Ha raggiunto la notorietà recitando la parte di un personaggio gay in una fiction televisiva su Raiuno. E per un certo periodo, come ci ha spiegato, ha anche pensato di essere omosessuale anche nella realtà. Con il tempo però si è convinta che la sua vera identità era un’altra. E di recente ha deciso di fare il grande salto diventando Vittoria. La notizia ha creato una certa curiosità, ma senza creare finalmente nessuno scandalo. Ne abbiamo parlato con la diretta interessata.
Vittoria, raccontaci un po’ della tua carriera.
Sono di Pomigliano, vicino a Napoli. Ho iniziato – ma in realtà farei meglio a parlare in terza persona di Giuseppe – a lavorare nella moda, ma chi mi ha sdoganato nelle case di tanti italiani è stata la fiction televisiva per Rai1 Mio figlio, con Lando Buzzanca, vista nel 2005 da oltre 10 milioni di spettatori. Buzzanca è il commissario Vivaldi che, dopo avere scoperto che il figlio è gay, lo accetta attraverso Damien, il suo fidanzato (ossia io), vedendo nei suoi occhi un amore puro e sincero. Per questo, e per il sequel della fiction, ho vinto due premi: come migliore attore esordiente e come attore rivelazione. Poi ho girato un film con Carmen Maura, Dentro ai miei occhi, e Canepazzo, diretto da David Petrucci, ora in postproduzione.
Qual è il tuo passato sentimentale?
Ho iniziato come etero, anche perché la società ti indirizza verso quello, e attorno ai 18 anni ho avuto una fidanzata per qualche tempo. Già allora avevo tanta curiosità verso il sesso maschile, ma pensavo fosse una cosa del momento e perciò non vi ho dato tanta importanza. Poi però ho capito di essere attratto dagli uomini anche mentalmente, non era una cosa solo sessuale ma più ampia, che passa per il cervello. E così ho accettato la mia omosessualità con rilassatezza: sono stato per sei anni con un compagno che ho amato moltissimo.
Anche allora c’era comunque qualcosa che non capivo pienamente: in troppi momenti sentivo una parte femminile presente in me, a cominciare dal fatto che davo per scontato che nella coppia il mio compagno fosse l’uomo. Per svariati anni mi sono limitato a vivere la mia femminilità attraverso mia sorella o le amiche ma ogni giorno che passava tante cose mi portavano in quella direzione, che mi spaventava un po’. Alla fine poi è arrivata la verità, perché se anche tenti di respingere la tua vera natura, prima o poi si presenta inarrestabile. Non ho potuto farne a meno, anche se è stato difficile, era un mondo che non conoscevo ed ero il primo ad avere dei pregiudizi. Inoltre, ero già grande, con un lavoro avviato e non era certo facile mettere in gioco tutto, cominciando quasi da zero, sia pure partendo dall’eredità lasciatami da Giuseppe.
È vero che la molla è scattata sul set di Canepazzo?
Sì. Prima avevo sempre avuto ruoli da bellino, da fidanzatino. Qui è stato diverso, molto interessante da un punto di vista professionale: sono un giornalista così ossessionato da un serial killer da cadere in un buco nero, in un punto di non ritorno. Dal punto di vista emotivo è stato un grosso lavoro entrare nel personaggio, anche sul piano fisico: ero magro e con le occhiaie, un qualcosa di molto lontano dal mio io. Per me è stato il traguardo finale di un lavoro di mascolinizzazione che portavo avanti da una vita. Quando mi sono guardato allo specchio, non mi sono riconosciuto e mi sono chiesto: “Tutta la vita sarà così?”. Allora sono entrato in crisi: non mangiavo, non dormivo, non parlavo con nessuno, neanche con me stesso (però avevo dentro una voce che mi tormentava), insomma rifiutavo tutto, a cominciare ovviamente da Giuseppe stesso. Ma a un certo punto non ho potuto fare a meno di reagire e ne ho parlato con degli amici e dei medici.
Che ti ha detto il medico?
Le analisi cliniche hanno dimostrato che prima stavo andando contronatura e che ora avevo l’opportunità di accettarmi per quello che ero. Il medico mi ha detto che avevo più ormoni femminili che maschili e perciò mi ha chiesto da quanto tempo li stessi prendendo. E quando gli ho ribadito che non li avevo mai presi, mi ha detto: “E adesso stai venendo? Non hai mai visto le tue mani, le dita, il bacino da donna? Che non hai il pomo d’Adamo? Sei una donna nata in un corpo di maschio, sei femminile non solo nel corpo, ma nella testa.
Certo è che da quando ho accettato questa verità, il mio corpo ha iniziato a cambiare velocemente: niente più palestra, niente barba e i peli sono scomparsi immediatamente, come la poca fascia muscolare che avevo.
Quale sarà l’ultimo stadio della tua trasformazione?
Per il momento sono guarita dall’equivoco, mi sento assolutamente vera, prima vivevo una vita che non era la mia. Molti mi dicono di operarmi, ma finora il chirurgo non ha fatto niente. Il seno sta crescendo con gli ormoni, ora è adolescenziale, e mi sta cambiando la percezione del mondo, la mia sensibilità corporea è diversa da quella che aveva Giuseppe. La cosa mi sconvolge, anche perché la mia età non è quella di una ragazza.
