colonizzato le salette di proiezione annesse ai sex shop, ideali allo scopo perché non immediatamente connotate in senso gay e anche perché relativamente meno costose, e meno “compromettenti’” rispetto a club e saune gay.
Folgorato da questa intuizione, nonostante la stanchezza, decido di fare un ultimo sforzo e andare a esplorare, due isolati più in là, un altro di questi luoghi Il Labi (www.labi.tev.lv), annidato in fondo a un cortile scalcinato e cadente in stile pietroburghese. E qui finalmente la mia personale ricerca sarà premiata dall’intenso incontro con un tipo niente male sui 35 anni. Eccolo il ventre oscuro di Riga, scoperto poche ore prima che il mio aereo riparta verso casa. Vado via, ma mi riprometto di tornare a esplorare questi bassifondi della sorprendente Riga medievale e Art Nouveau, queste isole misteriose sottocosta non segnate su nessun portolano. Parola di gayscout!