Farò delle cose, ma francamente non so se e quando farò l’operazione più importante. Qualche momento non sento il bisogno dell’organo femminile, credo che la sessualità e l’identità non siano legate al sesso, ma all’anima, al cuore, al cervello. Altre volte sento invece la voglia di completare il percorso che ho appena iniziato e che paragono a una torta: per il momento sono al pan di spagna e cerco di metterci buoni ingredienti, quella sarebbe la ciliegina finale. Certo, è un intervento delicato, non lo escludo, ma è irreversibile, bisogna pensarci bene…
Come ha reagito la tua famiglia?
Mia sorella, che ha dieci anni più di me, splendidamente. Certo, si è posta tante domande, se sarò felice o incontrerò ostacoli, ma sempre pensando a me e non al rapporto fra me e lei. Mia madre, più che mio padre, ha invece reagito male. Non certo per una continuità della famiglia, perché ho un fratello più grande, ma perché teme i pregiudizi della gente.
Ma come è andata in paese?
Benissimo, hanno applaudito l’onestà, la forza, la semplicità di Giuseppe nel fare coming out. L’Italia sta cambiando, anche perché Pomigliano non è Milano, è un paese del sud. Per mia madre il discorso è un altro: per lei il dramma è di dover sostituire Giuseppe con Vittoria. Il funerale di Giuseppe non è cosa facile: era il figlio modello che non dava delusioni, l’eterno bambino, l’attore. Spero che mia madre amerà Vittoria come ha amato Giuseppe, accadrà e anche in fretta. Se non accadesse mi spiacerà ma sono convinto di aver fatto la cosa giusta, sarà un problema suo, non mio: una madre dovrebbe volere il benessere del figlio, superando l’egoismo. Del resto, ora ha una figlia perfetta, che sta vivendo finalmente la verità. Prima era una continua finzione: tanti vedevano giustamente nei miei occhi qualcosa di amaro e di triste, nessuno capiva il perché, neanche io. Ora, lo dicono in tanti, la luce nei miei occhi è totalmente diversa…
Un annuncio come il tuo, 60 anni dopo il primo cambio di sesso, ha ancora senso?
In effetti dovrebbe essere scontato. E infatti tutti lo hanno accettato come naturale, anche chi non mi conosceva. In realtà anche io però avevo pregiudizi, una trans è sempre raccontata con gli occhi del degrado e della prostituzione, ai margini della società. Ma ci sono tante realtà, da chi è costretta dalla vita a determinate scelte a chi nasce nel sesso sbagliato. Ci sono tante persone che si adeguano alla loro fisicità e alla loro anima e vivono la loro vita in assoluta normalità, ma di questo non si parla mai. L’importante è avere un cuore pulito, essere una bella persona.
L’idea di un documentario e di un libro fotografico sul tuo cambiamento non ti sembra lasci troppo spazio alla spettacolarizzazione? Qualcuno lo potrebbe trovare irritante…
Se fossi stato avvocato o dentista, avrei continuato a fare senza problemi quel tipo di lavoro, ma sono un personaggio pubblico. Avrei potuto cambiare paese, nessuno si sarebbe accorto di nulla, ma per coerenza ho cercato la possibilità di spiegarmi. È inutile negare che da quando ho iniziato questo lavoro, una parte del mio privato è diventata pubblico ed è normale dare delle risposte ai tanti che ti scrivono e ti fanno domande: agli uomini, che ti propongono anche il matrimonio, alle ragazzine che sognavano di sposarti e ora sognano di diventare come te fino, è questa l’emozione più grande, alle mamme che ti ringraziano per averlo fatto pubblicamente, rischiando sulla tua pelle, magari dando esempio al figlio che sta facendo lo stesso percorso.
Perché hai scelto il nome di Vittoria?
Volevo chiamarmi Cristina, come mia madre (così avrei chiamato mia figlia se mai ne avessi avuta una) ma a lei non è piaciuto. Un’amica mi ha consigliato Vittoria e quando l’ho sentito, mi sono girata di scatto, mi sono sentita chiamare… L’ho adottato come auspicio per me e per tutte quelle persone che stanno combattendo la propria battaglia, come la mia o anche di tutt’altra natura.
È vero che farai da testimonial alla Gay Help Line?
Sì, mi ha chiamato Fabrizio Marrazzo per questa campagna contro l’omofobia e la transfobia. L’anno scorso è toccato a Mara Maionchi, mi sembra un messaggio giusto.
Che rapporto hai col mondo gay? Con disco, saune, giornali o festival specializzati?
Bella domanda. Da una parte credo sia quasi naturale andare in quei locali e quindi avere modo di confrontarsi con persone di uguale sensibilità, ma è anche un po’ riduttivo. Giuseppe sicuramente andava in disco o a vedere film a tematica, ma certo è più eccitante, come capitò proprio a lui, incontrare la persona giusta in una palestra o al supermercato.
Come immagini il tuo futuro di attrice?
Mi stanno già arrivando proposte, anche internazionali, ma per ora solo di ruoli di transessuali. Se mi piacerà, lo farò. Ma per un produttore sarebbe più coraggioso offrirmi la parte di una donna, tra l’altro non ho un fisico da trans ma del tutto femminile. Ecco, vorrei che qualcuno mi desse questa chance.